#2 patriot egocentrique
di F.R.

Siamo al secondo brano della nostra track list Amarcord. L’anonimo redattore della rubrica disapprova la pudica richiesta pervenuta da alcuni autori di non svelare la paternità dei loro racconti, già celata dietro uno pseudonimo, nonché stampata sul libro!, ma s’adegua ai tempi che corrono.
Cercate fra i tag e gli atti correlati! Buona lettura.

ho fatto un calcolo. da cui le possibilità che dio esista e che io sia dio sono approssimativamente le stesse. financo ciò, nessun noi manifestante verrà salvaguardato dalle cariche dei puffi adesso che non ci permetteranno di divertirci ulteriormente con loro, di vederci danzare al ritmo ossessivo dei loro riti tribali jazzato di scudi e manganelli che poi, magari, anche loro CO2 e pisciare in piedi. dopotutto noimarziani ci alziamo al mattino solo per farci picchiare e strattonare da digos&co. lo decidi perché un giorno maurizio costanzo parla dei problemi del pianeta con alessia mertz e baricco luciano de crescenzo e pino insegno, allora sì. tu capisci tutto. vai al collettivo radicale della tua università e ti incazzi. entro sei mesi diventi un serial killer e/o un pazzo. i tuoi nuovi amici si portano deleuze in spiaggia passano le sere delle domeniche alter nando sei forte maestro a c’è posta per te passano molto tempo nelle librerie di via po non accettano tutto il gusto di best seller. che c’è. tutta questa gente umidiccia

che non possiede alcun residuo di anacoretica spiritualità neanche per gli archetipi di base non hanno di certo intuito la catarsi celata nelle vicende del tonno insuperabile o del tonno palmera e i, miei soffici piedi sotto il riflusso che alza la sabbia l’inerzia. questi credono di essere finiti nella scaldabagnodelonghi la fine dei preti di bataille dell’io nei pezzi di john cage gli farei fare gli farei piombare in testa scogli dal cielo me ne libererei subito. ed invece eccoli qua a lanciarsi il frisbee come dei cani dài buttati siamo tutti in acqua che letizia che giubilo.

“che idea! che idea geniale, bere amuchina pura!”
“è stata mia sorella. è stata lei quando eravamo a tavola.”
“quanta ne hai bevuta?”
“così.”
“quanta???”
“un po’ l’ho sputata.”
“e il resto è finita nello stomaco?”
“io non so dove è andata l’altra.”
“nello stomaco, nello stomaco. ne hai mai sentito parlare?”
“sì, ma ho solo otto anni non mi possono mettere in carcere sono solo un bambino!”
“te no, ma tuo padre sì. e comunque se ti passa non corre nessun rischio.”
“io però sto meglio. bene.”
“no! tu stai malissimo e a quest’ora non possiamo neanche farti una lavanda gastrica… adesso vediamo cosa ti posso dare… su toh, apri la bocca.”
“cos’è?”
“ingoia e apri!!”
“no. non voglio!”
“ingoia e apri!!!”
“no, fa schifo, fa schifo!”
“fa schifo?? L’amuchina invece è bbuona vero? l’amuchina è bbuona…”

al liceo anche bevevo. i liquidi mi davano la lucidità necessaria per sopportare la noia di passare ore nei corridoi e nei cessi. nei corridoi ci finivo per sopportare la noia di passare ore tra banchi graffitati di bianchetto in quanto avevo la lucidità necessaria per capire che i professori non capivano un cazzo. nei cessi cremavo le bonghe. ed ero un ingegnoso meccano di palle fingevo di mettermi in luce nelle attività extrascolastiche che lo stagno dove stavo mi offriva e per sopportare la noia della finzione ho cominciato a portarmi dietro anche altri tra cui max ponte, che io ho liberato adesso scrive cose eroiche ed è fuori. qualcuno però poi sclerava tipo la profe di mate, quando entrava lei uscivamo noi non aveva il controllo si impanicava non meno di cinque non meno di cinque! noi ci sentivamo a posto che non eravamo mai, meno di cinque. era anche figo che a maggio facessero venire per una settimana gente a parlare di droghe e alcool, e se confessavi di averne bisogno potevi andare, perfino durante i compiti in classe. noi cisiamo andati subito e la prima volta eravamo in cerchio, uno si è alzato per parlare che era mario e noi in coro configurati tv, ciao mario con tono truce e triste. ci hanno lumato di brutto quegli atossici sfatti ma noi pensavamo proprio. si dovesse così poi anche dani era entrato e

