Da I 69 giorni
di Marco Candida

“I 69 giorni” (Autori Riuniti, 2021) è il nuovo romanzo di Marco Candida: per gentile concessione dell’autore, ne pubblichiamo un estratto dal primo capitolo, squarcio dal mondo di prima sull’orlo della pandemia in cui si presentano i personaggi di Floris e Lilia, protagonisti di quei 69 giorni maledetti che ci sono toccati tra il marzo e maggio 2020.

 

Candida69Giorni

Pare proprio che stasera Floris abbia l’impellenza di dire qualcosa di improcrastinabile a Lilia. Sta tergiversando o forse sta solo attendendo il momento migliore per farlo. Comunque, deve dirglielo. Lo deve fare. Non è facile. Non è facile soprattutto tenere nascosta l’ansia. Mascherare le cose dietro un tono di voce tranquillo e la solita faccia di sempre: quella del in fin dei conti pacioso e gioviale Floris, primario presso il Dipartimento Malattie Infettive all’interno del nosocomio cittadino. È come tenersi un sasso rovente nello stomaco. Anzi, un rospo rovente. Floris si aggira intorno a Lilia con questo peso nello stomaco – un peso mobile. Si chiede se abbia o meno lo sguardo torvo. Di sicuro, deve avere l’aria tormentata. Almeno quando non si sforza di sorriderle. Sì. Deve sputare il rospo. Non sa ancora quando. Ma lo deve fare. Deve dare a sua moglie la notizia di avere deciso di dimettersi dall’ospedale. Da lunedì prossimo Floris Calligaris si cercherà un nuovo lavoro.

Di per sé, la faccenda più difficile di cui rendere conto a Lilia è non tanto come abbia idea di mettere insieme il pranzo con la cena per sé e la sua famiglia nei prossimi anni, e insomma, che accidenti abbia in animo di fare se abbandonerà la professione medica, ma soprattutto perché, per quale motivo sulla verde faccia di questa Terra, un tecnico competente, stimato e riverito come Floris voglia troncare, dall’oggi al domani, la sua carriera.

Presa com’è dai suoi clienti nel suo studio d’azzeccagarbugli, Lilia nemmeno s’è accorta (il 24 novembre 2019) della pandemia nella quale il mondo precipiterà da lì a qualche settimana. Lilia non vive su Marte. Ha i piedi piantati ben saldi per terra. Legge i giornali. Segue i notiziari alla Tv. Consulta le news su Internet. Ma di certo non gioca d’anticipo sulle notizie. Non come fa Floris. In più, anche se legge quotidiani che si danno aria di foglio progressista, Lilia ha un’anima alquanto reazionaria. Ha fiducia nel sistema. Floris, invece, anche se è abile nel nasconderlo, è dominato dall’ipocondria e ha via via sviluppato con il passare degli anni un temperamento allarmista. Grazie anche alla dimestichezza che le lingue, segue con fervore il cicaleccio di un elevato numero di cassandre sulla rete (nel caso specifico si è affidato a Yīngjùn Zhang un infettivologo della provincia di Hubei in Cina per cui Flo nutre quasi una forma di venerazione) delle quali si fida più di qualsiasi altra fonte al mondo. In certi casi, occultare il proprio allarmismo congenito e la propria ipocondria agli occhi altrui è una bazzecola. In altri casi praticamente impossibile.

