Atti Impuri, vol. 4 — Editoriale

Struttura lacertiforme, corpo tozzo, nero, arabescato di macchie giallo-aranciate distribuite in modo irregolare, cranio piatto, occhi prominenti dotati di palpebre: bastano pochi dettagli per restituire un primo, sommario, ritratto di questo piccolo anfibio che in realtà, nel variegato panorama delle bestiole che popolano i nostri boschi, spicca per peculiarità a dir poco anomale. Appartenente all’Ordine degli Urodeli, la Salamandra salamandra — o più comunemente Salamandra pezzata — può misurare dai quindici ai venticinque centimetri, è dotata di organi sensoriali ben sviluppati (soprattutto l’olfatto) e dispone di una livrea liscia, coperta da lievi escrescenze, costantemente umettata grazie alle secrezioni di particolari ghiandole mucose alle quali si accompagnano altre ghiandole velenifere pronte, in caso di pericolo, a secernere un liquido denso e biancastro. A patto di essere trattato con rispettosa delicatezza, comunque, l’anfibio risulta sostanzialmente inoffensivo.

Ulteriore caratteristica — comune a tutti gli Urodeli — è la sua facoltà di rigenerare elementi del corpo mutilati (coda, zampe o perfino parti di occhio), prodigio che ha certo contribuito ad alimentare la nomea di bestia straordinaria, del resto già supportata da numerose eccezionalità, non ultima quella di dimostrarsi alquanto longeva, essendo in grado di raggiungere i venticinque anni d’età, che in terrari particolarmente ottimali possono addirittura spingersi fino ai quaranta e oltre.

Esistono molte credenze legate al prezioso animaletto, la più conosciuta delle quali è sicuramente quella relativa al suo principale (presunto) talento, ovvero la capacità di passare indenne attraverso il fuoco. Idea, si capisce, del tutto priva di fondamento: grazie al muco che secerne la combustione è infatti sì rallentata, ma solo per qualche secondo, giusto il tempo di divincolarsi e scappare.

Forse è il fatto di sentirci così tanto innocuamente velenosi, illusoriamente immortali, forzatamente schivi; o forse solo perché con lei sentiamo di poter condividere un destino fraterno alimentato (anche) da parole non dette, ipotesi superficiali, dimenticanze. Vai a capire. Il risultato, comunque, è che con le salamandre — o come le nominava Landolfi in uno splendido racconto, labrene — sappiamo di avere almeno qualcosa in comune. Siamo passati attraverso il fuoco più o meno indenni, abbiamo sguazzato negli anfratti bui della pioggia e del fango dotandoci di nuovi cognomi, nuove macchie, altri corpi, ci siamo dolorosamente privati di qualche arto che però poi è ricresciuto prendendo forme inaspettate, diverse. Niente di leggendario in tutto ciò, va bene, ma questo ostinato aver resistito alle avversità del Tempo ci rende comunque meno ingenui e innocui rispetto a quando tutto era cominciato. Perché anche le salamandre, nel loro piccolo, agguerriscono. E così noi, insieme ai nostri fantautopici sogni impuri, continuiamo a procedere, a prescindere, malgrado le inevitabili (e tuttavia sempre — perlopiù inutilmente — scongiurate) avversità.

Ignorati dalle vetrine, evitati da certa critica, scansati da chi si proclama paladino del nuovo/necessario per poi rivelarsi, ancora una volta, allineato a tutto il resto; genericamente sconosciuti ai più, noi, malgrado i più, insistiamo. E, va da sé, il senso di una tale blasfema insistenza non può essere riassunto entro i limiti di mezzo editoriale, in particolar modo se le pagine da introdurre risultano tanto ricche quanto quelle che popolano questo nuovo, miracolante e pericolato, numero. Nessuna introduzione, quindi, risulterebbe per noi più sensata se non quella in cui semplicemente si ringraziano i tanti leggiadri malfattori che hanno partecipato all’impresa, in particolare Daniela Fersini, cui è stata affidata la nuova veste grafica, e Mauro Maraschi, che ha coordinato il lavoro degli illustratori, così come Gianfranco Peiretti, che con estrema generosità ha prestato una delle sue straordinarie creazioni per i nostri insani esperimenti; ma, ça va sans dire, anche i traduttori, i curatori, i nuovi benvenutissimi redattori, l’editore, e naturalmente gli autori tutti, che hanno regalato i propri inediti: a ciascuno di loro un sentito, riconoscente inchino.

Gentile lettore, al momento non sappiamo cosa ti ha spinto ad arrivare fin qui, quale misteriosa forza abbia voluto in qualche modo favorire il nostro incontro. Possiamo, questo sì, dirti quanto significherebbe per noi sapere che questa spinta è stata dettata dalla curiosità, dall’ideale proiezione verso una scoperta, dall’amore per il linguaggio e i suoi possibili, improbabili, immaginari. Potrebbe sembrarti bizzarro, forse addirittura malsano, ma per tagliare il quarto traguardo abbiamo bruciato numerosi mesi, nonché molteplici pezzi di noi, e le centoventotto pagine che ora gingilli fra le mani sono frutto del tempo e del lavoro di parecchi urodeli che per organizzarsi a dovere hanno dovuto continuamente entrare e uscire dal fuoco. Lo hanno fatto, si capisce, perlopiù sorridendo, convinti come sono che alimentare e frequentare luoghi del genere sia soprattutto un piacere senza pari, un godimento che saremmo felici di spartire con te e con un esponenziale numero di tuoi dissimili.

In parole povere, questo solo possiamo dirti: quello che siamo (un gruppo di scriteriati leggenti) e quello che vogliamo (un mondo governato da fantasie plurime, ipotesi di felicità possibili e luoghi in cui sia semplice far convogliare le parole di Tiziano Scarpa con — poniamo — quelle di Antonio Rezza, Salvador Espriu e John Giorno, tanto per dirne quattro).
Solo questo.
A tutto il resto, se ti andrà, penserai tu.

Sommario del volume

Matilde Quarti: Filigrana
Tiziano Scarpa: Signora della guerra. Monologo per voce femminile sintetica
Fiammetta Cirilli: Senza fame
Andrea Tarabbia: Falkenau
Roberta Borsani: Cacciata di casa
Nuno Júdice: Felicità in Australia / L’idea dell’amore
Vicente Molina Foix: Sul comodino / Come a Baghdad
Julien Thèves: Un’ultima parola ancora
Vadim Mesjac: La notte più lunga
Salvador Espriu: Teresuccia-che-scendeva-le-scale
Rafael Lasso de la Vega: Antologia poetica
“Basta ego, via”. Conversazione con Aldo Nove
Antonio Rezza: Mento in Movimento
Antonio Rezza / Flavia Mastrella: Lo Spazio è il solo Tempo
Michele Lamon: R.M
Giordano Meacci: La matrice del 2001
Ade Zeno: Quello che resta
Francesco Ruggiero: Gli orologi terminali
Teo Lorini: Più giusto così
John Giorno: It Doesn’t Get Better / Thanx 4 Nothing

Presentazione degli altri numeri della rivista

Editoriale dell’ultimo numero della rivista.
Editoriale del vol. 3 della rivista.
Editoriale del vol. 2 della rivista.
Editoriale del vol. 1 della rivista.

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