Carlos Liscano, “Verso Itaca” e altre opere

2022-11-11 LOCANDINA TOURCarlos Liscano, Verso ItacaIl lettore erratico; L’informatoreTeatro, trad. dallo spagnolo di Flora Arena e Luisa Stella (per i primi due titoli) e di Fernanda Hrelia (per gli ultimi due), 3 voll., pp. 298-223-165, € 32, Edizionidellassenza, Palermo 2022.

 

Raggruppati in cofanetto, ma acquistabili anche separatamente, sono infine disponibili per la prima volta in traduzione italiana i titoli principali dell’opera multiforme eppure straordinariamente coerente dello scrittore uruguaiano Carlos Liscano. Qualche sua opera teatrale era stata già rappresentata in Italia, e il testo del monologo L’uomo col fucile era apparso tradotto da Fernanda Hrelia in un numero del 1999 della rivista “Sipario”, ma finora l’unico suo testo arrivato nelle nostre librerie era El escritor y el otro / Lo scrittore e l’altro, tradotto da Gianfranco Pecchinenda (Lavieri,  2011: https://lavieri.it/libri/lo-scrittore-e-l-altro/).

Incarcerato appena ventiduenne e per ben tredici anni, dal 1972 al 1985, a causa della sua militanza nel Movimento di Liberazione Nazionale Tupamaros, poi emigrato per dieci anni in una Svezia ritratta in Verso Itaca come fintamente accogliente, lo scrittore Liscano nasce durante la lunga prigionia e il Liscano saggista e narratore si basa molto sulle sue esperienze autobiografiche.

 

Qualche citazione da Verso Itaca che racconta l’epopea del suo alter-ego Vladimir emigrato dall’Uruguay in Svezia e poi a Barcellona.

 

“Quando avevo deciso di andare a Stoccolma mi ero illuso affrettatamente con l’idea di vivere in un paese tranquillo, freddo, silenzioso. Là dove nessuno ci conosce si può ricominciare daccapo. Pensavo questo, come se si potesse cessare di essere quello che si è per il solo fatto di cambiare paesaggio. Non era vero, ovvio. Si viaggia dappertutto con se stessi, si è quel che si è, in Siberia o sulla Luna. Niente da fare. Una volta nati non c’è niente da fare, si è già quello che si sarà, merda o paradiso per tutta la vita.

Può capitare che arrivando in un altro paese, al principio, la novità confonda, e ci si immagina d’essere cambiati. Ma l’idiota che ci domina ritrova in fretta il filo, e immediatamente comincia a srotolarlo, e ad aggrovigliarlo.”

 

“Se si ha un qualche interesse, qualcosa, non importa cosa, si cade subito nella trappola di volerla difendere, a qualunque prezzo. Per quanto poco valga quello che si possiede, si tende a preservarlo, e si resta così, legati a una cosa, a due, a una situazione, temendo di non trovare niente nel caso si abbandonasse il poco che si è ottenuto. Anche io mi mettevo in fila, come tutti, e invece di mandare tutto a fanculo mi aggrappavo alla mia miseria, al lavoro, al manicomio, all’appartamento, allo stipendio che mi arrivava per posta ogni mese, alla figlia che non avrei voluto avere ma avevo – e tutto questo è quasi invincibile.”

 

“Non appena potei lasciai il mio appartamento a una cubana e presi il primo treno per la Spagna, per Barcellona, dove avrei compreso gli annunci, avrei potuto leggere i giornali, ed esprimermi come un adulto. Adesso ero di nuovo me stesso, in marcia per le strade, pronto come sempre a cominciare una nuova vita.

[…]

Alla frontiera spagnola cominciai a sospettare che quello non fosse il paese degli esuli che avevo conosciuto a casa dei miei genitori.

Immediatamente mi guardarono come all’arrivo a Stoccolma, come fossi un immigrato illegale, cosa che ero. Sì che lo ero, meteco e illegale. La cosa peggiore al mondo.

Anche gli spagnoli sono europei, a volte lo si dimentica. Forse perché li si conosce, perché li si è visti da sempre, proprietari di bar, di negozi, conducenti di autobus, calzolai, falegnami. Sono stati nostri vicini, i loro figli venivano a scuola con noi. È qui l’errore, li si è avuti talmente vicino che li si confonde. È una cosa che dovrebbe essere chiarita, qualcuno dovrebbe farlo. […]

Bene, ora io entravo in Spagna, cioè in Europa. E in Europa i meteci non li vogliono. Ce ne sono tanti che ormai sono troppi. E in questo l’europeo ha in un certo senso ragione. Bisogna proteggere il proprio giardino, quando si crede di avere un giardino.”

 

“Insomma, era la vita, la vita che è fatta di niente. E il niente riempie i giorni, anche se non sembra. Adesso non sapevo che fare, a parte giocare con la fantasia. Non volevo nemmeno riflettere su come uscire dalla situazione. Avevo tutto il niente per me, eppure non riuscivo a riempire le ore né a progettare quello che avrei fatto il giorno dopo. Era un niente in solitudine, non condiviso. Inutile niente.

[…] Alle volte, dal punto di vista intellettuale, può avere un certo fascino sentirsi uno di più tra quelli che al mondo non hanno casa, non hanno lavoro, che sono di troppo sul pianeta. Ma l’altro aspetto delle cose è che non si vuole cadere, non si vuole mai cadere. E io non ero né pretendevo d’essere migliore di chiunque altro, nemmeno io volevo cadere. Perciò avrei resistito per mesi perché non succedesse, per evitare quella che credevo sarebbe stata la caduta finale, senza sapere che questa non esiste, che nessuno cade definitivamente, perché non esiste un fondo raggiungibile, come si vorrebbe, un bel fondo che sia l’ultimo, lo scantinato del mondo.”

 

Info: https://www.edizionidellassenza.it/it/autori/carlos-liscano