A scuola di mafia
di Alessandro De Roma

Il Formez Italia organizza questo concorso per conto del ministero degli esteri. Quanto è costato il concorso? Parrebbe piuttosto costoso, considerando il complicato sistema dei volumi contenenti i 4000 quesiti. Volumi che vanno distribuiti ad ogni candidato prima di ogni test, per essere poi ritirati e distrutti dopo ogni prova (poco conta che siano sempre gli stessi volumi e che ne girino da giorni diverse copie su internet o nelle case e nelle stanze d’albergo dei candidati).
Come mai, ci si chiede in molti, il Formez ha organizzato anche questo concorso, dopo la fallimentare gestione del concorso per i presidi?
Gira una voce (e di voci ne girano tante all’Ergife): pare che dietro il Formez s.p.a. ci sia niente meno che il ministro Brunetta. Sarà vero? Sarebbe interessante saperlo. E sarebbe interessante anche sapere se era questo che, per anni, l’ex ministro intendeva quando parlava di efficienza della pubblica amministrazione.
Ci vorrebbero indagini accurate su questo tema. E ci vorrebbero giornalisti pieni di buona volontà e capacità di penetrazione nei fitti misteri italici. Si ha la sensazione che questo concorso sia solo una piccola parte di un tutto più grande. Un tutto marcio e pruriginoso. Ma le sensazioni sono tutte deviate. Mille opinioni e idee girano. Tutti scommettono su una cosa e sul suo contrario: è davvero l’Italia come capita a volte di vederla negli incubi notturni.
Intanto, a differenza di quanto accaduto il primo giorno, i circa 40000 (quarantamila!) volumi stampati con 4000 quesiti ciascuno vengono effettivamente ritirati al termine di ogni prova per essere mandati al macero. Per fortuna che era già carta riciclata (dal concorso per i presidi).
Quanto è costato questo concorso? La domanda diventa sempre più pressante ad ogni nuovo ritiro del librone.
Me ne sono passati per le mani ben 8, in 8 test differenti: ho avuto libroni azzurri, rossi e gialli. Sempre gli stessi.
Che cosa accerterà, questo concorso, a parte lo stato comatoso delle istituzioni di questo paese? Accerterà che gli insegnanti italiani, che sappiano o meno le lingue, sono comunque in grado di sviluppare tecniche di sopravvivenza sempre più raffinate. Tra il primo e l’ottavo test che ho fatto mi sono reso conto di essere diventato più veloce, più coriaceo, più amaro. Non credo più in nulla. Voglio solo andare avanti e sentirmi vivo: potermi dire parte di questo girone infernale che sembra ruotare con le sue stesse forze.
In una delle tante lunghe attese, un collega sulla cinquantina mi si avvicina per chiedermi: Tu mi sembri esperto, ma per caso sai cosa sono queste scuole europee?
Intanto anche le cose più turpi finiscono, anche se non siamo neppure più in grado di desideralo. Ce ne andiamo a casa, o in albergo. Attorno all’Hotel Ergife restano solo montagnole di carta di cioccolatini al caffè e lattine vuote di red bull. Domani gli ultimi due test per i lettorati di francese e spagnolo. Quelli dai quali tutto era cominciato; e con i quali tutto infatti finisce.
Dunque c’è una logica? Dunque c’è un senso?
Gli insegnanti torneranno in classe il giorno dopo, in tutta Italia e nelle sedi estere nelle quali rappresentano la nostra cultura.
Prima dei compiti in classe di matematica o latino, diranno ai loro alunni: spegnete i cellulari e non copiate. O, no, anzi, scusate, mi sono confuso, copiate pure, ma per poter copiare come si deve, aspettate di diventare un insegnante di ruolo come me e di partecipare a un concorso pubblico. Lì sì, lì potrete copiare da veri italiani, e potrete fare quello che vorrete com’è iscritto nella nostra vivace natura mediterranea.
Potrete anche organizzare un bel trenino. Funziona così: chi sa meglio il francese si mette in testa al treno e passa le risposte giuste agli altri; al test successivo poi il favore gli viene restituito: il francofono passerà al secondo o al terzo vagone e copierà da chi è più esperto in inglese o in spagnolo o in tedesco. È così che imparerete tutte le lingue, ragazzi. Fidatevi. Credete ai vostri insegnanti che già ci sono passati. O quanto meno, è così che riuscirete a certificarne la conoscenza. Come vedete si tratta della vecchia arte di arrangiarsi: è per questo che si viene a scuola no? Quindi insomma, copiate, copiate, se potete, non sarò certo io a fermarvi. Come potrei mai?
