It, di Stephen King
di Marco Candida

[Avrei voluto scrivere questo articolo da quando sono alto così. Oggi che ho l’età di Bill Denbrough nel 1985, l’ho fatto. Forse, alla fine, anch’io ho affrontato il mio It]
Dedicato con affetto a Stephen King
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Stephen King ha scritto It tra il 1981 e 1985. Un dato non secondario se si considera che nell’edizione italiana It consta complessivamente di ben 1238 pagine. I protagonisti sono sette: Mike, Bill, Richie, Ben, Eddie, Stan e Beverly. L’antagonista è uno e settuplo: It è un’entità multiforme che di volta in volta si presenta come uccello gigantesco, mummia, lebbroso, lupo mannaro, ragno gigante…, ma gira per Derry preferibilmente nei panni di un pagliaccio. Tra i personaggi non protagonisti spiccano Audra Philips la moglie di Bill (leader dei sette ragazzi) e Tom Rogan il marito di Beverly (antesignano di Norman Bates nel romanzo Rose Madder). Poi ci sono anche grandi personaggi secondari come Mr. Keene il gestore del Drug Store Center di Derry (quello dell’effetto “placebo”; la medicina per l’asma di Eddie è in realtà acqua zucchero e un pizzico di canfora); Adrian Mellon (l’omosessuale divorato da It: la vittima che nel 1984 segnala il risveglio trentennale del mostro di Derry); Will Hanlon che racconta al figlio Mike i misteriosi incidenti occorsi ogni trent’anni circa nella cittadina di Derry; e poi Henry Bowers assieme a Belch Huggins e Victor Criss nella parte dei bulli che danno la caccia a Bill &Co.; Richard P. Macklin… senza dimenticare personaggi di sfondo divinamente tratteggiati quali Mandy Fazio o Rena Davenport o il sergente Wilson o Patrick Hockstetter… Infine c’è Derry. Derry è un personaggio del romanzo tanto quanto lo sono Ben o Richie, ma assai più complesso da raccontare essendo Derry un’intera città. La narrazione trabocca di storie – fatti a se stanti e dotati ciascuno di originalità. E va da sé che, essendo il numero di protagonisti così ampio, gli intrecci sono molto numerosi.
Date tali premesse, suona piuttosto comprensibile domandarsi: ma come c’è riuscito, Stephen King, a gestire una tale congerie di personaggi e situazioni?
La risposta più immediata è che Stephen King sia dotato di capacità mostruose. Si può essere bravi e capaci per trecento pagine, per cinquecento pagine, ma per mille e passa pagine e per di più scritte in poco meno di quattro anni l’impresa dà le vertigini – e ad alcuni fa venire i vermi. King viene da un altro pianeta. Quando sei un po’ più cresciutello, una possibile risposta (mentre magari ti sei appena spremuto qualche goccia di limone nel naso per farti passare la sbornia seduto al bancone di un bar come Ben Hanscom di ritorno a Derry) è che King si faccia aiutare. La moglie. I figli. Amici. Un’altra risposta possibile la fornisce King stesso nella sua autobiografia On writing. Per qualche tempo l’autore del Maine ha fatto uso di sostanze stupefacenti. Rimane il fatto che It ha una mole talmente spaventosa che la questione è ugualmente difficile da chiudere. Esiste un motivo reale, razionale e leale? Come riesce, quest’uomo, a essere così mostruosamente in gamba? La risposta si trova analizzando il testo.
Sta tutto nella prospettiva. Siamo abituati a leggere un romanzo dalla prima all’ultima parola. Non saltiamo le pagine. Se qualcuno salta a leggere l’ultima pagina di un libro, lo guardiamo come se avesse appena compiuto uno dei più grandi gesti sacrileghi al mondo. Leggiamo parola per parola procedendo dall’alto verso il basso. Leggiamo verticalmente. Non orizzontalmente. Questo non permette di accorgersi delle regolarità: consente di gustarle, forse; ma non di vederle. Chiunque impazzirebbe se dovesse gestire una quantità così numerosa di personaggi e situazioni come quelle presenti in It – cocaina o non cocaina, aiutanti o non aiutanti, marziani, venusiani o semplici terrestri che si sia. Impazzirebbe o, con minor enfasi, si perderebbe e mollerebbe lì. Almeno che si desse regole. Un metodo.
Osserviamo il testo.
Il libro è diviso in varie parti. C’è una parte prima e c’è una parte quinta (quella del Rito di Chüd che permette ai protagonisti di sconfiggere It); ci sono sezioni definite “interludi” e sono resoconti in prima persona scritti da Mike; ci sono capitoli scritti interamente in corsivo e altri scritti a caratteri normali; e poi ci sono i vari personaggi principali e secondari. Ora, sforziamoci di considerare questi come elementi d’ordine, segnali di regolarità. Alcuni elementi sono quelli più comuni e ovvi come dividere il testo in parti e capitoli. Servono, come al solito, a razionalizzare, enfatizzare, creare suspense, incuriosire. Altri elementi sono però meno ovvi.
Prima di analizzare questi elementi, tuttavia, è forse utile fermarsi e riassumere la trama del romanzo di modo da avere lo sfondo generale di ciò di cui stiamo parlando. Essendo un romanzo assai espanso, It si può riassumere in più modi. E’ innanzitutto la classica storia di un mostro che commette omicidi in serie. Il travestimento che il killer usa è quello di un clown simile a Pennywise, Bozo, Clarabella e Ronald McDonald. Si veste così per attirare meglio le prede, che sono i bambini. Un altro modo di riassumere la storia narrata da Stephen King è considerarla la vicenda di una cittadina del Maine di nome Derry interamente posseduta da uno spirito maligno che la fa diventare teatro di eventi sovrannaturali e terrificanti. Ci sono storie di possessioni diaboliche di singoli soggetti o di gruppi di persone, ma non di un’intera comunità. It è la storia della possessione da parte di un demone maligno di una città intera. Il romanzo può essere altresì presentato come l’impresa da parte di un gruppo di ragazzini e di adulti nell’opporsi a tale entità malefica e sovrannaturale. O addirittura, più in specifico, la vicenda di come Bill si vendichi dell’efferata uccisione (un braccio brutalmente strappato via) del suo fratellino Georgie da parte di un essere malvagio. Ora che abbiamo un’idea di quale sia la storia di It, possiamo proseguire, analizzando quelli definiti poco fa come “elementi d’ordine”, “segnali di regolarità”. Quale metodo, insomma, Stephen King abbia impiegato per gestire un romanzo di grandezza così mastodontica come It.
