La traduzione automatica,
di Irene Massetti

traduzione automatica neurale

Se il ruolo dell’intelligenza artificiale nella traduzione è ancora legato a un immaginario da film di fantascienza, per cui ci si aspetta a ogni momento di veder comparire sul mercato il Traduttore universale, la nemesi perfetta alla Babele biblica, lo strumento in grado di rendere una volta per tutte completamente inutile l’intervento umano nel campo, bisogna allo stesso modo riconoscere l’utilità e la validità delle traduzioni assistite quali strumenti ormai consolidati del quotidiano lavoro degli specialisti in materia, da questi trasversalmente adottato benché a gradienti diversi (nel settore editoriale molto meno che in tutti gli altri). 

Oggi la traduzione sta assumendo sempre più il ruolo cardine che Cronin le attribuisce nel paradigma delle tre T (Tecnologia, Traffici commerciali, Traduzione), con la quarta T del tempo ad aggiungersi che prevede un’accelerazione in chiave di risparmio e profitto economico e quindi un considerevole incremento di alcuni processi e attività passibili di traduzione (accesso alle informazioni, transazioni economiche, spostamenti), con conseguente moltiplicazione di occasioni traduttive e di adattamenti culturali. 

Da qui ha origine la storia della traduzione assistita, ideata e in un primo momento abbandonata negli anni Quaranta del Novecento per poi essere successivamente ripresa e perfezionata, fino ad assumere le caratteristiche dei moderni CAT tools, pane quotidiano di pressoché tutti i traduttori moderni. 

L’organizzazione del lavoro traduttivo è, nel frattempo, radicalmente cambiata: da attività prettamente individuale si è passati alla suddivisione in passaggi del lavoro da parte di un project manager, figura nuova e sempre più cruciale della professione, che orienta un gruppo piuttosto vario di specialisti attraverso le fasi di preparazione, lavorazione, controllo e consegna di una traduzione. L’ampliamento del gruppo di lavoro in questo ambito arriva fino a toccare la definizione di «comunità di traduzione», insieme  espanso di esperti a distanza supportati dalla tecnologia cloud nella loro attività continua e simultanea di collaborazione e aggiornamento.  

La prima realizzazione pratica dell’ipotesi di Weaver di una possibile traduzione di testi tramite calcolatori fu ad opera della IBM per la coppia linguistica russo-inglese, seguita poi da altri esperimenti statunitensi, sovietici e giapponesi, tutti invariabilmente abbandonati a causa dei risultati piuttosto deludenti negli anni Sessanta, epoca in cui la Automatic Language Processing Advisory Committee definì la traduzione automatica (allora basata sul principio dell’equivalenza tra lingua sorgente e lingua di arrivo) «antieconomica» e i testi tradotti «per lo più decifrabili, ma talvolta fuorvianti o addirittura sbagliati», lamentando l’impossibilità di disporre di macchine in grado di ‘capire’ cosa stessero traducendo e quindi decretandone la loro inutilità nel breve periodo. I principi di linguistica strutturalista espressi dalle teorie di Vinay e Darbelnet, sebbene non risolutivi della questione traduzione automatica, servirono comunque da impulso alla creazione di banche dati terminologiche e memorie traduttive, alla base delle moderne società di servizi linguistici come Trados. 

Dagli anni Novanta del secolo scorso lo sviluppo esponenziale delle tecnologie informatiche e digitali ha permesso l’ideazione dei tre modelli di traduzione frutto della contemporaneità: la traduzione rule-based, fondata sulla scomposizione del testo in porzioni analizzate singolarmente ma non soggette a interpretazione, la traduzione su base statistica, consistente in grandi raccolte di corpora e testi corredati da contesto specifico (in grado di condurre a testi più scorrevoli e coerenti nel contenuto)  e quella a base neurale, introdotta a fine 2016 e in continuo aggiornamento, legata a doppio filo allo sviluppo dell’intelligenza artificiale e alle sue potenzialità di integrazione delle modalità di traduzione statistica con il riconoscimento delle inferenze tipico del cervello umano. 

Proprio sul perfezionamento del sistema di inferenze si gioca la partita della reale affidabilità della traduzione neurale: per ora, messo alla prova tramite varie piattaforme (Deepl, Pure Neural e Google traduttore) il modello si dimostra ancora soggetto a frequenti interpretazioni erronee, pur fornendo di base delle traduzioni largamente apprezzabili dal punto di vista linguistico e stilistico, che necessitano di un intervento minimale da parte di esperti umani. Ciononostante, è impossibile non rilevare le enormi possibilità di sviluppo di un sistema creato a modello delle reti neurali umane, che cerca di mimarne, benché ancora in maniera imperfetta, la capacità di apprendimento stratificata definita ‘deep learning” dagli esperti. Si sta configurando, in sostanza, una nuova generazione di traduttori automatici basata sull’autoapprendimento di carattere esponenziale, con macchine che da un lato saranno via via sempre più capaci di elaborare ed interagire con un flusso enorme e continuo di dati e traduttori in carne e ossa che sempre più tenderanno a ricoprire il ruolo di correttori di bozze dei contenuti proposti dalle intelligenze artificiali.  

Il pericolo delle IA è lo stesso della vecchia società fordista, in cui la corsa verso l’efficienza e la standardizzazione rischiano di appiattire complessità di pensiero, profondità ed elaborazione critica, suggerendo a tutte le menti le stesse conclusioni; la parcellizzazione del lavoro del traduttore, inoltre, tende a privare quest’ultimo della vicinanza al testo necessaria per produrre elaborati di alta qualità. A ciò si aggiungono i pericoli legati alla scomparsa di volumi consistenti di lavoro per i professionisti in carne e ossa, con conseguenti perdite economiche rilevanti da parte di questi ultimi. 

In un panorama così conflittuale si staglia ancora come una possibile scappatoia dalle ‘costrizioni della macchina’ il mestiere del traduttore editoriale, slegato dalla riproducibilità che tipicamente caratterizza gli altri mestieri della traduzione già coinvolti nella discussione (e considerati, generalmente, più remunerativi), incentrato sulla formazione di un nuovo testo tuttora a carattere artigianale, in cui la rapidità d’esecuzione sembra non intaccare ancora pesantemente il lavoro di analisi, rielaborazione e affinamento stilistico che lo definiscono.  

L’augurio per chi si avvicina ora ai mestieri del tradurre è quindi, da un lato, quello di assicurarsi una formazione e un aggiornamento continui anche e soprattutto nei nuovi mezzi tecnici in forte evoluzione e, dall’altro, di assecondare la tendenza attuale, opposta all’accelerazione esponenziale che influisce sulle attività umane in ogni settore, caratterizzata da una volontà di rallentamento (letta anche in chiave di conservazione delle risorse e rispetto dell’ambiente), foriera di un ritorno alla traduzione come opera dell’ingegno scaturita da cura e riflessioni adeguate.