La ragione per la quale vi scrivo, al di là della evidente cialtroneria di chi ha organizzato questo concorso così male e non lo ha poi saputo gestire una volta che è degenerato, è anche una ragione di ordine morale e, forse, perfino di prospettiva storica.
Cosa ne è dell’Italia oggi? Cosa c’entra tutti questo con il nostro passato e con il nostro futuro?
Pochi sono i docenti che pensano di far ricorso. Quasi tutti paiono disgustati dalle giornate che hanno trascorso a Roma, quelli che hanno sottratto i volumi e quelli che non lo hanno sottratto.
Su face book si è formato un gruppo chiamato “insegnare all’estero” nato in questi mesi di attesa del concorso. Nel gruppo molti si dicono contenti perché, davanti a uno stato così disumano come quello italiano, ci si è potuti associare per aiutarsi a vicenda.
Chi ha rubato il libro, lo ha passato ad altri; le fotocopie giravano a meraviglia. E molti hanno fatto il loro bel giro sul trenino. Peggio per chi si è intestardito a voler fare l’onesto ad ogni costo. Cosa aveva da perdere, a quel punto? Perché non si è dato da fare per copiare, come tutti, visto che era lampante che erano gli organizzatori stessi a incoraggiarci a farlo?
Possibile che quell’assurdo moccioso moralista che non ha voluto a nessun costo copiare non capisse proprio che questo paese è morto, che la scuola non serve a niente e che l’unica cosa che ci rimane è trovare il modo più efficace per fregare il prossimo? Associamoci a questo scopo e chiamiamo questa associazione: solidarietà.
D’altro canto non avevamo scelta, dicono ancora questi docenti illuminati: davanti a un ministero che funziona così non ci hanno lasciato altra strada che l’inganno. Non servirebbe a niente annullare e ripetere il concorso, perché non potrebbe essere diverso.
Ma io c’ero anche nel 2006, e benché non si trattasse di un concorso impeccabile, non si era visto nulla di così vergognoso: e i libroni, per esempio, non esistevano.
In Italia siamo condannati a fare le cose male, insistono, bisogna farsene una ragione e sopravvivere come si può. E volerci bene, nonostante tutto. Almeno questo! Non ci rimane nient’altro! Non mettiamoci almeno i bastoni tra le ruote gli uni con gli altri.
E poi soprattutto non avremo mai la voglia e la forza di tornare a Roma tra un anno e ripetere l’esperienza da capo. Lasciamo che tutto vada per la sua strada e che i più furbi stiano in cima alle graduatorie. Se siamo venuti qui è perché vogliamo un posto all’estero, giusto? Andar via dall’Italia? Ebbene, cominciamo col mandare affanculo questo paese, visto che non chiede altro che questo. Tanto ormai, che siamo bravi o non bravi, che sappiano le lingue oppure no, a chi può importare? Al ministero no, è chiaro. E allora, perché dovrebbe fregare qualcosa a noi o ai nostri futuri alunni di New York, Asmara, Casablanca o Tirana?
Tra le persone che sostengono questa posizione ci sono molti ignavi, molti gretti approfittatori e molti ignoranti che non avrebbero avuto altra occasione che questa per passare un vero concorso.
Ma ci sono anche persone di grande valore intellettuale e morale, insegnanti che sanno le lingue e hanno magari completato un dottorato in Francia o in Inghilterra. Persone che potrebbero e dovrebbero dare il meglio di sé a questo paese e che invece sono arrivate a un tale disgusto da aver definitivamente rinunciato a credere in qualunque principio, una volta che si arriva a confrontarsi con le istituzioni pubbliche .
Se esiste una dimensione nella quale poter dare il meglio di sé, è solo quella privata, oramai. La vita pubblica e professionale, è solo tempo sprecato in Italia. Si sopravvive come si può. Perché lottare ancora contro il niente?