Prendiamo gli “Interludi”. Se leggiamo gli Interludi uno di seguito all’altro non solo rileviamo che si tratta di resoconti circa le apparizioni di It a Derry nel corso di decenni e addirittura secoli, ma sono anche, ecco il dato realmente interessante, la narrazione di scene di scazzottate, esplosioni, incendi e sparatorie che coinvolgono una gran massa di personaggi. Si concludono sempre così. Perciò ogni volta che in It incontriamo un Interludio, non c’è scampo: ci aspetta una scena assai spettacolare, pirotecnica e violenta.
Il primo Interludio narra l’esplosione delle Ferriere Kitchner. 1906. Nelle Ferriere si svolge una caccia all’Uovo di Pasqua. Vi partecipano numerosi bambini di Derry. Durante la caccia all’uovo le Ferriere esplodono. In realtà questo primo interludio è la prova generale di quel che verrà più tardi. King ha ormai le idee chiare: per mostrare quanto Derry sia una città in balia di forze sovrannaturali e malintenzionate, si dedicherà, negli Interludi, a scene di omicidi di massa. Dopo circa quaranta pagine dove il padre di Mike racconta le sue disavventure alle prese con un sergente matto come un cavallo che lo costringe a scavare fosse per seppellirci feci (e l’episodio del sergente Wilson potrebbe benissimo essere una storia a se stante) si narra dell’incendio al Punto Nero. A scatenarlo è la Legione Bianca – una sorta di Ku Kux Klan locale. E’ il 1930. Il Punto Nero è una vecchia baracca di lamiera ondulata che diventa un circolo di ritrovo per uomini e donne dalla pelle di colore scuro. Da quel gran narratore che è, King racconta magistralmente le vicende del circolo (dove lavora anche Dick Halloran; quello di Shining), tira fuori dal cilindro personaggi su personaggi ai quali assegna mestieri, hobby (il jazz e il Dixieland in particolare) e ideali. Ti ci fa proprio affezionare, poi fa crepare tutti e buona notte al secchio; e questo in King è un classico: forse persino il segreto del suo successo, anche se bisogna essere bravi come lui a narrare e a creare la giusta intimità. Questa volta quel che viene descritto è un incendio – e al Punto Nero si scatena un autentico finimondo.
Il terzo interludio racconta l’esecuzione della banda Bradley in centro città. Anche qui è interessante notare una cosa: un climax. Se nei primi due interludi gli incidenti narrati sono tutto sommato verosimili, man mano che si prosegue ci si addentra sempre più nel regno dell’improbabile. Nel terzo interludio, infatti, si verifica una sparatoria con moltissimi soggetti coinvolti nel bel mezzo di una cittadina di cinquantamila e pussa abitanti alla quale partecipa pure un bel mucchio di cittadini. Nel quarto interludio si narra addirittura di un uomo che si presenta in un locale affollato di Derry con un’ascia in mano e l’abbatte su quattro astanti seduti a un tavolino mentre gli altri presenti seguitano a giocare a carte come se nulla fosse. It rende possibile tutto questo: quell’It che si manifesta nel secondo interludio sottoforma di uccello gigantesco tenuto in aria da un mazzo di palloncini colorati all’estremità e che partecipa alla sparatoria del terzo interludio sparando con fucili dalle forme ridicole da un balcone e sfidando ogni legge fisica della gravità.
Ora che abbiamo reso l’idea su questo punto, passiamo alle parti scritte in corsivo. Ogni volta che si apre una nuova Parte (Prima Parte, Seconda Parte…), c’è un capitolo in corsivo. Se si leggono queste porzioni di testo una di seguito all’altra (compiendo perciò il gesto sacrilego di saltare pagine e pagine) ci si rende conto che ognuna di esse oltre a introdurre il personaggio protagonista della vicenda che sta per essere raccontata (Eddie piuttosto che Stan piuttosto che Richie o Beverly), fornisce anche una sorta di riassunto o di quello che è già accaduto (per dar modo al lettore di raccapezzarsi meglio: i romanzi voluminosi sono fatti anche di grandi riassunti dei capitoli predenti) o di quello che sta per avvenire, di solito attraverso l’espediente del recupero della memoria causata da amnesia.
Ecco un esempio. Pagina 715: “Bill ripensa a Silver, lasciata contro la parete del box di Mike in Palmer Lane. Da lì i suoi pensieri procedono naturalmente al giorno in cui si sono ritrovati ai Barren – tutti tranne Mike – e ciascuno aveva raccontato la sua storia di nuovo: lebbrosi sotto le verande; mummie che camminano sul ghiaccio; sangue che sgorgava dagli scarichi e bambini morti nella Cisterna e fotografie che si animavano e lupi mannari che inseguivano ragazzini per vie deserte.”. Altro esempio. Pagina 179. “Ben si fruga nella tasca del gilet, ma i dollari d’argento non ci sono più. Sono usciti da quella tasca per finire in quella di Ricky Lee. A un tratto rimpiange di non averne conservato almeno uno. Avrebbe potuto essergli utile. Potrebbe naturalmente presentarsi in qualunque banca – salvo in quel momento in cui si trova a sobbalzare nell’aria a novemila metri – e procurarsene una manciata, ma a nulla servirebbero quei dozzinali sandwich di rame che oggigiorno il governo cerca di far passare per monete vere. E per lupi mannari e vampiri e tutti gli esseri che si risvegliano alla luce delle stelle, c’è bisogno di argento. Sano, autentico argento. Serve argento per fermare un mostro. Serve… Chiude gli occhi. L’aria intorno a lui risuona di carillon. Carillon? No… campane. Erano campane, era la campana, la campana delle campane, quella che aspettava per tutto l’anno, una volta esauritasi l’eccitazione della ripresa delle attività scolastiche, cosa che accadeva puntualmente alla fine della prima settimana. La campana, quella che segnalava il ritorno della libertà, l’apoteosi di tutte le campane di scuola.”.
