#5 fate con anfibi o lo strano caso di Amenta Antonio
di Nero Luci

sì le fate hanno gli anfibi, mi dovete credere, l’ho vista lo giuro non dico bugie! ma chi mi crederà? devo raccontarlo a Germa che si spera stia aspettando giù alla macchina? a tutta la banda giù in città? a papà e mamma? a don Benigno che non mi vede in chiesa da minimo sei anni? o non devo raccontarlo a nessuno? o forse solo a Manu la tipa della E che studia da strega, che è figa ma a me come a tutti fa un po’ paura e si dice porta pure sfiga? forse devo proprio stare zitto. sennò mi rinchiudono in manicomio, anzi visto che i manicomi li hanno chiusi mi danno i domiciliari e non mi passa neanche per il cazzo neanche con cd giochi tv a randello. non mi crederebbero, neanch’io ci crederei anzi, indicativo: neanch’io ci credo a quello che mi è successo. è successo per davvero? non ho neanche una prova. ma è successo, cazzo! neanche un’ora fa! checazzodistoria! ed ora fa pure freddocane che il sole è andato ad imbucarsi dietro le cime delle montagne e si sta facendo buio e devo stare attento a dove metto i piedi e ho ancora mezz’ora di cammino di sbattimento per arrivare al rifugio dove c’è Germa con la macchina. e allora mentre cammino tantovale che per non uscire di testa analizzo quello che è successo, ricostruisco e cerco di capire. flash di ’sta giornata…

col Germa in macchina ed io a non fidarmi troppo che ha preso la patente a marzo. e la strada asfaltata è finita da un pezzo e costeggiamo quello che è proprio un burrone. caldoporco anche se siamo in montagna ma ’sto sole di luglio picchia pure qua. noi come al solito in nero, Germa con la maglietta bella ma gli ho sempre detto un po’ tarra dei Black Sabbath. Slipknot dall’autoradio.
“Toni, fa’ un cespone.”
“ma non dobbiamo farci la camminata in montagna? non ho voglia di farmela da fuso in salita…quanto manca a ’sto rifugio?”
“se è a un’ora dal paese ci siamo quasi. fai ’sta ceppa, dai. mica dobbiamo fumare per forza adesso…magari salendo ci becchiamo un bel posto e ce la facciamo lì, chessò un bosco, una cima di montagna…”
“molto saggio, mi hai convinto.”
prendo il moffo dal suo zaino che ho tra i piedi e comincio a cremare. finisco di girare la cespa che al rifugio ci siamo arrivati veramente ed è proprio un bel panorama. c’è questo lago che pare finto, tende di gente intorno e qualche figa prende il sole. poi la storia in legno con gente sul balcone che è il rifugio. tutto verde d’erba intorno. Germa ferma la car.
“figo, eh? quando sono venuto da piccolo il posto era meno tirato. ma tu sei sicuro di non esserci mai venuto?”
“t’ho detto di no! mai venuto” rispondo un po’ scazzato mentre metto la cespa nel mio pacchetto di dianablù. sono due giorni che mi fa la stessa domanda.
“cioè c’hai la casa in montagna e qua non ci sei mai stato? è un posto veramente cisti. c’è un sentiero che porta al ghiacciaio a tremilametriepassa.”
“ci sei stato?”
“minchia, ero un bambino! però mio zio c’è stato.”
cominciamo a buttare nello zaino tutto quello che ci serve per la passeggiata. Germa toglie la cassetta dall’autoradio e la mette nel sony che poi butta dentro.
“cazzofai? ti porti il walkman per passeggiare in montagna? uno va vai dalla città per il silenzio della montagna e lui si porta il walkman! sei proprio uno scandalo!”
“beh? se mi cago?”
“… e poi gli Slipknot! c’avessi tipo il terzo degli Zeppelin… quello va bene.”
“cioè com’è sta storia? perché gli Zeppelin invece vanno bene?”
“madài con tutta quella roba acustica va bene con la natura! gli Slipknot li ascolti bene in corso rosselli, in periferia, con le fabbriche in rovina…come l’industrial, il grind… deve essere come la colonna sonora adatta.”
“forse hai ragione.”
“chiaro. ma portateli se vuoi, non è male a volte sballare la colonna sonora.”
“minchia poi sono io lo scandalo!” dice il Germa ridendo ed aprendo la portiera.