Tra queste persone ho amici di vecchia data, che stimo da tanti anni e ai quali voglio bene. persone che ritengono ormai che non valga più la pena di fare distinzione: siamo tutti una sola massa miserabile senza dignità, noi, in faccia allo stato, al governo, che non ha senso, che non ha giustizia. Aiutiamoci come si può. Bravi e ignoranti; onesti e disonesti. Che differenza fa? Salviamo intanto noi stessi e poi quelli che ci stanno simpatici o che ci stanno più vicini. Almeno questo. Meglio di nulla. Il paese affonda, tiriamoci un salvagente a vicenda.
E quelli che insistono a stare ancora sulla nave, a gettare l’acqua in mare: che fessi! Che imbecilli! Ma dove trovano ancora la forza per credere all’impossibile?
Si tratta di rappresentare la cultura italiana all’estero, no?
Dopo questa articolata esperienza, mi pare di capire che per il ministero degli esteri sia quindi giusto che a rappresentarla siano persone che ragionano con una mentalità che io definirei semplicemente mafiosa.
È questa la cultura italiana? Dopo tutto, no? È questo che dobbiamo mostrare al mondo. Questo il mondo vuole da noi. Per questo uno straniero iscrive un figlio a una scuola italiana all’estero. Sennò lo iscriverebbe a una scuola francese, tedesca o inglese.
Siamo noi, docenti italiani nell’anno scolastico 2011-12, anno del centocinquantesimo anniversario, una quasi perfetta incarnazione di quel momento storico (attorno al 1861) nel quale lo stato italiano, appena unito, generava, dai suoi difetti e dalle sue contraddizioni, la forza della mafia.
Solo che adesso questa mentalità è la stessa che detta i criteri di riferimento per chi insegna nelle scuole pubbliche italiane (che all’epoca praticamente neppure esistevano), e che è talmente abituata a non credere più in niente (“che paese di merda!”, era la frase che si sentiva più spesso nei corridoi dell’Ergife), che ormai non vede neppure più quanto sia assurdo copiare a un concorso in quel modo spudorato e, il giorno dopo, tornati in classe a far lezione, mettere due a un proprio alunno perché tentava di copiare.
Si va a scuola per diventare dei buoni italiani. Si va dunque a scuola per diventare più furbi. Non bisognerebbe più dire: non copiate ragazzi, ma copiate con furbizia, fregatemi come meglio potete; è il vostro insegnante che vi parla, il vostro professore che ve lo chiede. La vostra storia che lo esige.
L’altra frase che si sentiva spesso nei corridoi dell’Ergife era infatti: anche copiare non è mica facile, bisogna saper copiare bene.
Crocetta sulla a, sulla b, sulla c o sulla d? E tu come hai fatto la 3247? E la 2212?
Bisogna meritare di saper rappresentare la cultura italiana all’estero.
In 150 anni di storia nazionale, non solo non siamo riusciti a debellare la mafia, ma ora lasciamo che ci governi, nella pratica e nelle menti, da Bolzano a Caltanissetta, nessuna differenza. Ho visto l’Italia intera e unita, all’Ergife. Unita nel nome dell’ignoranza o del disincanto, ma pur sempre unita. Unita fino al giorno (ormai prossimo) in cui in questo paese non sarà più possibile distinguere tra chi è onesto e chi no, chi è ignorante e chi fa con coscienza il suo mestiere. Così, finalmente, l’unica cosa che ci rimarrà per sopravvivere, sarà esser mafiosi: tutti assieme e con solidarietà.
A me pare valga la pena di occuparsi di questa delirante prova di auto-distruzione del sistema scolastico italiano. Che dei fatti penalmente rilevanti e delle responsabilità degli organizzatori se ne occupino le procure e che i giornali suscitino un dibattito: si può ancora credere, dopo questo concorso, che la scuola italiana e i suoi docenti, possano essere una risorsa per questo paese. E davvero questo paese vuole risorse dalle quali attingere soccorso, oppure vuole soltanto liberamente affondare in ciò che sente intimamente di essere, la solita tirannia del “siamo tutti uguali”, grazie al caos che ci avvolge, siamo tutti uguali, perciò nessuno si senta in colpa.
Lunedì 12 dicembre iniziano le correzioni dei test: grazie alla tecnologia moderna, vi si potrà assistere via streaming collegandosi col sito del ministero degli esteri, a riprova della impeccabile equità del meccanismo di selezione che è stato adottato.
Scusate se sono stato un po’ prolisso.
Un caro saluto
Alessandro de Roma

Docente di storia e filosofia.

Pagine: 1 2