Ovviamente le parti in corsivo servono anche e soprattutto a presentare i personaggi da adulti. Ognuno ha una storia. Beverly subisce violenza domestica dal marito Tom – tema caro a King. Bill è diventato uno scrittore di romanzi horror – lui che nel 1957 aveva dovuto affrontare la tragica scomparsa del fratellino Georgie. Ben è un architetto – lui che aveva costruito la diga dei Barren. Richie un comico di successo – quello stesso dodicenne che faceva le voci di Pancho Vaniglia e Bonifacio Sbavabaci… C’è simmetria, regolarità, anche qui. Le potenzialità dei personaggi da giovani si esprimono pienamente nei personaggi adulti – e forse anche questo elemento conquista i lettori giovanissimi.
Questa specularità non soltanto consente a Stephen King di non perdersi nella narrazione (e permette a noi lettori di seguire il filo della narrazione in modo agevole), ma giustifica anche come mai questi sette adulti ventotto anni dopo si presentino difronte a It e siano ancora così forti, temibili per un mostro che si nutre soprattutto delle paure dei bambini. In un certo senso, Bill, Ben, Richie, Bev, Eddie e Mike sono ancora gli stessi. Le aspirazioni, i desideri e le paure che avevano da piccoli sono le stesse di quelle che hanno da grandi. Con l’eccezione che oggi Bill&Co. ci hanno costruito sopra un mestiere e ci guadagnano soldi. Infine sempre nelle parti in corsivo, come nel resto della narrazione, non si risparmiano apparizioni terrificanti. Una su tutte: la testa di Stan Uris nel frigorifero di Mike Hanlon.
Ora passiamo ai personaggi. Ognuno dei protagonisti di It da bambino ha qualche problematica che viene poi superata in età adulta per riaffiorare progressivamente con il ritorno a Derry. Bill tartaglia. Ben è grasso. Eddie soffre di asma ed è succube della madre. Beverly riceve violenze da suo padre. Anche qui, schematizzata in questa maniera, la faccenda è ricca di suggestioni. Derry è una cittadina con qualcosa di strano. E’ una cittadina sbagliata. Chi torna a Derry recupera i difetti di un tempo: torna a essere strano. Perciò è Derry a rendere strani i suoi abitanti. Cosa che, in fondo, accade a ciascuno di noi quando torniamo nelle nostre città d’origine: ridiventiamo quello che eravamo, quello che siamo, quello che siamo sempre stati e probabilmente saremo sempre a dispetto di quanta strada abbiamo fatto. La magia di Stephen King è di riuscire a far vibrare un’esperienza comune a tutti all’interno di una storia del tutto singolare e inverosimile – la famosa “verità dentro la bugia”. Così Bill torna a tartagliare. Richie si rimette a fare le vocine. A Eddie torna l’asma. E dato che il padre di Beverly è morto, ci pensa il marito Tom Rogan a inseguirla e perseguitarla. Queste simmetrie rendono il testo più facile da gestire oltre che essere ricche delle suggestioni appena dette.
Ma c’è qualcosa di più. Abbiamo visto che negli interludi King si dedica alla descrizione di scene di tragedie di massa. Che sia una sparatoria o una scazzottata al bar o un incendio, quando si siede alla macchina da scrivere, Stephen sa in che direzione orientare la sua immaginazione. Lo stesso dicasi per le parti in corsivo e la stessa cosa vale anche per i personaggi. King ha tutta questa impressionante quantità di personaggi da gestire e quando si siede al computer, per quanto possa essere in gamba e geniale, deve per forza arrivare il momento in cui si dice: “Bene, e adesso cosa faccio fare a questo e a quello? In quali situazioni li metto?”. Per scavalcare l’ostacolo, il Re assegna a ogni personaggio una situazione specifica: quando compare quel personaggio, ci sarà sempre quella stessa situazione. A esempio, ogni volta che compaiono Henry Bowers, Belch e Victor ovvero i bulli che perseguitano i giovani protagonisti del romanzo, Stephen King sa che dovrà mettersi a scrivere una scena di inseguimento e di scontro tra ragazzi. Dopodiché King da quel genio narrativo che è si sbizzarrisce; ma sa con estrema chiarezza quali sono le rotaie che deve percorrere. L’autore del Maine ci regala così la scena della sassaiola ai Barren; la scena dell’incisione della lettera H (iniziale di Henry Bowers) sul pancione di Ben; la scena delle scoregge incendiate – dove fa capolino il bel personaggio di sfondo rappresentato da Rena Devenport; tutte quante scene una più memorabile dell’altra.
Anche i personaggi scomparsi hanno qualcosa in comune. Nel Capitolo 2 (pagina 17), nel Capitolo 6 (pagina 270) e nel Capitolo 17 (pagina 879) si narra come Adrian Mellon, Eddie Corcoran e Patrick Hockstetter finiscano nelle grinfie di It e schiattino. Mellon è omosessuale. Eddie Corcoran scappa di casa e si rifugia nel Ponte Dei Baci di Bassey Park. Il Bassey Park è frequentato da omosessuali e Eddie mentre lascia le gambe a penzolare sul Kenduskeag pensa che non gli importi e che nessun omosessuale lo abbia mai molestato o infastidito ossia fa pensieri indulgenti e tolleranti nei confronti dell’omosessualità. Infine Patrick Hockstetter viene sgamato mentre si produce in atteggiamenti decisamente ambigui nei confronti di Henry Bowers. Beverly è ai Barren. Becca Henry e la sua banda totalmente nudi. S’incendiano scoregge uno con l’altro. E c’è anche Patrick Hockstetter. Pagina 894.
