Per ingiusta causa… oggi come ieri

“In officina erano cominciate a circolare voci, parole complicate: clearing, dumping, congiuntura, che volevano spiegare una crisi di sovraproduzione. La commissione interna aveva chiesto chiarimenti”. Ma dopo snellimenti e conversioni in tante altre fabbriche limitrofe, la direzione generale del gruppo decide di chiudere lo stabilimento in cui lavora il protagonista di questo romanzo, Giovanni.
“La Pignone riaprì con un nuovo nome e sotto una diversa gestione ai primi dell’anno. Pochi operai erano stati riassunti. Per gli altri, l’accordo prevedeva l’organizzazione di un corso di riqualificazione. Diversi operai non avevano voluto partecipare a quel corso. Si erano comprati una macchina con i quattrini della liquidazione e ora lavoravano per conto proprio dieci e anche dodici ore al giorno per la Galileo o per la Sei. Altri avevano cambiato mestiere; c’era chi aveva fatto domanda per vigile urbano, chi s’era messo a vendere biancheria o dentifrici, o erano entrati nel traffico di sotto i portici, dove si contrattavano automobili, partite di pellame o di sigarette americane.
Oreste era fra i pochi fortunati riassunti. La nuova direzione gli aveva fatto firmare un foglio col quale si impegnava a rispettare certe condizioni diverse dal contratto e lo avevano declassato. Ora lavorava dieci ore al giorno e guadagnava parecchio meno, ma si considerava fortunato. […]
La riapertura della Pignone era stata salutata come una grande vittoria dalla stampa di sinistra e tutti la pensavano a quel modo, ma nelle officine la si pensò presto diversamente, soprattutto quando cominciarono ad essere riassunti operai e impiegati. Un solo criterio veniva seguito dalla nuova direzione, un criterio politico. Non valevano anni di anzianità, né carico di famiglia, né qualifica di specializzato. Chi s’era dato da fare durante l’occupazione, chi aveva diretto in qualche modo la lotta veniva sistematicamente escluso dalle note di riassunzione. Alla Sei gli operai si rammentavano il tizio e il caio, bravi compagni che avevano bambini anche loro e che non sarebbero mai stati riassunti. Così il grande successo diventava una beffa. Rinascevano rancori sopiti durante quei mesi, soprattutto dove, come alla Sei, la direzione aveva ripreso ad attuare un suo oscuro piano. I trasferimenti da un reparto all’altro si susseguivano senza una ragione apparente, poiché operai specializzati venivano trasferiti in fonderia, mentre fonditori erano di punto di bianco promossi impiegati. Alcuni vecchi che aspettavano l’età della pensione a distribuire arnesi in qualche magazzino erano invitati a ritornare alla produzione. A quelli che protestavano si lasciava l’alternativa di licenziarsi subito con il preavviso pagato. Dei ragazzoni di vent’anni venivano infilati in posticini tranquilli. Nessuno ci capiva più niente. La direzione però aveva assunto nuovi sorveglianti e intorno agli operai si stringeva una serrata catena.”
La ‘nuova’ gestione della fabbriche esige rigidi controlli all’ingresso e all’uscita dell’officina. “Lo dice il suo contratto”, dice un sorvegliante a un anziano operaio che proprio non sopporta la “fruga all’ingresso”. Contro queste e altre norme i pochi militanti riassunti indicono uno sciopero: sarà “il primo sciopero che falliva alla Set” e i successivi non avranno miglior fortuna. “Dopo ogni sciopero la direzione attaccava un cartello col numero dei partecipanti, che calavano sempre”… e i licenziamenti di natura politica e disciplinare tornano ad essere la norma in fabbrica…

L’attualità di questa citazione letteraria si commenta da sé. È tratta dal romanzo Il bardotto di Valerio Bertini uscito nel 1957 per Feltrinelli nella serie “Scrittori d’oggi” con un risvolto che dovrebbe essere stato scritto da Luciano Bianciardi (il cui Il lavoro culturale fu nel giugno di quello stesso anno il successivo titolo della collana). Bertini, dopo aver trascorso l’infanzia in Francia al seguito del padre emigrante e aver lavorato come metalmeccanico e come disegnatore tecnico alla Galilei di Firenze, è diventato libraio e dal 1962 direttore della Libreria Feltrinelli di Firenze, partecipando attivamente allo sviluppo di questa catena e collaborando in più occasioni in modo diretto con il fondatore della casa editrice, per la quale ha pubblicato alcuni altri libri.

Il punto di oggi è però: cosa stiamo facendo per evitare tutto questo?

c.p.