Mucche selvagge di Ade Zeno su Sipario

 

 MUCCHE  SELVAGGE 

di Ade Zeno

Scena scarna, poco illuminata.

Per terra, discreta confusione di calcinacci, mattoni spezzati, qualche oggetto domestico rotto, una bambola.

Tutto ricoperto di polvere.

Sulla destra, un cane morto.

Al centro, Alicante, svenuto.

Un neon bianco balugina a scatti.

Alicante si sveglia, confuso.

Si sistema gli occhiali da sole, poi inizia un’affannosa ricerca a tastoni sul pavimento.

Trova il suo bastone, si solleva usandolo come punto d’appoggio.

Si dirige verso l’estremità sinistra della scena, si ferma di schiena.

Sbottona la patta.

Comincia a pisciare.

Dalla destra entra Felippo, guidandosi con un bastone.

La mano sinistra è occupata da un sacchetto di plastica da cui si intuiscono le forme di una scarpa.

Anche lui porta occhiali da sole.

Raggiunge Alicante, si posiziona alle sue spalle.

Slaccia la patta.

Comincia a pisciare.

ALICANTE: Chi è?

FELIPPO: Chi è?

ALICANTE: Ma merda. Chi è?

FELIPPO: Niente.

ALICANTE: Niente. Come niente! Mi stanno pisciando addosso. Chi è?

(Silenzio)

Chi cazzo si è permesso di.

FELIPPO: Io. Chiedo scusa. Non ho visto.

ALICANTE: Non ha visto.

FELIPPO: Pensavo fosse un angolo, tutt’al più un albero.

ALICANTE: Un albero? Sembro un albero?

FELIPPO: Adesso no, ma prima.

ALICANTE: Prima sembravo un albero, un angolo?

FELIPPO: Semmai un albero.

ALICANTE: Questo sembravo?

FELIPPO: In realtà non sembrava niente. Tutt’al più un albero.

ALICANTE: E ha pisciato.

FELIPPO: Sì, ma su un albero. Anche lei stava pisciando.

ALICANTE: Io pisciavo su un albero. Un vero albero.

FELIPPO: È un albero, quello?

ALICANTE: Quello sì. O al massimo un angolo.

FELIPPO: Mi spiace, non posso, non potevo.

ALICANTE: Cosa?

FELIPPO: Vedere. Deve perdonarmi. Io non vedo.

ALICANTE: Beh, sa che c’è? Neanch’io, vedo.

FELIPPO: Davvero?

ALICANTE: Ma so distinguere un albero da un uomo.

FELIPPO: Strano.

ALICANTE: Non è strano, basta sapersi orientare, più o meno.

FELIPPO: No.

ALICANTE: No?

FELIPPO: No, intendevo, strano: due ciechi che si incontrano per caso.

ALICANTE: Basta disporre di un fiuto sbagliato e pisciare così, a naso.

FELIPPO: Mi spiace, l’ho già detto, domando perdono.

ALICANTE: Si ricomponga, almeno.

(Si ricompongono)

FELIPPO: È tanto che sta qui?

(Alicante non risponde)

Abita vicino?

ALICANTE: No. Vengo da lontano.

FELIPPO: Una volta in questa zona c’era un calzolaio, eppure non lo trovo. Dovrei chiedere a qualcuno, ma a quanto pare in giro non c’è

ALICANTE: Nessuno.

FELIPPO: È strano.

ALICANTE: Non è strano. C’è stato il terremoto.

FELIPPO: Ma pensa, credevo di essere il solo.

ALICANTE: Il solo.

FELIPPO: Ad averlo sentito. Allora è vero.

ALICANTE: Un terremoto non si fa per finta.

FELIPPO: Pensavo fosse stato il dirimpettaio. Con il martello, o il trapano, o la lavatrice. È pieno di lavatrici l’appartamento del mio dirimpettaio. Mi ha sorpreso. M’ha sorpreso che. Dormivo. Certi pomeriggi sono difficili da affrontare. Anche certe sere, certi mattini. Io li affronto così, mi metto a dormire fra le lenzuola, i cuscini.

(Silenzio)

E lei?

ALICANTE: Io cosa?

FELIPPO: Lei come li affronta.

ALICANTE: Io non affronto. Sto.

FELIPPO: Ah, sta.

ALICANTE: Sto.

FELIPPO: Bravo.

ALICANTE: Devo andare.

FELIPPO: Torna a casa?

ALICANTE: Ci sto provando.

FELIPPO: Ci vorrà un po’ se abita dall’altra parte della città.

ALICANTE: Lei che ne sa?

FELIPPO: Lo ha detto prima.

ALICANTE: Quando?

FELIPPO: A essere precisi ha detto Vengo da piuttosto lontano.

ALICANTE: La sua memoria è molto più tenace della mia pazienza.

FELIPPO: Mi trova fastidioso?