“Patrick teneva una mano fra le cosce di Henry e un’altra fra le proprie. Con una mano dava dei colpetti al coso di Henry; con l’altra si massaggiava il suo. Solo che non era esattamente un massaggio, ma qualcosa di più complesso, perché se lo… strizzava, lo tirava, lo lasciava ricadere. Che cosa stava facendo?, si domandò Beverly sbigottita. […] Vide che il coso di Patrick era diventato un po’ più lungo, ma non molto. Gli pendeva ancora tra le gambe come un serpentello senza vertebre. Quello di Henry invece era cresciuto sorprendentemente…[…] “Se lo dici in giro…. – lo minacciò Henry – Ti ammazzo”.”.
In realtà la personalità di Patrick Hockstetter è assai più complessa e oscura di quella di Adrian Mellon e di Edward Corcoran. Infatti Hockstetter dà la caccia a cani e gatti e li schiaffa in un frigorifero arrugginito nella discarica dei Barren e, a quanto pare, ha ammazzato il fratellino neonato. In poche parole, Hockstetter è uno psicopatico. Ma non ha importanza: quello che importa è di aver in comune con Adrian e Edward una certa propensione all’omosessualità.
Perché King sceglie di raccontare estesamente questi tre casi? E perché, se questi tre casi sono emblematici, dovrebbe esistere una correlazione con Bill&Co.? A quest’ultima domanda forse si può rispondere che Bill, Ben, Richie, Eddie, Mike e Stan siano dei deboli. Questo attira It. Il Club dei Perdenti è un Club di Femminucce. E infatti che cosa fanno i sette nemici di It prima d’incontrarlo? Hanno un rapporto sessuale di gruppo con Beverly. Anche questo ha il sapore di un rito. Abbattendo la paura del sesso e della donna, i sette amici tengono lontano lo spettro dell’omosessualità e sono pronti ad affrontare It – a parte il fatto che la loro amicizia è cementata da quella forza implacabile chiamata amore. Alla prima domanda, invece, la risposta potrebbe essere che It rappresenta, tra le altre cose, l’AIDS. Pensiamoci. Esattamente come il virus dell’AIDS It cambia continuamente forma. E’ il parassita di una cittadina. E predilige gli omosessuali o comunque i deboli. Sebbene questa interpretazione nel testo non sia avvallata da nessuna parte, di sicuro nel 1985 l’AIDS seminava terrore nelle menti di ognuno.
A ogni modo, questo tentativo d’interpretazione porta a domandarsi: chi è veramente It? It potrebbe metaforicamente rappresentare l’AIDS così come potrebbe essere la versione aggiornata del Babau nell’armadio. Si nutre di paure. Predilige i bambini trovando gli adulti più complicati da adescare. Apre le ghiandole delle sue vittime perché le sostanze chimiche della paura inondino i corpi salando la carne – come si legge a pagina 1108. La paura, insomma, rende più saporito il pasto. Per sconfiggerlo – sconfiggere It definitivamente – ci vogliono il Rito di Chüd e la filastrocca “Stanno stretti sotto i letti sette spettri a denti stretti”. La filastrocca serve a tenere lontana la paura; senza paura si diventa inattaccabili e se si diventa inattaccabili, si può vincere. Ma perché scegliere proprio il Rito di Chüd? Chi è It?
It è un essere che viene prima della creazione dell’universo. Richie Tozier crede di vederlo precipitare sulla Terra milioni di anni fa a bordo di un’astronave, ma poi aggiunge che potrebbe essere solo la sua mente a farglielo vedere così. It è un’entità che viene prima dello spaziotempo. Non solo, ma i suoi antagonisti non sono soltanto sette bambini e la Tartaruga, ma anche (e soprattutto) l’Altro. La Tartaruga è una forza del bene, persino più antica di It, sul cui guscio stanno appoggiate centinaia di galassie, soli e costellazioni. E’ stata la Tartaruga a creare l’universo vomitandolo, ma poi è si è soffocata da sola in modo alquanto goffo vomitandosi due galassie nel guscio. L’Altro, invece, è un essere più misterioso. It, i sette ragazzi, la Tartaruga, Derry e pertanto anche quel vomito di tartaruga che è l’Universo sono creazioni dell’Altro. Secondo alcune fonti l’Altro viene identificato come un essere onnipotente simile al dio giudaico-cristiano; ma, in fondo, potrebbe anche essere che l’Altro, se si chiama così, è perché appunto “altro” da qualsiasi definizione. L’Altro è la Metafora. Cosa sono It, la Tartaruga e i sette ragazzi? Sono una metafora: una metafora di qualcosa d’infinitamente ed eternamente più grande, importante e sfuggente. Dunque, se la questione è così teologicamente rilevante – e in un altro grande romanzo kinghiano su Derry, ovvero Insomnia, si trovano altre gustose spiegazioni –, allora perché King sceglie proprio il rito di Chüd?
Nel 1958 i ragazzi sconfiggono It con una pallottola d’argento. Sì, perché It può assumere le forme che vuole, ma, assumendole, assume anche i punti deboli. Che straordinaria idea di matrice protestante! It è come Gesù – quell’It che sotto forma di mummia cammina su un canale ghiacciato davanti agli occhi strabuzzati di Ben Hanscom. Gli antichi romani usarono una lancia per ammazzare il dio che si è fatto uomo. I sette bambini partoriti dalla fantasia di Stephen King contro il demone che si è fatto lupo mannaro usano, invece, una fionda e una bilia d’argento. Ma tanto nel 1958 che nel 1985 sia i ragazzi che gli adulti devono utilizzare il rito di Chüd. E che cos’è questo rituale?