noimarzani mettevamo giù l’ordine del giorno seguendo i deliri di nero luci che succede sempre se cammini accanto a lui che tira fuori coi respiri frasi bellissime di poeta e io vorrei lui se le ricordasse e vorrei ricordarle pure io mentre scongelo la, attesa e i giorni che mi arrivano per posta. traumato dai test d’ammissione compagni labirinto libri illeggibili di docenti splatter, respiro amianto al prorettore sopra panchine antiadunate e cassonetti sigillati per paranoie da attentati. sparajurij against the grain cisisente liberati e adesso anche preghiamo se volete vi benediciamo se volete vi ammazziamo ciucciateci tutto pure i globuli rossi, oramai siete in trappola. ho visto qui dentro che nessuno sa cosa può fuori fare un corpo, senza organi. ho visto nessuno trentadue metri rivestito di domopack. ho visto le menti migliori della mia generazione impazzire, per diventare le menti migliori della mia generazione

perché noi ci ritroviamo fino adesso sempre. bambini che hanno letto l’alfabeto solo con gli occhiali, provato a far passare palline da golf tra agavi e fichi d’india, costruito mazze di legno per, parlare in piazzetta tuttalanotte noi qui lontani s si mi dalle trasmissioni che fanno vedere del mondo tutto il mondo che c’è. ipnotizzati di fronte a una lingua di terra e l’eventualità che al mattino ma presto, si rispecchi tremolante case coppole e granite alla mandorla fino a villa, san, giovanni, per il ludibrio di fata morgana. abbiamo pensato un giorno, mentre ascoltavamo gli udue, mentre sbucavano fuori gli anni novanta dalla nostra infanzia, con il mercuro cromo, i ghiaccioli rubati, bmx coloratissime su cui sfracellarci in discesa, teo frena, che saremmo stati ensemble pour toute la vie. avremmo saldato il conto con l’emigrare dell’acqua dalle buche nelle strade alle strade per bambini, fatto passare da qui lo zoo tv tour. anche perché più che turisti non possiamo esserlo. e viaggi migliori non esistono. dai

viaggi migliori non si torna così come non si viaggia nel tempo, così come se tu piovi mi bagno, e pure fuori piove e ’sti cazzi. donna valentina non c’è niente di male sù doniamo qualcosa per chi non ha voce, ma vuole solo amore amore infinito e ha perso un capitale sta davvero disperato. da solo non c’è la fa. verso l’una e mezza poi ho sentito un tonfo, è finito tutto, più di prima, uscivo dal cinema mi sono inventato qualcosa, ho prestato i primi soccorsi. appena l’ho visto ho visto un angelo magari, non sto esagerando magari, anche se può sembrare pesante la mia affermazione. e i bambini i gagni che assistono terrorizzati a quella esplosione di odio, neanche un arrivederci diviso tra noi tutti che avevamo un nostro sistema per evitare le incursioni del corpus domini, le pastigliette perlacee dei corpi di cristo. hanno pure avuto il bastardo coraggio di cresimarmi una

domenica ottobre l’ultimo sacramento che caveranno fuori da me. dalla polvere la mia pazienza è una medaglia al tuo bavero, vieni alla mia bocca e sputa. siamo andati mi ricordo al ristorante di vinovo, dans l’ippodromò, anima regale abbandonata dentro l’obliò, e tra un piatto e l’altro mi sono giocato tutti i soldi del cadeau ai cavalli. tecnicamente poi ho fatto anche la comunione, ed è stato un incubo quel prete sudato voleva ostinatamente insegnarmi a pregare, o almeno dire amen, no grazie, nel momento in cui si era lì per quello. è accaduto purtroppo, ch’io fossi nervoso causa parenti giunti quel giorno da giù e steccai, ma l’espressione sgomenta, di odio malcelato sulla faccia dell’iconoclasta in erba, non è cosa da tutti i giorni neanche sulle pay tv. forse perché quando il signore chiama, provoca un’eccitazione istantanea alla distanza di cinque metri, funziona con pile normali codice quarantaquattro, non percepibili all’orecchio umano, tanto nell’uomo che nella donna. richiamo d’amore straordinario, sono arrossito tutto amante snello disp. a trasf. con difetto visivo e ostia tra i denti, gli ho detto brutta, lucciola, vaffanculo.

