Belarus Free Theatre
di Amaranta Sbardella

“Provate ad immaginare un mondo senza arte”. E’ questo l’invito che centinaia di compagnie di teatro italiane porgono agli spettatori in questi mesi, denunciando i tagli governativi al FUS, Fondo Unico per lo Spettacolo. La protesta ha poi coinvolto anche il settore audiovisivo, che ultimamente ha espresso il timore di veder scomparire innumerevoli posti di lavoro. In un’Italia dove la cultura diviene un disvalore, dove la superficialità dell’informazione e dell’intrattenimento impera e governa, quale spazio rimane per il dissenso, per le produzioni indipendenti, per l’arte?

Con il triste presentimento o la ancor più deprimente consapevolezza che ci si avvicina sempre più al baratro della dittatura mediatica, volgo lo sguardo altrove, a un paese poco conosciuto, spesso ignorato. Portato alla ribalta più di vent’anni fa, quando una nube tossica proveniente dalle sue centrali si impossessò dell’Europa, poi nuovamente relegato all’oblio, lo stato bielorusso è testimone dell’ultima dittatura europea. Aleksandr Grigorevič Lukašenko ne è il capo indiscusso dal 1994, grazie a tre elezioni (la cui legittimità è stata condannata da governi stranieri e associazioni per i diritti umani) e grazie all’appoggio della Russia di Putin e Medveded. E dal nulla, a costituire un triangolo non molto promettente, spunta anche il nostro leader, Berlusconi, l’unico capo di stato straniero ad aver visitato la Bielorussia negli ultimi anni, dopo l’ostracismo della comunità internazionale. I motivi che hanno spinto il premier ad un viaggio simile sono misteriosi, o forse devono mantenersi tali per intimorire l’opposizione. Berlusconi ha sottolineato, al cospetto di Lukašenko, l’importanza del sostegno del popolo bielorusso al governo presidenziale/dittatoriale. Ma chi dà veramente voce al popolo?

Con un ulteriore salto spaziale, questa volta di pochi chilometri, lo sguardo si sposta sui caseggiati in stile sovietico della periferia di Minsk, la capitale; qui da anni provano in gran segreto gli attori del Belarus Free Theatre. Sono giovani, brillanti, pieni di energia, di quell’energia che non scompare neanche dopo gli arresti e le minacce. Gli attori del Free Theatre, insieme al fondatore e sceneggiatore Nikolaj Chaležin, a sua moglie Natalja Koljada, al regista Vladimir Ščerban, sono una delle poche voci di dissenso presenti in Bielorussia. I loro spettacoli non vengono annunciati da una locandina, come in Italia, ma da un messaggio sul cellulare; il loro palcoscenico non è un teatro, con stucchi e sipari, ma una stanza di una villetta fuori mano, dove, a stretto contatto con gli spettatori, raccontano le loro storie e il loro teatro. Storie quotidiane, di orrore e miseria, o rielaborazioni di opere internazionali, come quelle di Pinter, portate sulla scena con grande vigore ed originalità. Perché in questi giovani attori la necessità, quasi un imperativo categorico, di denunciare la situazione bielorussa e far leva sulla coscienza civile si fonde con una bravura eccezionale e un estro particolare. I testi respirano, vivono nelle parole di questo “manipolo di dissidenti”, danzano con loro e rimbombano tra le quattro mura di quel palcoscenico improvvisato. Una volta il loro respiro vitale è stato interrotto, quando le forze speciali bielorusse hanno fatto irruzione nella casa/teatro, portando via con sé attori e spettatori. Ciononostante il gruppo non demorde; anzi, ha superato i confini nazionali, recitando in Europa, dove ha il sostegno di Tom Stoppard e Václav Havel, in Australia e in America. Ora anche lo spettatore medio occidentale è in grado di apprezzare la forza e l’incisività delle loro opere. E in particolar modo lo hanno fatto gli italiani presenti alle anteprime nazionali di quattro dei loro spettacoli, a Modena, all’interno di VIE Scena Contemporanea Festival. Dal 9 al 17 ottobre, infatti, hanno presentato agli italiani, ai colleghi, gli spettacoli Discover LoveGeneration JeansBeing Harold PinterZone of Silence, i loro piccoli capolavori. Il successo è stato ovviamente grandissimo. Perché quegli italiani che hanno assistito alle rappresentazioni si sono commossi per la profondità del messaggio, la descrizione di una realtà di cui non ci giungono notizie dai media, e si sono turbati, sentendo vicina a sé parte di quello che veniva raccontato. In Italia non ci sono deportati politici, bambini che si suicidano perché non hanno prospettive, donne picchiate selvaggiamente dai mariti alcolizzati, o forse ce ne sono pochi; ma ci sono intrighi politici, sparizioni misteriose, censura, omofobia, povertà.

Il Free Theatre si batte, appunto, per un teatro libero, per la possibilità di raccontare la vita quotidiana, la storia e la politica, per poter parlare anche di suicidio, perché se è una realtà sociale, solo discutendone si possono trovare delle soluzioni. Anche se il governo di Lukašenko non è dello stesso parere: negandolo, il problema si volatilizza. Il loro teatro, ci tengono a sottolineare, non è teatro politico, bensì un lucido esame della realtà. Un documentario, uno di quei documentari che il loro governo ostacola già da tempo, e il nostro sta cercando di contrastare con i tagli al settore audiovisivo.

Il punto di partenza del loro lavoro è la posizione morale di chi si occupa di arte, di chi ha gli strumenti privilegiati per giungere al cuore delle persone. L’artista più di chiunque altro ha la possibilità di cambiare ed educare. Spesso non sono necessarie le parole e il Belarus Free Theatre ne dà una convincente dimostrazione in Zone of Silence, quando, nella sala semibuia, gli attori in completo gessato si tolgono le scarpe, vi lasciano il cellulare.e addossano il proprio corpo al muro. I cellulari nelle scarpe iniziano a farsi sentire, ognuno con una suoneria diversa, ininterrottamente, ma gli attori rimangono al muro. Solo una statistica compare sui sopratitoli: il numero degli uomini, politici o dissidenti del regime, scomparsi dall’inizio del governo di Lukašenko.

Il Belarus Free Theatre ora è tornato da mesi in Bielorussia, perché fuggire non è certo la soluzione. Potranno esibirsi nuovamente all’estero solamente se e quando un teatro o  un festival pagheranno il viaggio e la permanenza.