It ha scagliato una malia su Derry ossia un incantesimo malefico e il rituale di Chüd è un modo per liberarsene. Si tratta di un rituale himalayano collegato al Wakan Tanka dei Lakota ossia Il Grande Spirito. Perciò It potrebbe rinviare, sia pure attraverso un rito degli indiani himalayani, a demoni presenti anche nella tradizione degli indiani d’America. Questo è un omaggio a HP Lovecraft, dettaglio che potrebbe rivelare anche la vera identità di It. It potrebbe infatti essere Yig: un Grande Antico del pantheon lovercraftiano noto anche col nome di Padre dei Serpenti. In una rappresentazione grafica di Patrick McEvoy Yig viene dipinto con la faccia da rettile e uno stuolo di serpenti ai piedi, ma, dato interessante, Patrick McEvoy aggiunge una sorta di raccapricciante criniera di color rosso-arancione attorno al muso di Yig – una criniera che assomiglia tremendamente al colletto svolazzante della divisa di un clown. In effetti le sembianze di It non sono mai perfettamente delineate: c’è sempre qualcosa che non torna, nelle molteplici decrizioni fornite. It è Yig.
Se le cose stanno così, It potrebbe rappresentare anche la nemesi del cosiddetto Olocausto Americano. Sepolto sotto un omaggio letterario pulsa il senso di colpa ancora cocente per la catastrofe demografica dei nativi americani. Anche in Shining di Stanley Kubrick (tratto da un romanzo di King antecedente a It) è possibile una lettura del genere. Anche in Creepshow 3 (un film non particolarmente memorabile) la statua di Vecchio Capo Testa Di Legno prende improvvisamente vita in un emporio e si vendica di una coppietta che ha commesso una rapina uccidendo i proprietari del negozio. Gli americani hanno preso possesso di un territorio col sangue, e provano ancora senso di colpa, hanno ancora paura. It potrebbe metaforicamente rappresentare quell’insieme di colpe.
Comunque stiano le cose, ciò ci conduce a un’altra osservazione: il romanzo di Stephen King è disseminato di omaggi letterari: omaggi a piene mani a HP Lovercrat; Lo squalo – che nuota nella discarica dei rifiuti della cittadina di Derry; Alien – quando il ragno gigante depone le uova nella caverna; Hansel e Gretel – quando Beverly torna nella casa dove abitava con suo padre e incontra un’anziana signora che si trasforma in una strega; Cappuccetto Rosso; la Mummia; il Licantropo; Dracula; eccetera. Questo, assieme agli altri elementi già individuati, consente alla fantasia di King di scatenarsi entro percorsi ben collaudati: si tratta per lo più di riscritture, attualizzazioni, approfondimenti, migliorie di modelli e archetipi preesistenti. Senza dimenticare, come abbiamo visto, che lo schema generale dell’opera è tutto sommato tra i più lineari in assoluto: un assassino desidera eliminare un per uno sette ragazzi e dà loro la caccia finché non ci riesce – da Jack Lo Squartatore in avanti. Tutto questo contribuisce a creare regole, percorsi, binari. Forma un metodo.
In conclusione, riassumendo: King prende lo schema di una storia non complessa; moltiplica il numero dei protagonisti e degli antagonisti: ci sono sette protagonisti e almeno sette mostri da affrontare più la banda rivale formata da tre antagonisti umani; moltiplica il numero stesso dei protagonisti per due dato che li racconta da piccoli e da adulti e quindi è come se fossero quattordici; moltiplica gli antagonisti: in età giovane sono Henry, Chris e Belch e in età adulta diventano Henry, Tom e Audra – quest’ultima non è un’antagonista, ma esattamente come Tom rincorre il marito Bill a Derry e gli procura un grosso dispiacere finendo imbozzolata nelle caverne sotterranee abitate da It; moltiplica per due gli scontri finali e tutto quello che serve allo scontro: due stratagemmi per sbarazzarsi di It, due periodi storici differenti, quasi due di tutto, con relative analogie e differenze; assegna a ogni personaggio una situazione che si ripete di volta in volta – ad esempio a Tom Rogan assegna il ruolo di carogna che dà la caccia alla moglie fuggita incollerendosi sempre di più; assegna, in modo più ordinario, una caratteristica fisica o emotiva a ogni personaggio – a Bill il coraggio e la balbuzie; a Ben lo spirito romantico e l’obesità; a Stan la razionalità; a Eddie la capacità d’orientamento e il problema dell’asma …; segue la pista degli omaggi letterari riscrivendoli in chiave moderna; e cala il tutto in una cittadina americana contemporanea provvista di una Cisterna, di una rete idrica urbana, canali di scolmo e pompe di drenaggio (le tane dei Morlock, come le chiama Ben), una cava di ghiaia, una discarica di rifiuti, un parco col Ponte dei Baci, un fiume: il Kenduskeag, un centro cittadino, una biblioteca, vie, case. Sentite che descrizione straordinaria (considerato che è tutto nella mente dell’autore) dell’inondazione che distrugge Derry in seguito alla morte di It. Pagina 1194.