“storia pesa esimio, storia pesa. questi ragazzetti qua!”
“antiquum antiquum, suvvia.”
“consumano tutto troppo in fretta. si bruciano, a quindici anni sono di già bruciati. d’altronde è il nuovo eone, quello del figlio, è risaputo.”
“non bramano egregio illustrissimo, ottengono ma non desiderano.”
“si occupi del filtrino.”
“e lei, se fosse padre, cosa farebbe?”
“boh, cercherei di dargli qualcosa prima, che quelli sensati poi un equilibrio riescono a trovarlo. ci stanno dentro e gli altri, come dire, vanno all’aceto.”
“ma osservi che filtrino cisti le ho tirato fuori. un tao perfetto, immagine e modello di geometria esistenziale.”
“è valido, ma non se la tiri eccessivamente. tutto si impara con la pratica. comunque tenga, a lei l’onore.”
“squisitissimo egregio, cos’è, caramello?”
“caramello buono esimio.”
“e lei, si è mai drogato?”
“ai tempi del paso, quando ero giovane. sniffavo trielina coi darchettoni, poi qualche pasta, ma adesso basta, sono uno serio.”
“solo roba seria quindi, tenga.”
“danke. sì, funghetti peyote, cose naturali, prodotti biologici.”
“sù sù, si avventuri in una descrizione dettagliata e avvincente.”
“no, non si può spiegare. va oltre il linguaggio, investe tutti i sensi più uno. è come avere i volumi dello stereo aperti al massimo. poi quando l’ho fatto ero in un parco e se appoggiavo le mani sul tronco dell’albero sentivo scorrere la linfa proprio sotto la corteccia.”
“immagino abbia anche fatto sesso in quelle condizioni?”
“l’ho immaginato sì. guardi, sta per spegnersi, faccia il tiro dello sbirro.”
“giammai!”

certo uno non si immagina che poi si mette a fare anche lo sbirro o il finanziere sul fondo per la gestione del suc che è la mens sana in corpore sano, per noi che ci spacchiamo il culo sulle fotocopie dei libri. eppure la quota di riequilibrio, complementare alla quota di base, attualmente pari al l’8% fa comprendere che se dovessimo ragionare in funzione dei punti organico. potremmo constatare di aver impiegato un valore pari a settemilacentottantacinque punti le cessazioni, sono mediamente più che doppie rispetto a quelle riconducibili alla sola anzianità, ma una volta che la nostra università avrà raggiunto. la situazione d’equilibrio relativamente alle assegnazioni del suc. e. ci. auguriamo. che ciò avvenga in tempi brevi, sarà comunque possibile anche per voi acquistare una casa in montagna, distribuire cilicio docet, la medesima fattura ai diversi fornitori, fottervi più di 1.000.000.000. di tasse degli studenti minacciarli, lasciargli bozzoli di machinegun. proiettili sotto lo zerbino.

abbiamo deciso in un momento d’estremo bianco e nero di dipingere le pareti dello, spazio del, nostro collettivo della, loro università. ed eravamo d’un colpo coloratissime cartografie del mondo che viene, un brulicare immaginario e materico allo stesso tempo piccole macchine desideranti in moltiplicazione. c’è stata poi una discussione tra noi, che avevamo avuto paura di avere paura, e quasiquasi niente derive psicogeografiche da fermi cenacoli romantici post punk, parodie visionarie antiglobal. ma, grazie al buongesù, siamo circondati da ossessioni identitarie, tribalismi, berlusconi, sinistra giovanile, che anche in vacanza possiamo riposare in pace. i giornali, preoccupati parlano di noi con la consueta arroganza del loro io novecento, ma intanto ce ne siamo liberati, e forse anche pasolini è contento e forse d’ora in poi, i nostri genitori ci spareranno addosso, soltanto pallottole di gomma.

