Écrivains au travail: Thierry Beinstingel da “Atti Impuri”, vol. 1

La “rentrée littéraire” di fine estate è una tradizione consolidata nel mercato librario francese. A partire dal 25 agosto 2010 Fayard lancia nelle librerie l’ultimo romanzo di Thierry Beinstingel, Retour aux mots sauvages, di cui i fortunati lettori del primo numero cartaceo di “Atti impuri” hanno potuto leggere in anteprima mondiale il primo capitolo, intitolato in quella versione Le Nouveau Vieux (Il nuovo vecchio).

Beinstingel ha dedicato buona parte della sua opera alla spersonalizzazione che il linguaggio stesso inscrive nelle nostre vite, soprattutto quand’è manipolato da chi ha il coltello dalla parte del manico: produttori, padroni, politicanti.

Nel primo volume di “Atti impuri” abbiamo anche intervistato a lungo Beinstingel per presentarlo ai lettori italiani, in attesa che altre sue opere vengano tradotte.

 

Alcuni «scrittori lavoratori» preferiscono adottare uno pseudonimo, ma non è il suo caso. A questo proposito, sin dall’uscita di Central, si sa che lei lavora «nelle telecomunicazioni». Cosa pensa l’azienda della sua attività di scrittore.
Non ho mai adottato uno pseudonimo per una questione d’onestà e di autenticità: scrivo, è un fatto talmente semplice, senza bisogno d’artifici. Quando inserisco dei fatti reali in un romanzo questi sono veri, e non possono essere contestati. Al contrario riconosco a chiunque il diritto di criticare anche la più insignificante delle mie opinioni, ma queste non sono mai oltranziste. Quindi non mi sento mai in difficoltà nel trovarmi faccia a faccia con la mia azienda. Non preciso mai il nome di quest’azienda (ma dato che è la più importante nel settore delle telecomunicazioni è facilmente riconoscibile!) per una ragione di allargamento dei punti di vista: i problemi che affronto possono essere applicabili anche ad altre grandi aziende simili. La mia azienda è indifferente rispetto a quello che scrivo perché questo non cambia nulla nei suoi risultati e nella sua ragion d’essere.
Detto ciò, all’uscita di Central ho avuto la sorpresa di sapere che un dirigente aveva letto larghi estratti del libro durante un consiglio d’amministrazione, commentando: «Guardate un po’ cosa si pensa di noi!». È stato piuttosto simpatico.

Per Central ha adottato una «à contraintes», costrizione formale che rispecchia quella psicologica di cui si parla nel libro. Com’è nato questo stile?
In Central non ho usato nemmeno un verbo coniugato: le frasi sono scritte con i verbi all’infinito. L’origine di questa restrizione è legata alla comunicazione della mia azienda (ma si ritrova anche in molti altri settori professionali). Si comunica a colpi di slogan, come nella pubblicità: apportare molti benefici, pensare ai clienti, ridurre il carico di sfruttamento… Per l’azienda contano solo l’azione e i risultati. Inoltre, utilizzando l’infinito, si rivolge a tutti i dipendenti. Ho voluto restituire l’effetto che produce sull’uomo questa responsabilità collettiva che porta alla disumanizzazione delle relazioni sul lavoro.

Dalla stasi di Central alla precarietà di Composants: cos’è cambiato nella sua scrittura?
Non so se la mia scrittura sia veramente cambiata. La mia ossessione per il tema del lavoro è sempre molto forte, e ho addirittura l’impressione di rimuginare, di scrivere sempre lo stesso libro, imprigionato nella mia ansia di cogliere come cambia l’uomo nel confronto con l’azienda. Il bello della scrittura è che offre molte possibilità di dire le cose in maniera diversa. Talvolta ho l’impressione di girare attorno al soggetto, di volerlo accerchiare con parole e modi diversi per raccontarlo. Col tempo mi sono poi accorto che ci sono due temi preponderanti nella mia scrittura: quello del lavoro, come nel caso di Central e Composant, e quello della campagna, della ruralità, come in Paysage et portrait en pied de poule e Bestiaire domestique.

Quali sono i suoi scrittori di riferimento?
Innanzitutto tutti gli autori che hanno una stretta relazione con la descrizione, come Claude Simon o Marcel Proust. Poi, quelli che non hanno esitato a sperimentare tutte le forme della narrazione, il nouveau roman, per esempio, con Samuel Beckett, Marguerite Duras, Nathalie Sarraute. Infine, apprezzo anche l’invenzione narrativa di scrittori americani come William Faulkner e Raymond Carver.

Che uso fa di Internet e del suo sito personale?
Per prima cosa è un utile strumento di lavoro: ogni settimana provo a mettere in ordine le mie sensazioni nelle rubriche Etonnements, Notes d’écriture, e Notes de lecture. È un sito che ho ribattezzato di recente (www.feuillesderoute.net), ma che esiste dal 2000, praticamente fin dagli albori di Internet! Questa longevità a volte serve per rinfrescarmi la memoria sui punti di vista che avevo in un certo periodo. Con l’arrivo di reti sociali come Facebook, le visite alle mie pagine sono parecchio diminuite e, lungi dal rattristarmi, sono incantato. In fin dei conti, il web è diventato una grande rivendita di prodotti o di popolarità e restar fuori da tutta questa agitazione in un angolino perduto di Internet, ha per me lo stesso fascino di vivere in campagna!

È convinto anche lei, come tra gli altri Foucault, che si scrive «per essere amati»?
Senza dubbio nella scrittura c’è una parte affettiva. Si desidera sempre essere apprezzati dagli altri. D’altro canto le critiche non mi disturbano affatto e l’indifferenza mi lascia indifferente. Non cerco di essere Dio e di raccogliere tutto il mondo intorno a me. Non cerco il successo né l’orgoglio della posterità, anche se mi piacerebbe lasciare una traccia di quello che ho scritto. Senza essere come Samuel Beckett che rispondeva a questa domanda con la formula lapidaria «non mi importa», c’è comunque una parte inesplicabile di me che mi spinge ad allineare parole: alcuni sferruzzano a maglia o giocano a bocce menre io scrivo, è così, con una differenza che rende le cose patologiche: la sensazione che non potrei mai smettere. In un certo senso, come per i banditi che gridano alle loro vittime: o la borsa o la vita!, io mi guardo allo specchio ogni mattina e mi dico gioiosamente: o la scrittura o la morte!

Thierry Beinstingel, nato a Langres, è quadro presso una grande azienda di telecomunicazioni. Ha pubblicato per Fayard Central (2000), Composants (menzione al Prix Wepler, 2002), Paysage et portrait en pied-de-poule (2004), CV roman (2007), Bestiaire domestique (2009), Retour aux mots sauvages (2010), 1937 Paris – Guernica (2007) per Maren Sell. Il suo sito personale è http://www.feuillesderoute.net/


L’intervista completa, e il racconto Le nouveau vieux, si leggono su “Atti impuri”, vol. 1 (No Reply 2010), pp. 104-113. Puoi trovarlo
qui o acquistarlo qui.