“Alle dieci la vibrazione costante che scuoteva le strade del centro cittadino di Derry crebbe d’intensità per trasformarsi in un brontolio minaccioso. […] Il brontolio crebbe progressivamente finché le finestre cominciarono a schiantarsi, dai soffitti caddero i primi calcinacci e i gridi disumani delle travi sotto pressione e delle fondamenta si fusero in un coro di distruzione. La facciata crivellata di proiettili del Manchen si aprì in crepe profonde simili ad artigli rampanti. I cavi che reggevano la locandina dell’Aladdin saltarono e il grande tabellone si schiantò al suolo. Il Richard’s Alley, che correva dietro la farmacia di Center Street, fu riempito improvvisamente da una valanga di mattoni gialli per il crollo del Brian X Dowd Professional Building, eretto nel 1952. Si sparse nell’aria un enorme banco di nebbia gialla che fu strappato via dal vento come un velo. […] Esplose la statua di Paul Bunyan davanti al City Center […] Alle dieci e due minuti il centro di Derry sprofondò. Il grosso dell’acqua rovesciato dalla Cisterna aveva attraversato Kansas Street ed era finita nei Barren, ma alcune tonnellate di quell’onda micidiale scese dall’Up-Mile Hill nel quartiere commerciale. Questo fu forse il colpo fatale… o forse, come dichiarò Harold Gardener a sua moglie, ci fu davvero un terremoto. Crepe dapprima sottili si spalancarono come fauci affamate e ne scaturì il rumore del Canale ora spaventosamente forte. Tutto cominciò a tremare. L’insegna al neon del negozio di calzature dirimpetto alla vetrina di souvenir di Shorty Squires piombò nella via e andò in corto circuito in un metro d’acqua. Qualche istante dopo, l’edificio che ospitava il negozio di Shorty, accanto a Mr. Paperback, cominciò a discendere. […] A tutti sembrò di vedere scendere sotto terra un enorme ascensore. L’edificio sprofondò con solenne dignità. Quando il fenomeno cessò, sarebbe stato possibile entrare nello stabile carponi, passando dal marciapiede inondato in una delle finestre del terzo piano. Lo spostamento dell’acqua provocò un’onda che si alzò tutt’intorno all’edificio e poco dopo sul tetto apparve Shorty Squires in persona, che gesticolava come un matto chiamando aiuto. Il suo tentativo di mettersi in salvo fu vanificato dallo sprofondamento immediatamente seguente dell’attiguo palazzo di uffici, quello che ospitava Mr. Paperback al pianterreno. Disgraziatamente non s’inabissò diritto come l’altro: il palazzo di Mr. Paperback s’inclinò vistosamente (per un momento in effetti ricordò non poco la famosa torre pendente di Pisa, quella che c’è sulle scatole dei maccheroni). […] “Dobbiamo andarcene da qui! Al! Presto! L’onda di ritorno! L’onda di ritorno!”.
Uno tsunami, insomma. Stephen King sta descrivendo il fenomeno dello tsunami in una cittadina del Maine. E naturalmente ogni volta che in alto a destra di un nuovo capitoletto compare la scritta “Derry”, Stephen King sa benissimo cosa deve fare e il lettore cosa attendersi: descrizioni di edifici che crollano, strade che si spaccano, tabelloni e insegne che precipitano fragorosamente al suolo sollevando frantumi di vetri e terriccio. Insomma anche in questo caso vale la regola che abbiamo individuato negli Interludi e in alcuni personaggi come Henry Bowers, Audra Philips o Tom Rogan.
Siamo partiti domandandoci come sia riuscito, Stephen King, a gestire un romanzo così capiente come It e analizzando il testo siamo arrivati a trovare regolarità oggettive. Importa relativamente l’indelicatezza di aver attribuito a King una volontarietà. Per quel che ne sappiamo Stephen King può aver scritto It una parola per volta dall’inizio alla fine senza seguire alcun metodo e alcuna regola e affidandosi al puro istinto. Rimane il fatto che il testo è lì e per quanto prodigioso possa sembrare quel testo può essere smontato pezzo per pezzo e osservato da lontano e da vicino leggendolo dalla prima all’ultima parola o saltando o dall’ultima parola alla prima. Il testo sta lì. Non ci sono segreti.
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Un’altra domanda che aleggia nell’aria quando siamo difronte a un tomo così voluminoso come It di Stephen King è: questo romanzo è leggibile o è illeggibile? Lo sappiamo: il miracolo di It è che, pur avendo l’aspetto di un mattone, si legge in un soffio. Questo elemento è sbalorditivo – e rivoluzionario. Ragazzi di tredici, quindici anni macinano pagine e pagine e capiscono tutto, si emozionano, conservano per sempre nel cuore quella storia. E’ lo stile magnetico di King che traina il lettore ovunque e la semplicità (la classicità) della vicenda che probabilmente ci danno l’impressione di capire – oltre naturalmente al fatto che non siamo mica dei fessacchiotti, non è vero? Ma, in effetti, se guardiamo il testo da più vicino, ci rendiamo conto che It è un romanzo meno semplice di quel che sembra.
Facciamo qualche esempio.
La spiegazione di che cos’è e a che cosa serve il Rito di Chüd arriva a pagina 731 del romanzo ossia trecento pagine prima dello scontro finale tra il Club dei Perdenti e It. Consiste in questo. Un santone hymalayano affronta lo spirito maligno – il taelus. Il taelus gli mostra la lingua. Il santone mostra la lingua a lui. Le lingue si sovrappongono e a quel punto entrambi vi affondano dentro i denti. Fino in fondo. In modo da restare inchiodati insieme, gli occhi negli occhi. A questo punto si comincia a raccontare storielle e indovinelli. Così a pagina 1152 il lettore si ritrova Bill che affonda i denti nell’immensa lingua di It (e tra l’altro è una rappresentazione mentale e non reale) e…. “ Chüd, mio Chüd, resisti, sii forte, sii valoroso, combatti per tuo fratello, per i tuoi amici; credi, credi in tutte le cose in cui hai sempre creduto, credi che se dici al poliziotto che si ti sei perduto, lui ti riaccompagnerà a casa sano e salvo, che c’è una fata che fa collezione di dentini e vive in un grande castello di smalto, e Babbo Natale costruisce giocattoli sotto il Polo Nord, assistito dalle sue schiere di elfi e il Capitan Mezzanotte esiste davvero, anche se Calvin e il fratello maggiore di Cissy Clark hanno detto che sono tutte bubbole da poppanti; credi che tuo padre e tua madre ti vorranno bene ancora, che il coraggio è possibile, e le parole ti usciranno di bocca corrette e senza esitazioni; non ci saranno più Perdenti, non ci sarà più nessuno rannicchiato a tremare in un cosiddetto club che non è altro che una buca nel terreno, non ci sarà più nessuno a piangere nella stanza di Georgie perché non sei stato capace di salvarlo; credi in te stesso, credi nel fuoco di quel desiderio”.
Ora, non è semplicissimo tenere a mente cosa sia il Rito di Chüd e come funzioni visto che la spiegazione viene fornita circa trecento pagine prima. Non solo, ma del Rito viene messa in scena una variazione, essendo, quella che si svolge nello scontro finale, una rappresentazione mentale e non fisica. Eppure molti tredicenni e quindicenni dichiarano seraficamente di aver letto It in tre giorni o in quindici.