e quando muoio sull’erba invidio albero rizoma e mi accorgo che ogni volta sotto questo big bubble sky, l’ho scoperto io, e nessun altro mai, l’effetto strobo delle foglie io mi sono laureato in permesso premio, detenuto asfalto, che scrive male lettere d’amore per cronaca vera o stop.
giardini ginzburg quando non ne possiamo più di. occupare la presidenza di, lettere della clorexidina diguclonata degli, amici che non giocano più di, vederci sfilare la luna sull’autostrada come il ricordo di un viaggio ad antibes. e anche fede adesso viene qui, lo vedo adesso, sul ponte al monossido che scorre incessantemente di carbonio sopra il po placido. e il sole spacca a metà le molecole le acque e mtv. una processione len ta di pusher d’ostie in una piscina sabbia e oro polverizzato. se ogni volta che ritorna, il nord è caldo, i palazzi bruciano e a darti la mano è la copertina di un album dei pink floyd. dopopoco si muore e si rinasce un pomeriggio qualunque tra raidue e canalecinque. l’altro giorno cioè

un tempo indefinito fa, siamo andati a fare una gita negli studi televisivi di grp. i quali suddetti si adagiano dalle nove di sera in poi sulla sponda di un romanzo torinese di dostoevskij e sull’impatto di primi piani di case e carrellate. sinistra giovanile e docenti with us, ci avrebbero fatti incazzare o. quasi. allora noinventiamo una trasmissione per far mettere i sigilli del garante all’ingresso, ma non lo diciamo. siamo buoni buonissimi che vogliamo una televisione per dare i porno e i talebani, ma non lo diciamo. siamo la rappresentazione della rappresentazione di un’idea. siamo il loro mondo decadente e drogato.
con loro seduti sentiamo le loro stesse parole e non mettiamo mano alle fondine.

“le cose che dici io non ci ho mai creduto.”
“e quindi?”
“si impegni di più!”

gli odori sono falsi e debosciati. ti costringono a seguire te stesso, o, muori. il momento viene e va. giunge alle spalle mentre stai pisciando in un roveto il caldo che ti secca e tu cristoni, poi capisci e ci stai anche male. però, pare che a me piace. cerco di sintonizzarmi sull’onda del primo che si frange sulla memoria e mi immergo nelle perturbazioni causate dalla celerità del moto arrivando fino al bordo del delay come un clandestino nella propria stiva.
specie una volta provavamo a introiettarci high and dry sul motorino, e più forte cantavamo, e più in profondo la musica scendeva, a visitare le pareti molli, facendoci vibrare come satelliti di mare. it’s the best time that you ever had it’s the best time that you ever had and it’s gone away.

conosco salvatore e lui guida le navi lontano. capitàno di lungo corso nonostante i tentativi di bucargli sottopelle campana fargli scivolare nei drinks burroughs e artaud, scioglierli sulla lingua balestrini e gadda. non gli hanno fatto più paura della faccia del padre e della desertificazione incombente. ora però cisivede poco e lui ingrassa invecchia, ridistribuisce flora marina nelle acque conando vomiti di esilio
dal pianeta terra. quando torna faccio il pieno di salsedine lo lascio raccontare seduti sul lungomare che s’è fatto buio, la mia angoscia sale inversamente proporzionale al synth e le notti così lo posso capire. la, attesa che viaggia ovunque, tutti i fantasmi della grande città entrano come l’ombra del gatto, per vedere torturare gli amanti agli angoli delle strade. all’alba. al tramonto. allo zenith della nostra disgregazione, danzare l’allusione che riveste i pesci di schiuma non giustifica l’adozione personale di sogni, a provocare la nostra eterna adolescenza. miliardi di confezioni di tutti i tipi, inviati a new orleans con le gambe arcuate da bambola, sbarcare lontano sopra un porto pieno di cose senza intonaco.
ho visto salvatore la scorsa settimana. a lui sembra che stia impazzendo.

no. non credo. ricordo a lungo invece i sogni che faccio. come le pagine di un manuale di letteratura sono più o meno sempre gli stessi ma ne prendo coscienza prestissimo per cui è facile chiudere gli occhi di dentro e lasciarsi sorprendere poco alla volta, e poi io so sempre, che sto sognando. attraverso le voci ed il mio dna scaracollo colline centri commerciali. rimpiango di partire troppo presto e rimuovo ogni sensazione di essere arrivato io, prima di salutare gli amici bagnati di cielo riflesso a pois di nuvole sul mio prato a vetro compro un biglietto anche per voi. dài. venite. vi prego.
che mi sveglio di colpo dal coma. come qualche stronzo al mio tavolo cambia canale alla prima subordinata e non mi lascia capire un cazzo mi sollevo che, è tardi mastico che, è poco ed esco, vado da qualche parte.

