Matteo Codignola, Un tentativo di balena
di Ade Zeno

Alla stregua di una malattia virale e degenerativa, l’ossessione per l’epica teratomorfa balena melvilliana ha saputo contagiare, lungo gli ormai centosessant’anni che ci separano dalla pubblicazione di Moby Dick, un tanto ricco quanto bizzarro catalogo di menti creative tutte frizionate dalla stessa magnetica spinta verso visite personali, riletture, reinterpretazioni più o meno celebri di un mostro letterario senza tempo. Dal grande illustratore Rockwell Kent, che intorno agli anni Trenta lo “tradusse” sotto forma di quasi trecento lunari disegni, allo sfortunato regista John Huston, che lo trasformò in una pellicola colossal pseudo-fallimentare, all’eterno giocoliere Orson Wells, che lo inserì senza esitare nella perennemente gravida famiglia dei suoi progetti dispersi, il “tarlo” del capodoglio albino è riuscito, con impressionante costanza, a generare altri mostri dando vita a tanti nuovi Achab votati, proprio come il torbido capitano del Pequod, a consumare considerevoli pezzi della propria esistenza nella conduzione di una chimerica abissalissima battaglia. Ultimo fra i primi Roberto Abbiati, anomala e solitaria figura di attore, regista, pittore, clown abituato a racchiudere i propri spettacoli entro spazi assai ridotti, contenitori minimi, strutture di legno carta e aria in cui lasciar vivere oggetti di recupero tramutati in personaggi, corpi, voci, sagome effimere e precarie plasmate nella materia dei sogni. Miniare, ridurre all’essenza, scarnificare il tessuto narrativo del colosso melvilliano e portarlo in scena così, per consumarlo nel giro di pochi minuti (quindici), pur senza tradirlo, anzi arricchendolo, donandogli una nuova dimensione e un respiro inedito, governato dall’identica forza, dalla stessa potenza magnetica che lo ha reso Classico di tutti i tempi: questo l’obiettivo di Abbiati, che sottraendo moltiplica, e moltiplicando amplifica, e intanto fa i conti con il biforcarsi dell’ossessione primaria (quella di Achab per il suo nemico), a cui ora si addiziona quella, appunto, della riduzione del tutto a dettaglio infinitesimo. Il risultato è uno spettacolo itinerante dall’emblematico titolo Una tazza di mare in tempesta, e a raccontarcelo, passo dopo passo, ci pensa Matteo Codignola, rinomatissimo e sapiente traduttore adelphiano (tra gli altri di Patrick Mc Grath, Edward Gorey e – ci piace ricordare non senza una nota di riverente entusiasmo – di Mordecai Richler, di cui nel 2000 curò mirabilmente il capolavoro La versione di Barney), che qui per la prima volta si presenta nelle vesti di autore, scrittore, sorprendente e abile giostraio di parole. Diviso in due ideali sezioni, di cui la prima costituisce l’introduzione allo spettacolo vero e proprio che verrà illustrato per filo e per segno solo a partire da pagina 72, Un tentativo di balena suggella l’incontro di una coppia folle e appassionata, alchimia esplosiva destinata a divertentissimi cortocircuiti fra teatro, letteratura e disegno in cui l’impronta grafico-drammaturgica di Abbiati dialoga perfettamente con l’irresistibile umorismo di Codignola, capacissimo, quest’ultimo, nel destreggiarsi fra erudite aneddotiche e minuziose divagazioni a tutto campo. Il leggendario Pequod diventa una tazzina, lo sguardo attonito di Ismaele si confonde con le pupille vuote di un pupazzo nascosto dentro una credenza, la gamba di Achab viene sostituita dall’arto di un tavolo, il corpo gigante di Moby Dick assume le fattezze di una piccola scure: un mondo rimpicciolito, insettato, raccolto insieme in un’unica scatola magica, demiurgica, in fondo fatta di nulla (e dunque di tutto); ipnotica, bambina e meravigliante, la macchina onirica di Abbiati/Codignola ci trascina dritti nel ventre del mostro, in una manciata di gesti riassume tonnellate di pagine, gioca a semplificare, a rendere più maneggevoli e familiari le armi di Melville, con un certo margine di rischio, d’accordo, o almeno con il fondato timore di corrompere troppo, di banalizzare fino all’irriverenza. Eppure questo infantile, delicato e strabiliante congegno funziona, funziona eccome, e sbalordisce non soltanto per la sua poetica dolcezza, ma anche (soprattutto) per l’efficacia che dimostra nel rielaborare un immaginario tanto abusato e usurato come quello del mostro marino. Estrema, paradossale sintesi di un universo che pensavamo ormai fisso e immutabile, questo libretto ridicolo e tragico autorizza chi non l’avesse ancora capito a credere che la fantasia è ancora tutta da scoprire, tutta da fare.

Matteo Codignola, Un tentativo di balena, con disegni di Roberto Abbiati, Adelphi, Milano 2008, pp. 156, €13.