Altro esempio. L’incipit di pagina 667 è: “All’indomani del giorno in cui Mike Hanlon aveva fatto le sue telefonate, Henry Bowers cominciò a sentire le voci”. In sé l’attacco è di una chiarezza lampante. Se non fosse che Mike Hanlon figlio di Will Hanlon (e ogni volta che Mike e Will entrano in scena assieme Stephen King sa che, tra le altre cose, dovrà immaginarsi storie di soprusi a sfondo razziale) comincia a fare le sue telefonate a pagina 43 e termina a pagina 155. Perciò tra il semplice incipit di pagina 667 e il Capitolo 3 dal titolo Sei telefonate (1985) ci sono in mezzo cinquecento pagine. E ciononostante il lettore procede come un treno emozionandosi e comprendendo ogni sillaba – accluso il fatto che Henry Bowers sia finito nel manicomio criminale di Juniper Hill dopo aver subito la condanna degli omicidi compiuti da It nel 1958 ai danni di Victor Criss, Belch Huggins e Veronica Grogan senza naturalmente dimenticare Patrick Hockstetter.
Altro esempio. La spiegazione di come sia fatta la rete fognaria di una cittadina di cinquantamila abitanti arriva a pagina 727 giusto due o tre pagine prima della spiegazione del rito di Chüd. Solo che i protagonisti di It scendono nelle gallerie sotto la città a pagina 1097 ovvero più di trecento pagine dopo la spiegazione. Non solo, il Capitolo 21 dal titolo Sotto la città nonché i capitoli successivi fanno avanti e indietro nel tempo narrando il duplice scontro finale con It avvenuto nel 1958 e nel 1985. Ma diamo un’occhiata alla spiegazione. Chi la fornisce è il padre di Bill, Zack Denbrough – quello che da quando gli è morto il figlio Georgie tratta l’altro figlio come un fantasma. Intanto si scopre che il fiume Kenduskeag attraversa Derry in un canale di scolmo. Poi arriva la spiegazione di cosa siano le pompe di drenaggio.
“Praticamente sono pompe aspiranti. Stanno in cilindri profondi tre metri e pompano il liquame e l’acqua piena dove il terreno diventa pianeggiante o è leggermente in salita. Sono vecchi macchinari e sarebbe ora che s’installassero pompe nuove, ma al consiglio si mettono tutti a piangere miseria ogni volta che l’argomento è all’ordine del giorno per la stesura dei bilanci preventivi. Se mi avessero dato solo venticinque centesimi per ogni volta che sono stato laggiù, nella merda fino alle ginocchia, a riparare uno dei motori… […] Guarda, qui c’è il Keduskeag e qui ci sono i Barren. Ora, poiché il centro della città è sotto il livello dei quartieri residenziali, vale a dire Kansas Street, Old Cape e West Broadway, il grosso degli scarichi della zona del centro deve essere pompato nel fiume. Questo mentre gli scarichi dei quartieri residenziali scendono praticamente da soli fino ai Barren. […] Un giorno o l’altro vieteranno di far scaricare le fogne nel fiume e tutta questa faccenda sarà finalmente chiusa. Per ora comunque abbiamo queste pompe nelle… come hai detto che le chiama il tuo amico?” “Tane dei Morlock” “Già. A questo servono le pompe nelle tane dei Morlock, e funzionano abbastanza bene eccetto quando piove troppo e i fiumi straripano. Questo perché i condotti a caduta e quelli muniti di pompe dovrebbero costituire due sistemi indipendenti, ma in verità s’incrociano dappertutto sotto la città. […] Dunque, l’unica cosa che bisogna tenere bene in mente sullo scolo delle acque è che va dappertutto. Il flusso si dirama in ogni passaggio disponibile. E quando l’acqua delle condutture si alza abbastanza da arrivare a quelle pompe, le mette in corto circuito. E questo vuol dire guai per me, visto che devo scendere io a ripararle”.
Questo spiega l’effetto terremoto di cui prima abbiamo visto le conseguenze. La pioggia fa straripare il fiume che allaga le fogne: se il sistema delle fognature si allaga troppo, esplode e si scassa, dando origine a un terremoto. Può essere interessante, tra l’altro, notare che è possibile rintracciare nel romanzo sia una spiegazione razionale sulle cause dell’inondazione che sconvolge Derry ossia l’esplosione dei condotti sotterranei delle fogne dovuta a eccessivo allagamento, sia una spiegazione sovrannaturale: poche balle, It crepando si è portando con sé l’intera città di Derry. E in questo Stephen King, che, com’è noto e come abbiamo visto, ha certamente molti debiti nei confronti di HP Lovercraft, fa pensare anche a un altro grande maestro ossia Edgar Allan Poe.
Ma andiamo avanti. “I canali principali della fogna saranno larghi forse due metri. Quelli secondari, che scendono nelle zone residenziali, avranno un diametro di un metro o poco più. Forse qualcuno è un po’ più largo. E, dammi retta, Bill, e vedi di ripeterlo ben chiaro ai tuoi amici. Mai e poi mai, per nessun motivo dovete entrare in uno di quei condotti, né per gioco, né per amor dell’avventura” “Perché?” “Dal 1885 in avanti ci saranno state almeno una decina di diverse amministrazioni locali che hanno via via ampliato il sistema. Durante la Depressione, la speciale amministrazione per i lavori pubblici fece costruire un intero sistema di drenaggio secondario e un terzo livello di fognatura. C’erano grossi stanziamenti per le opere pubbliche in quel periodo. Ma il tizio che dirigeva tutti quei progetti restò ucciso durante la seconda guerra mondiale e cinque anni dopo il dipartimento delle acque scoprì che quasi tutti gli incartamenti relativi erano scomparsi. Stiamo parlando di qualcosa come quattro o cinque chili di disegni finiti nel nulla tra il 1937 e il 1950. […] Quando tutto funziona, nessuno ci fa caso. Quando qualcosa va storto, ci sono tre o quattro poveri diavoli del dipartimento delle acque di Derry che devono andar giù a scoprire qual è la pompa che si è inceppata o dove si è verificata l’ostruzione. E quando devono scendere là dentro, è meglio che si portino dietro i viveri. E’ buio, è puzzolente ed è pieno di topi. Queste sono tutte ottime ragioni per non entrarci, ma la più importante è che ci si può perdere. E’ successo”
Questo è lo scenario nel quale i ragazzi si muovono a cominciare da pagina 1097. La spiegazione di pagina 727 consente a King di raccontare trecento pagine più avanti con tranquillità, senza allentare la corda della tensione, di sette ragazzi che si avventurano come i Goonies all’interno di un sistema fognario – facendo la stessa cosa anche da adulti. Quanto al lettore, forse nemmeno aveva bisogno di spiegazioni: lui è sgamato, capisce tutto. Specialmente poi se ha quindici anni.