il cartello è di legno. le parole sono incise.
“3077 metri, ghiacciaio” indico col dito.
“ghiacciaio Fouqué… sarà il nome del tipo che l’ha scoperto. treacca sarà tre ore di sbattimento?”
“’azzo! la vera cima qui sei tu! te la sei proprio meritata ’sta matura.”
“aaaah, sei simpatico. senti ti faccio una proposta, anzi due.”
“spara.” ma mica mi fido troppo.
“la prima è che tornati dall’interail, prima di cominciare l’università si viene qua anche con Robbish e magari Chiara e Bonzo, che lui ha una bella tenda, e ci si accampa sul lago, la notte si fa un falò, chessò si sta un paio di giorni.”
“mi sa che qua già a settembre fa freddo, vedremo. la seconda?”
“la seconda è che oggi arriviamo al ghiacciaio, lì c’è l’altro rifugio e lì fumiamo il cespone!”
“il cespone sul ghiacciaio?”
“minchia è un record! secondo me nessuno si è mai fatto una storia a tremilasettantasettemetri. è da guinness dei primati!”
“secondo me in Himalaya fanno benpeggio e stanno più in alto.”
“e che siamo in Himalaya? cazzo di discorsi… nessuno l’avrà mai fatto qui, cioè lassù. nessuno in tutto il corso della storia!”
guardo l’ora sul cellulare.
“Germa, sono le quindiciequindici. tre ore a salire e tre ore a tornare fanno le nove.”
“che hai progetti per la serata?”
“quantoseiidiota! siamo in montagna, alle nove il sole quasi non c’è più e fa freddocane!”
“appunto noi alle nove siamo qui. sennò ci fermiamo a dormire al rifugio.”
“allora sei fuori! c’è scritto qui che il rifugio non fa da ristoro, è solo una baracca e noi non abbiamo neanche i saccoapelo.”
“lo sai che lo vuoi anche tu.”
e forse ha ragione.

prima la cascata. c’è questa cascata neanche così grande ma proprio imponente, per rendere l’idea. e ci siamo io e il Germa e tutta una famiglia con bambini e zio pelato in canottiera che guardiamo la cascata. quasi in botta siamo. lì in silenzio a guardare la cascata, ipnotica. che fa lei un casino di rumore. per terra solo sassi, pure grossi. la famigliola si allontana verso il rifugio ed io dico che ’sta cascata è ipnotica.
“tutto è ipnotico in montagna. non ti ho detto che ieri dopo pranzo sono rimasto ipnotizzato dalla montagna che si vede dalla tua finestra. mi ha proprio svarionato. non riuscivo a staccare gli occhi.”
pigliamo il sentiero, cominciamo la salita.

e ci sto dentro, mi piace camminare in montagna e penso che mi piaceva anche da piccolo, che sono troppi anni che non mi faccio una storia così. anche se il fiato un po’ manca perché quest’anno col nervosismo della matura mi sono scassato di siga. però me la cavo. la strada è solo sabbia ed un muro di roccia a lato che anche quello a guardarlo ti ipnotizza. ogni tanto ci si ferma a ripigliare fiato. il rifugio la macchina le tende e le fighe chi le vede più.

salgono scendono bici e macchine. gente a piedi scende. c’è pure troppo traffico.
“quanta cazzo di gente c’è qua in montagna? sembra di stare in via roma!” dice Germa.
“… e quanto sono presi bene quelli in bici? comunque salendo di gente ne beccheremo meno… che figo beccare posti quasi deserti…”
“… le lande desolate!”
quando vuole il Germa è un poeta.
“… un cannone sul ghiacciaio con neanche un cristiano intorno…”
“t’ha presobene la storia, eh?” fa complice.