“Non ce la faccio più, Lilia – ecco che cosa dirà a Lilia per giustificare le sue dimissioni – Questo è tutto. Sono arrivato in fondo al bicchiere. Floris ha chiuso. Non ci riesce più. Sono stanco. Ecco quanto. Mi reggo l’anima coi denti per lo schifo che vedo ogni giorno con i miei occhi. È come se avessi realizzato lo schifo di lavoro che faccio d’un colpo. È dura. Molto dura. Lo capisci, amore? Come se mi fossi svegliato da un lungo sonno. La bolla d’indifferenza è esplosa. Anni e anni di studio e poi la pratica, e la carriera, è come se mi avessero anziché sensibilizzato alla materia, desensibilizzato. La formazione, medito, ha questo obiettivo. Non sensibilizzare, ma rendere dei pezzi di latta. Cuori. Fegati. Budella. Non mi fanno più reazione. Certo, il mucchio di soldi che affastello ogni anno sul conto corrente probabilmente dà una mano. Anche pranzare gratis di qui o avere il palchetto a teatro di là aiuta. Il calore delle persone che mi accolgono. Frequentare i circoli cittadini. Le associazioni più importanti. I trattamenti di favore a te e a Iris – con tutto che tu sei un avvocato. Il fascino del camice. Sì, e va bene… Anche quello. Le conferenze all’estero. Questi aspetti aiutano. Però, sono   parte del problema. Chi sono, davvero, io? Sono quell’uomo generoso e buono al quale i pazienti si rivolgono per ottenere diagnosi e cure dei loro mali? Quell’uomo che non trae alcuna gioia dalla dipendenza assoluta dei suoi pazienti nei suoi confronti? O sono invece quel bieco opportunista, indifferente a qualsiasi sentimento (…dalle sofferenze altrui, le privazioni, le angosce, fino al senso di dominio assoluto sui pazienti e non solo sui pazienti poiché chiunque può essere un potenziale malato e finire sul lettino del reparto…), perché s’ingozza di vil danaro ogni giorno di più? È per il benessere che sono stato così cieco fino a oggi? Per la villa…  Le vacanze al mare negli hotel? La macchina di lusso? Per questo sono stato pronto a recitare la parte dell’uomo buono e generoso? Credo fino in fondo al giuramento d’Ippocrate? Credo ancora nel potere del bastone di Esculapio? Non lo so, Lilia. Proprio non lo so più. So solo di essere saturo dello schifo e dello squallore che vedo in nosocomio ogni giorno. Ho chiuso. Basta. È finita”

Ma queste parole, così vaghe per una persona concreta come sua moglie, avrebbero fatto breccia nel terreno secco della sua comprensione? Se queste parole non fossero bastate, Floris sarebbe andato sullo specifico.

“Vedi, Lilia, quest’ultimo anno ho pianto e urlato, ho pulito gli escrementi di pazienti che ne avevano bisogno, ho tagliato le gambe a una ragazza, ho dovuto dire a una donna che il suo compagno stava morendo, ho detto a un uomo che non gli sarebbe rimasto molto da vivere, ho detto a una madre che suo figlio non ce l’avrebbe fatta. Guardami! Sono magro e scavato come uno scheletro. Guardami! Sono quasi più magro di te. La notte non dormo soffocato dall’ansia. Guardami!”

Queste parole, ascoltate in più e più occasioni da infermiere e infermieri, e riadattate alla bisogna, avrebbero fatto breccia?

Ah, Floris non è in grado dirlo.

Ormai, comunque, la frittata è fatta.

Da domani è ufficialmente disoccupato.

Il pensiero gli incendia ancor più il sasso rovente nello stomaco.

Altro che rende il rospo nello stomaco ancora più insopportabile è l’assoluta spensieratezza di Lilia. Sono in un centro commerciale e sua moglie cammina tra negozi e rivenditori di pizza al trancio con l’aria di una bambina che veda queste cose per la prima volta. In effetti, a pensarci, in un certo senso è così. Il centro commerciale è appena stato inaugurato. Ci sono ancora festoni colorati che si intrecciano tra una campata e l’altra dell’enorme costruzione in blocchi di granulato e travi d’acciaio smaltate per lo più di bianco. Un Centro Commerciale in grande stile. Dotato di enormi corridoi. Vie che si intersecano e formano due piazze. Più gli enormi ingressi. Su una “piazza” al centro c’è un pianoforte a coda nero e scintillante. Un uomo vestito elegantissimo sta suonando un repertorio classico. Le note del pianoforte si possono distinguere nonostante la musichetta delle radio in sottofondo anche a una decina di metri. Nell’altra piazza, invece, oltre a un recinto con giochi per bambini, c’è una fontana molto coreografica, quasi più polimerizzata e colorata del recinto stesso. Lilia ne rimane particolarmente attratta. Rimane lì per minuti e minuti a osservarla, muovendo su e giù i suoi grandi occhi proprio come una bambina. A guardarla, Floris rimane colpito. Il candore di una donna capace, in altre circostanze, di sbranare a puntino il cliente rappresentato dall’avvocato avversario in una contesa legale. Questo capitolo rosa nella giornata di Lilia non gli è certo d’aiuto in quel che le deve dire. Così, restano lì, ad ammirare in silenzio la fontana.