Insomma, se guardiamo da vicino il romanzo di Stephen King, succede una cosa abbastanza buffa: da un lato ci rendiamo conto che un romanzo così è scrivibile (è l’opera di un uomo e non di un alieno), dall’altro ci rendiamo conto che non è così facilmente leggibile. Evidentemente la fantasia del lettore collabora molto nell’accettare quello che afferra realmente della storia narrata: è più o meno tutto chiaro, anche se non si ha un’idea precisa.
3
It rappresenta le paure dei bambini. Se un bambino va al cinema a vedersi Frankenstein, It si manifesta sotto forma di Frankenstein. Se un bambino prova paura per la statua di Paul Bunyan con l’ascia in spalla, It si trasforma in quella statua. Qualsiasi bambino ha paura dei piranha, e It non perde occasione per diventare un piranha. Bill ha perso il fratellino George. Non solo, ma la barchetta di carta di giornale che George insegue lungo i marciapiedi di Derry in un rivolo gonfio di pioggia è stato Bill a fabbricarla. It, per tormentare Bill, prende le sembianze proprio di suo fratello. Pagina 1131. “Bill alzò il fiammifero… mandò uno strillo prolungato e tremante, traboccante di orrore e disperazione. […] Dal fondo della galleria avanzava verso di lui George, con indosso la sua mantella gialla sporca di sangue. Su un fianco gli aderiva inerte al corpo smembrato. […] “La mia barchetta!” echeggiò la sua voce sotto la volta del tunnel. “Non la trovo più, Bill, ho cercato dappertutto e non la trovo e adesso sono morto ed è colpa tua è colpa tua è COLPA TUA….” […] George aveva ragione: era tutta colpa sua. […] Fabbricando la barchetta di giornale aveva mandato George in strada incontro alla sua morte e aveva trascorso la sua vita da adulto scrivendo dell’orrore di quel tradimento. Certo, l’aveva descritto ogni volta con una faccia nuova, trovandone tante quante sapeva inventarsi It, ma il mostro dietro a ogni cosa non era che George: George che correva fuori casa nel recedere dell’alluvione con la sua barchetta di carta impermeabilizzata con la paraffina”. It, insomma, rappresenta le paure irrazionali dei bambini. E ci vuole qualcosa di concreto per scacciarlo. Stan Uris si mette a leggere i nomi dei volatili nel libro di ornitologia che ha sotto braccio per tenere a bada la paura difronte a un uccello gigantesco incontrato, suo malgrado, in una vecchia casa abbandonata e riuscire a svignarsela. Eddie Kaspbrak usa come arma l’inalatore per l’asma. L’inalatore e il libro sono talismani. Non tutti i bambini ne hanno uno. Alcuni non lo hanno e finiscono per soccombere: come Victor Criss o Belch Huggins o Dorsey Corcoran. Ma chi lo ha, si salva. Oblitera la paura. A proposito, che cos’è la paura? Abbiamo paura quando desideriamo che qualcosa non accada – come finire fatti a polpette da un clown con la testa di dobermann o ricevere una carezza da Bobby Il Vagabondo Lebbroso. E un’aspirazione? Che cos’è un’aspirazione? E’ qualcosa, al contrario, che desideriamo accada – come diventare scrittori, fare successo alla radio o diventare architetti di grido. Paure e aspirazioni sono agli antipodi. Se ci si concentra sulle aspirazioni e sui desideri (ossia le cose che vogliamo succedano) si dimenticano o almeno si tengono a bada le paure (ossia le cose che non vogliamo accadano). Questo, in fin dei conti, l’insegnamento di It. Un It ci sarà sempre, da piccini come da grandi. Ma solo se abbiamo qualcosa a cui aggrapparci e una ritualità, qualcosa da desiderare, concentrandoci su quello che vogliamo, potremo salvarci.
Pagina 1235. “Parti e parti in fretta quando il sole comincia a scomparire, pensa in questo sogno. Ecco che cosa fai. E se ti dai del tempo per un’ultima riflessione, forse è per dedicarla a dei fantasmi… i fantasmi di alcuni bambini fermi nell’acqua al tramonto, in circolo, a tenersi per mano, giovani, senza incertezze, ma soprattutto risoluti… abbastanza risoluti da dare origine alle persone che saranno, abbastanza risoluti da capire, forse, che dalle persone che diventeranno dovranno necessariamente nascere le persone che sono state in precedenza prima di potersi rimettere a cercare di comprendere il semplice fatto della mortalità. Il cerchio si chiude, la ruota gira e altro non c’è. […] Non c’è bisogno di girarsi a guardare indietro per vedere quei bambini; parte della mente li vedrà per sempre, vivrà sempre con loro, li amerà sempre. Non sono necessariamente la miglior parte di noi, ma sono stati un tempo depositari di tutto ciò che saremmo potuti essere. Bambini, vi voglio bene, vi voglio tanto bene. […] Allora vai senza perdere altro tempo, vai veloce mentre l’ultima luce si spegne, vattene da Derry, allontanati dal ricordo… ma non dal desiderio. Quello resta, tutto ciò che eravamo e tutto ciò che credevamo da bambini, tutto quello che brillava nei nostri occhi quando eravamo sperduti e il vento soffiava nella notte….”

 
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La redazione di Atti impuri