“… and nothing else matters” finiamo di cantare. perché abbiamo cantato ché in montagna gli alpini insegnano si canta e si beve (“zioporco potevamo portarci la grappa!” ha detto prima Germa) e proprio finendo la canzone sbuchiamo in ’sto posto.
“eccola una cazzo di landa desolata!” dico felice.
è un prato, perché c’è erba, anche se cortissima, e un casino di massi. grandi. come lì piovuti. proprio uno spettacolo.
“e adesso che cantiamo?” chiede il Germa.
“è una valle!” dico io.
“che si canta in una valle?”
“boh? possiamo anche non cantare. senti… non c’è neanche un rumore… ascolta. questo è il silenzio, il silenzio vero, non quello nostro di città che è sempre con qualche rumore. è silenzio e basta”.
“non c’è neanche vento… ma Toni, dove cazzo stanno gli animali che si sono visti solo insetti e prima quel delirio di farfalle?”
“mi sa che stanno tutti nascosti. mica si fanno vedere, si infrattano nei boschi.”
“già!” fa il Germa illuminato, “sentono la presenza dell’uomo e stanno lontani.”
a metà della landa desolata il Germa ammazza il silenzio.
“sai che potremmo cantare con questo paesaggio? Kàshmir!”
“minchia! potentissima. ma non ho mai letto il testo e mica la so tutta… poi si dice Kashmìr con l’accento sulla i.”
“e a te che te l’ha detto?” fa il Germa permaloso.
“me lo ha detto Silvia la sorella di Franz che studia indiano all’università.”
“è scandalosa quanto è figa la sorella di Franz!”
“è figa sì…” penso e dico.
“’sto posto sembra proprio un altro pianeta” dice serio il Germa.

poi a lato della strada che sale ’sto bosco gigantesco, ’sta foresta verde ma che noi subito chiamiamo nera, perché è grossa.

“chissà che delirio di bestie ci stanno là dentro!” fa poi il Germa.
“avessimo tempo… mi sarebbe piaciuto andarci.”
“andiamoci lo stesso.”
neanche lo cago perché guardo tutti i pezzi di legno per terra alla mia destra.
“piuttosto prendiamo un bastone, che la salita si sta facendo pesa.”

il sole picchia così forte che siamo senza maglietta. così magari torniamo con un’aria un po’ più sana. anche sudati siamo.
“Toni, ti ricordi quella storia di Petrarca in montagna che abbiamo studiato in terza?”
“minchiasì! volevo farne un pezzo… Ascension to the Windy Mountain…”
“il monte ventoso! che storia! che saliva col fratello…”
“… un monaco.”
“ma sono poi arrivati in cima?”
“chiaro. e si sono sparati il panorama!”
“… e il cespone!” fa il Germa e ridiamo ma neanche tantissimo che un po’ ci manca il fiato.

è neve. la neve a luglio è proprio da raccontarla. ne mangio un po’.
“cazzo ti mangi la neve?”
“qua è pulita… e dissetante.”
poi il Germa che mi precede di qualche passo si ferma di botto. si gira. mi guarda.
“oh, torniamo indietro.”
che non scherza lo capisco dalla faccia. è uno dei suoi soliti numeri. e mi incazzo.
“mi hai portato fin qui e adesso te ne esci che vuoi scendere?”
“siamo arrivati belli in alto.”
“senti, checazzo, siamo a mezz’ora dal ghiacciaio… ti rendi conto che è come la barzelletta dei matti e i cinquanta cancelli?”
“non erano cento?”
è proprio stronzo.
“quanti cazzo erano…. è assurdo! io salgo e mi vedo ’sto stronzissimo ghiacciaio!”
il Germa rimane un po’ in silenzio, come tutto ora qua. poi parla:
“dài… se lì vuoi farti da solo la cespa non c’è problema… io ho il moffo nello zaino…”
è talmente stronzo.
mi tolgo il suo zaino dalle spalle, lo apro, prendo la mia felpa gothic nera col cappuccio, richiudo lo zaino e glielo do. l’idea di non vederlo per qualche ora mi piace troppo.
“minchia… sali sul serio?”
“ciao” impugno il bastone, mi giro e parto.
“ti aspetto alla macchina, Toni…”