ALICANTE: Ho dei preconcetti. Mi ha pisciato addosso.

FELIPPO: L’avevo scambiata per un albero, succede.

ALICANTE: Devo andare.

FELIPPO: Ci vorrà un po’.

ALICANTE: Questo ricordo di averlo già sentito.

FELIPPO: Vede che anche la sua, di memoria, non è da buttare?

ALICANTE: Arrivederci.

FELIPPO: Aspetti.

ALICANTE: Che c’è ancora?

FELIPPO: Mica parlavo tanto per parlare. La faccenda della lontananza. Voglio dire, ci metterà molto, e durante il viaggio il puzzo potrebbe procurarle noia.

ALICANTE: Quale puzzo?

FELIPPO: Il mio. Cioè, quello del. Mio. Della mia. Insomma: l’orina.

ALICANTE: (annusandosi) Si sente tanto?

FELIPPO: Ormai ce l’ha addosso da qualche minuto, si sarà abituato. Ma un estraneo se ne accorgerà.

ALICANTE: Dice?

FELIPPO: Sicuro.

ALICANTE: Ormai è fatta.

FELIPPO: Aspetti.

ALICANTE: Ma mi lasci in pace, cazzo!

(Silenzio)

ALICANTE: Beh, scusi.

FELIPPO: No, ha ragione, sono io che devo scusarmi.

ALICANTE: Allora siamo pari.

FELIPPO: Aspetti, si avvicini.

ALICANTE: Perché?

FELIPPO: Si avvicini, le dico.

(Silenzio. Alicante sta fermo)

(Felippo si avvicina, prende a tastare Alicante)

ALICANTE: Ma cosa fa!

FELIPPO: Tasto con perizia.

ALICANTE: Tenga le mani a posto.

FELIPPO: Mi servono le coordinate.

ALICANTE: Ehi, vaffanculo!

(Spinge Felippo, che cade a terra e prende a gemere)

ALICANTE: Si è fatto male?

FELIPPO: Sì.

ALICANTE: Non doveva provocarmi.

FELIPPO: Non trovo il bastone.

ALICANTE: (Intercetta il bastone con un piede) È qui.

FELIPPO: Ah, grazie.

ALICANTE: Arrivederci.

FELIPPO: Non riesco ad alzarmi.

ALICANTE: Si è rotto. Qualcosa?

FELIPPO: No, è per via della sciatica. Sa, il nervo. Ha presente?

ALICANTE: Si tenga a me.

FELIPPO: Dove.

ALICANTE: Qui, la mia mano. Prenda.

(Nell’afferrargli la mano Felippo lo trascina a terra)

ALICANTE: Merda!

FELIPPO: Scusi.

ALICANTE: Sa dove se le può mettere le sue scuse?

FELIPPO: Cerchi di capire, è tutto buio qui.

ALICANTE: Anche qui, se è per questo!

FELIPPO: Allora capirà.

ALICANTE: Io capisco solo che… (borbotta uno smadonnamento incomprensibile)

FELIPPO: Ha bestemmiato!

ALICANTE: Eh?

FELIPPO: Lei ha bestemmiato, ho sentito bene.

ALICANTE: Non ho bestemmiato.

FELIPPO: Sì invece. Non si bestemmia! Tanto più che è reato.

ALICANTE: Ma mi faccia il piacere.

FELIPPO: E se anche non fosse reato resta comunque una cosa oltraggiosa di per sé. Badi bene, oltraggiosa.

ALICANTE: Qui di oltraggioso riconosco solo uno spaccapalle di prima categoria.

FELIPPO: Non è comunque un buon motivo per infangare il nome di dio invano. E se per caso fossi religioso?

ALICANTE: Lo è, per caso?

FELIPPO: Potrei. Nel caso.

ALICANTE: Non era mia intenzione offendere alcuna religione.

FELIPPO: Allora ammette di aver bestemmiato?

ALICANTE: Non ho bestemmiato, razza di cane paranoico malato!

FELIPPO: Sta bene?

ALICANTE: No, maledizione, no che non sto bene!

FELIPPO: S’è fatto male?

ALICANTE: Dove diavolo è finito il bastone?

FELIPPO: Può prendere il mio se vuole. Ecco, lo può tenere.

(Nel tentativo di allungarglielo lo colpisce. Alicante urla)

Scusi, ho preso male le misure.

ALICANTE: Dovrò ucciderla, mi sa.

FELIPPO: È sempre così melodrammatico, lei?

ALICANTE: Sarebbe una buona azione.

FELIPPO: Uccidermi.

ALICANTE: Forse mi darebbero una medaglia.

FELIPPO: Probabile.

ALICANTE: Potrebbe significare salvare il mondo dall’estinzione.

FELIPPO: È proprio simpatico, gliel’hanno mai detto? Gliel’hanno mai detto?

ALICANTE: Una volta, un tizio. Ai cessi della stazione di Amsterdam.

[continua…]