per esempio ho atteso federico abbandonato sul marmo della sala di, aspetto come un conciapelle in vacanza in anatolia. il treno doveva fermarsi prima o poi, ed io ero già lì. d’altronde nella retina ho un’immagine per ogni arrivo e mio zio ancora sa di valigie e cuccette e di grigio, lasciato oltre l’ultimo vagone. ho un comodino bianco e blu che contiene una foto senza guardare dal finestrino in partenza di un condominio vicino al mio letto. siamo tutti insieme tranne me, che andavo via e spezzettavo diottrie e strabismo per non perdere il contatto mentre la prospettiva del treno cambiava definitivamente. ogni sera prima che tornassi a casa, perlustravo la stazione squadrandola e invidiandola che domani avrebbe vinto lei. allora non s’è n’è parlato più per un bel po’. algoritmi e

benzedrina agitati violentemente per dare vita a scene spettacolari. sotto le lampadine dei flash nell’ostensorio dietro casa. le vertebre delle parole, in un gioco che non confonde il corpo unico da mille membra, e rimbalza come gomma da me a te. adesso però ricominciamo come un’improvvisa idea di morte che si fa strada servendosi di rettangolini rossi, sui paper quiz settimanali. colpi col calcio del moschetto sul vostro scampanellare tremulo di cicale, impaurito dai nostri giochi epilettici, dal sonno dissepolto until the end of the world e l’umidità del verso.
affinché prendesse sopra sotto colore ci siamo messi a parlare delle risonanze della bocca avvolta di immenso silenzio. gratificati dai gessetti sulla cattedra dentro il primo cassetto.

“lei va all’università?”
“sì.”
“ha lavorato presso qualche altro studio in precedenza?”
“no.”
“ma lei ha già una laurea, vuole prenderne un’altra?”
“sì.”
“ha qualche hobby particolare?”
“ogni tanto lavoricchio.”
“ah sì, questa è bella. perdoni la domanda, è di rito. lei fa… uso… di… droghe… leggere?”
“quotidianamente.”
“… mi scusi, ma io cerco un segretario part-time, non un cliente.”
“lo so.”
“ha bisogno di qualcosa?”
“un hobby, come si diceva.”
“vuole che fissiamo un appuntamento?”
“guardi che la relazione oggetto-aquisizione-mancanza, per cui bisogno, vieni aquì che ti curo io, l’ho superata da un po’.”
“vada avanti.”
“è solo un taglia e cuci del flusso bio-informazionale che ci attraversa. l’inconscio è un laboratorio, non un teatro.”
“sì?”
“l’ossessione della purezza è l’origine del senso di colpa, e il senso di colpa mette in moto i meccanismi classici della psicopatologia, a catena dei doppi legami impliciti nel divieto e nella trasgressione. ma quand’è che parliamo di psicopatologia?”
“prendiamo un appuntamento per la prossima settimana?”
“no no, questo lavoro è troppo stressante, non fa per me. sono stanco.”

mi addormento in un attimo se solo salgo in macchina. gli anni ottanta a me non hanno cambiato un cazzo, per quanto io all’epoca non avessi termini di paragone. ma nella mia famiglia allargata qualcuno aveva una casa in montagna, eravamo sempre quindici o sedici io non capivo niente, c’era un senso di spazio ristretto dentro un abbigliamento ingombrante, e forse qualcuno usciva da una finestra per andare in veranda. puntuale come il fine settimana mentre andavamo su io vomitavo. superata perosa argentina ogni curva era buona. un tempo interminabile di auto terapia. gli inverni qualche volta lasciavano così tanta neve per terra che telefonavano i miei vicini più grandi per dire a tutti di andarli a prendere perché il pullman non passava. io mi arrampicavo sul davanzale, aspettavo che sbucassero da sotto la neve e avevo entrambi i piedi in equilibrio sopra il pallone di spugna, che mi serviva per tirare in camera le punizioni.