fra due pareti di neve. assurdo. con il bastone a disegnare cerchi sulla neve. o solo a fare buchi. ed il fiato manca un po’ perché quest’anno col nervosismo della matura mi sono scassato di siga anche in serate d’inverno chiuso nel cesso con la finestra aperta che sono storie assurde visto che di anni ne ho diciannove.

eccolo. il ghiacciaio Fouqué. a tremilasettantaequalcosa. è come un lago ghiacciato. il rifugio è proprio una baracca vuota, stile antartide. di là la francia. e poi montagne che salgono ma da qui te le devi fare tutte in orizzontale, l’alpinismo quello serio. il silenzio è totale. non ci fosse la baracca sarebbe ancora più bello, proprio un altro pianeta. devo pisciare. non so se è un record ma decido di pisciare sul ghiacciaio. e mentre sono lì con lo strumento in mano e il mio piscio cade sul ghiaccio sbuca dal sentiero una tipa in mountainbike. il suo sguardo dietro gli occhiali va subito lì. ed anche quello del tipo che la segue che sarà il suo ragazzo. neanche sui ghiacciai si può pisciare in pace. poi guardo l’ora sul cellulare: le diciottoediciotto. mi piglio un po’ male e comincio la discesa.

nel bosco entro per tagliare. forse da imprudente, ma non lo so.
attraversandolo dritto si è visto che si guadagna un casino di strada, due valli. quasi un’ora, forse. ecco perché sono nel bosco. mi volto spesso a guardare il sole un po’ imparanoiato dall’idea di perdermi, ma il sole è quasi coperto dalla cima di una montagna, gli alberi sempre più alti, e il buio è sempre di più. sono preoccupato anche perché il cellulare non ha ancora campo e se mi perdo Germa fa partire i soccorsi e finisco sul tgregionale che è un po’ brutta figura. è pieno di rumori di bestie che non si vedono, e fa sempre più buio. poi all’improvviso non più. forse il sole ha passato la montagna, ma è come se un suo raggio si fiondasse nel pieno del bosco. è luce calda e buona. ed ora su un albero vedo uno scoiattolo no due no di più un casino di scoiattoli su tutti gli alberi e un casino di uccelli che cinguettano il greatesthits dei loro cinguettii e questi saranno due daini maschio e femmina e queste per terra forse marmotte. tuttipresibene. e c’è un rumore di acqua del fiumicciattolo ed una radura proprio inondata dal sole con un laghetto che più che alpino è da fiaba. sulla sponda del laghetto una grossa pietra. come fosse un trono. seduta c’è lei.

dire che è bella non rende un cazzo. la più bella che abbia mai visto (e al linguistico non mi posso lamentare). ha le gambe accavallate e ai piedi ha docmartens uguali ai miei. che sono l’unica cosa nera che ha addosso. collant azzurri azzurra minigonna e maglietta con sopra uno strano simbolo ed il logo di un gruppo che non conosco. smalto azzurro alle dita, capelli chiari raccolti. gli occhi azzurri su pelle candida. e dire che è bella non rende un cazzo. tutta un’altra storia. lei sembra rilassata. io mi sa che sono innamorato.

