Ora so che il titolo era giusto…
di Alessandro De Roma

Il mio romanzo Quando tutto tace, uscito nel maggio del 2011, è stato un fiasco. Una catastrofe editoriale, un disastro. Non è di moda dire queste cose, ma io le dico, perché credo che dirle faccia parte dell’anima di questo libro. Sembra anzi il suo epilogo, già scritto nelle sue ultime pagine (metafisiche? deliranti? irrisolte).
È uscito, nel silenzio; ha mosso due o tre incerti passi, sempre nel silenzio; ora, nel silenzio, non deve morire. Perché voglio dirgli, pur con una piccola voce (quella che conta meno, ossia quella del suo stesso autore) che io lo amo, più di quanto non lo amassi un anno fa o quattro anni fa, quando ho cominciato a scriverlo. Lo amo per esser stato abbandonato e solo; lo amo per corrispondere così bene ai suoi personaggi e alla sua storia: un manipolo di italiani derelitti in un’Italia che svanisce. Lo amo perché quasi tutti quelli che ne hanno parlato (su giornali, nei forum, nei blog, nelle presentazioni) si sono dilungati sulla sua maledizione: essere un romanzo metanarrativo. E hanno ignorato invece quasi sempre che si trattava di un romanzo sulla disperazione e sull’Italia, sulla nostra storia di questi anni di discesa agli inferi televisivi.
Lo amo, perché qualcuno lo deve amare e perché sogno che un giorno o l’altro, leggendolo dopo molti anni, un lettore curioso (nei miei sogni, trafitto dal rimorso) scopra che, nella sua goffaggine, questo libro era quello che doveva essere e che, pur in tutti i suoi difetti, ha avuto il coraggio di muoversi in una foresta di libri più solidi e sicuri, contro i quali non aveva alcuna speranza di farsi notare. Ha vissuto. Anche se si è trattato di una vita disperata, da romanzo diverso. Se fosse stato un uomo, sarebbe stato un suicida.
E voglio dirgli che sono fiero di aver scritto un romanzo così disgraziato e mai lo abbandonerei proprio adesso che, scivolando giù dagli ultimi scaffali delle librerie nei quali è stato dimenticato, percepisce con orrore tre sillabe così facili da scandire e ripetere con ossessione: ma-ce-ro! ma-ce-ro! e macero sia, e io con lui, voglio vedere chi ha il coraggio di sputare sopra Nello Bruni mentre si scherma dalla visione del nulla contro il quale ha lottato, senza speranza, per più di duecento pagine. Io stesso, che l’ho messo in questo guaio, lo amo e gli chiedo perdono: non ho potuto fare di meglio. Ora che tra noi la guerra è finita, possiamo condividere la sconfitta.