A Floris è capitato solo un’altra volta, se mal non ricorda, di vedere una fontana simile. Ad Atlantic City, nello Stato del New Jersey, negli Stati Uniti. Dopo una passeggiata sulla streep davanti all’oceano atlantico aveva consumato un classico menù hamburger e patatine in una catena di cui non rammenta il nome. In questo fast-food c’erano palme di plastica e una lunga vasca piena d’acqua azzurra come quella delle piscine. Ogni tanto dalla piscina spuntava un enorme coccodrillo di gomma. Rammenta bene come in quel locale mentre mangiava si mettesse a piovere con rumori di bufera e tutto oppure si abbassassero le luci e si illuminasse una serie di lampadine a significare cielo stellato. Alternanza giorno e notte. Senza dubbio un’esperienza singolare. Non pensava gli sarebbe più tornata in mente così viva nella memoria.

La fontana che ha ora davanti è simile a quello scenario. Una vasca di forma oblunga si distende per una decina di metri circa ed è larga tre almeno. La profondità arriverà, a occhio, a un metro, forse meno. Il fondo è azzurrino, l’effetto è tale e quale a quello prodotto dalle piscine. Sulla superficie dell’acqua galleggiano paperelle. Floris riconosce anche stelle dorate e foglioline argentate. C’è anche un coccodrillo di gomma con grandi occhi bianchi sporgenti? No. Non c’è. In compenso, per tutta la lunghezza della vasca c’è un pannello colorato a mo’ di sfondo. Disegnati sopra con colori molto accesi, con una grafica da cartone animato, ci sono alberi tropicali, con sontuosi frutti appesi ai rami, qualche pappagallo in primo piano, il muso sorridente di un gorilla sul lato del paesaggio, colline verdi, cielo azzurro, un paio di ghirigori bianchi a significare nuvole, e animali da zoo assortiti: un elefante, una giraffa, un rinoceronte, e sul lato opposto rispetto al muso del gorilla quello di un orso. Tutti caratterizzati da sguardi sorridenti su visi dalla fisionomia simpatica. Molto scenografico. Assieme a loro due sono lì fermi dalla fontana, com’è ovvio, dei bambini. Osservano l’acqua. Qualcuno allunga una mano per pucciarla nella vasca.

Lilia sta osservando rapita la fontana. Ha gli occhi grandi e luccicanti. Floris si domanda quali fantasticherie di bimba le stiano passando nella testa. Anche se può quasi leggergliele in quegli occhi spalancati e lucenti. Nulla fa presagire le parole confuse che sua moglie pronuncia seguitando a guardare i colori accesi della fontana.

“Pensi mai che la Trinità potrebbe essere in conflitto?”

“Co… Come, Lilia?”

Floris le lancia un’occhiata incredule.

“Dico, che Padre, Figlio e Spirito Santo siano in disaccordo tra di loro. Entrino in conflitto” fa Lilia senza staccare gli occhi dalla fontana.

“Cosa ti salta in mente, amore? Perché ti viene in mente una cosa simile?”

Lilia distoglie lo sguardo come riavendosi dall’incanto. Assume un’aria molto più sbarazzina. Solleva un angolo della bocca e stringe un occhio: un’espressione che a Floris risulta assai familiare. “Beh, questo spiegherebbe molte storture che ci sono oggi nel mondo. Non credi?”

Poi senza lasciarlo replicare, ma troncando quel dialogo sul nascere Lilia dice: “Andiamo?”