“ciao…”
“ciao.” e sorride anche.
“sei qui sola?”
mi guarda stupita e si guarda intorno. forse non ha capito la domanda. la rifaccio. mi guarda ancora stupita e risponde.
“no.”
“sei qui con amici?”
fa sì con la testa e poi dice con una voce più bella di tutte quelle che ho sentito.
“tu, chi sei?”
“io mi chiamo Antonio…”
le do la mano ed è talmente bella la sensazione di toccarla che non faccio neanche caso a quello che dice lei, che forse è il suo nome. poi quella sensazione finisce, si è ripresa la sua mano ed io non smetto di fissarla. anche lei mi fissa ancora.
“sei anche tu di torino?” chiedo sperando.
“no.”
“sei di queste parti?”
“sì.”
“di dove?”
“di questa parti.”
ho voglia di baciarla, tanta. sono un po’ in imbarazzo. mi ricordo della cespa nel pacchetto di dianablù.
“vuoi fumare?” dico tirandolo fuori dalla tasca. non risponde. io comunque accendo e faccio un po’ di tiri per rilassarmi. poi gliela passo, e lei fuma. me la ripassa che è a metà.
“spero che non mi squilibri troppo” dice.
“no, è leggero, è marocchino” la tranquillizzo. e comunque non riesco a smettere di guardarla e di volerla baciare. mi dico finita la canna ci provo.
e allora mi avvicino alla sua bocca con la mia. ma lei si scosta e sorride triste girata altrove.
“no, non posso.”
ha il tipo, o è lesbica, o non le piaccio, ma speriamo di no, penso.
“non posso baciarti. potrei innamorarmi. e ne morirei.”
e allora io dico una cosa a voce alta che non ho mai pensato ma mi accorgo che è vera.
“anch’io sono romantico!”
lei ride.
“no, io ne morirei sul serio. io sono una ninfa, una creatura dell’acqua.”
è proprio fuori come piace a me. ora si fa molto seria.
“io non sono umana.”
“nemmeno io sono umano! mio padre me lo dice sempre!”
“mai sentito una fiaba?” continua seria prendendomi per mano e facendo ricominciare quella bella sensazione.
“non sono felici gli amori fra spiriti elementali ed umani.” mi dico me ne frego e rifaccio per baciarla. lei ancora si scosta. poi si alza in piedi e dice:
“sì, un bacio te lo voglio dare.”
e ci baciamo. e dire che è solo un bacio non rende niente. è qualcosa come prima di essere nati, forse. perché mi sento come in acqua calda e buona ed in quella che secondo me è estasi. e quando lei si stacca rimango lì scimunito e felice. lei poi cammina verso il laghetto e poi sul laghetto come Gesù al catechismo. mi fa ciao con la manina. come se sprofonda nel lago, anzi nel lago è assorbita, anzi il lago è assorbito da lei. e tutto, lei e lago, viene assorbito dalla terra. non c’è più lago, ma solo il fiumiciattolo che scorre. e niente più animali, né daini né uccelli né marmotte o procioni. ed è proprio quasi buio.

sì le fate hanno gli anfibi, mi dovete credere! l’ho vista e baciata, lo giuro, non dico bugie! sicuro che se lo dico al Germa lui se ne esce con cose come con l’aria di montagna la cespa ci guadagna. ma io non ho fumato sul ghiacciaio, ho fumato con lei! ed il Germa lo vedo in mezzo al buio là sotto, seduto sul cofano dell’auto, anche lui con il cappuccio sulla testa. ho ancora un curvone da fare per scendere da lui. agita una cespa pronta come una bandiera ed urla:
“dài Toni! che quando arrivi appicci!”
e io non ho ancora deciso se dirglielo. non so ancora se raccontare o no ’sta strana storia.

Biografia

Nero Luci, apparso su questo pianeta lo stesso giorno di Franco Battiato e lo stesso anno di The rise and fall of Ziggy Stardust and the spiders from Mars. È uno stimato micologo.
Ha scritto: Genesi 6.2, Fate con anfibi, UgraKarma e Wir Atomkinder.