ho avuto quasi tredici anni e ho avuto sicuro una bici. in tutto ciò si consumavano pomeriggi tendenti al rosso, in un paese in cui nessuno sembra apprezzare la tua vitalieta. la notizia che un incidente li scuotesse nel sonno mi sconcertava ed io, pedalavo per vedere se arrivavo prima della pubertà.
sotto la casa nella strada davanti a cui abitavo con le macchine si facevano polvere. così si scendeva a dare un’occhiata poi, il benzinaio poi, i carramba boys poi, si ricominciava. solo che questa volta era capitato un incidente che avevano ammazzato il giudice scopelliti che aveva l’ombrellone vicino al mio e passavamo a salutarlo prima di fare il bagno. quando in chiesa tutti si incolonnavano per toccare la bara, un vetro copriva la faccia, l’ho guardato e non ho pensato niente. niente babbo natale. niente

uomo che regala le caramelle fuori dalla scuola. non mi farò mai più prendere in giro, in questa vita dalle perversioni e fobie post-fordiste piccolo borghesi. come. ad esempio. mi ricordo. infatti. che. un giorno. uscendo. per l’ultima volta. dal mio. mediocre. liceo. medioevale. che mia madre. mi aveva. messo in guardia. dai. mercanti. di coscienze alterate. nei cessi. ed io mi dicevo ma quale. indurre in tent. mai visto niente di niente. qui è tutto rego.
poi in un colpo una visione lisergica mi vedeva insieme ai miei cordialissimi, chiusi a intervalli regolari nei bagni a giostrarci al meglio cartine e accendino, costruire autostrade del pensare breve per divenire aparalleli con la geometria non euclidea. e allora ho capito che per tutta questa vita io, dovevo evitare me. io sono di notte

io sono di notte i miei occhi. piacevolmente imborghesito sotto un metro di terra, cadaverico acquiescente e immobile, schizoright sketch, faccio storie e accarezzo il gatto. before crushing my head col decoder ne avrei fatti fuori un bel po’ di merdosi figli di puttana 32 e 10. però ora all’oxybar cinque minuti non bastano sul logorico smog della vita moderna. se volessi sarei ad iniezione sottocutanea praticante da omozone o privé iperbarico. se tu volessi estrarrei sangue dai massi per polimerizzarli all’infinito preparerei tutte le notti le ricette di eva orlowsky se volessi ti darei. autoemoinfusione ozonoterapiche vantaggi al microcircolo la regina madre. tutto il lessico e traduzioni orde nomadi di pinguini tetris flipper e compact flash. bucanieri all’arrembaggio caos. organi hammond come se piovesse. e mi lascerei, soltanto, obnubilazione del sensorio.

organi come mantelli in filigrana d’argento che mi avvolgono dentro respiri esalati senza gravità sono solo l’ombra della luce che esplode attraverso il collo giù per la schiena fino all’addome contraendomi il corpo in spasmi di trapasso nell’accordo minore. sdraiato sul letto penso che se muoio voglio diventare battiatosong una frequenza come un’altra nel riverbero della sua luminosissima voce penso che se muoio the end si avvicina dalla punta dei piedi come il coperchio di una bara telecomandata dallo stereo nelle mie mani. poi più niente bomba atomica distrazioni innocenti fuori campo pause o diesis digitali. solo corpo a terra da camminarci sopra da risciacquare con una secchiata. e ho azzurro e verde nel cielo profumi d’umidità corro molto veloce e non esisto più le nuvole belle non esistono più i marziani non esistono più il cilicio non esiste più fabbriche di baci non esistono più rumori di passi non esistono più kaliyuga non esiste più bycicle races non esistono più a nigth night at the opera non esiste più la morte degli altri non esiste più. se muoio e divento battiatosong mi ascolto in eterno like a rolling stonestonestonestonestonestone stonestonestonestonestonestone stonestonestonestonestonestone

Biografia

F.R. è nato lo stesso giorno della figlia di Jovanotti e di suo cugino Vincenzo, ha curato numerosi manuali di entropia inorganica.
Ha scritto patriot egocentrique, L’angolo dello psicanalista, Amsterdam kissing, Che ne sarà dei miei gatti se scoppia la guerra ghostrack.