Da [la casa è nera]
di Nadia Agustoni

 

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venivano con il colore uno per volta

e un fiato di bambini

un’ala di cotone ogni sera

teneva insieme la sabbia

 

con la fatica dei pedali vanno

come un mondo

niente sfigura le strade

e pensano panchine porti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

lavorano barche nella pioggia, sono muti, soli, portano le braccia, spogliarsi e spargono nell’aria la febbre, il confine di una corsa. corrono con l’acqua, con l’erba, sbattono addosso i muri, a un’ombra, finché la vita è un’ora col sacco, la coperta, il cucchiaio o va dove le cose riposano e sa di sole, foglie, ma non sa come piangere, non parla per nessuno.  lì la parola non ferma il vuoto e il vuoto è una voce bruciata via.

 

 

bruciata via non parla e fa coi ricordi una morte, gira nel suo fuoco, è parola degli altri, è la schiena con la terra per quello che si vive. si vive in un nome, ma sempre trema il sangue di ogni guerra, stare dove il passato è scomparso, coi morti lavati, i sepolti. non si può volere niente. più in là è guardare nei propri occhi.

 

 

lavorano col vento, lavorano i legni, lavano col secchio, sembrano il buio, le mani per credere quel bruno nella terra e il cielo dopo. così nella terra e nel cielo di adesso sono coi sassi, col fumo, gli spari. sono nel maglione e con la merla nella fine degli inverni. sono  vivi. sono morti. sono insieme. sono sempre soli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

non portano il prato

ma l’erba di queste notti

cura il piangere e il prato

li raggiunge lontano.

 

il cielo degli azzurri imprime

un cuore alto

e corrono i conigli allo scoperto

si respirano da soli.

 

case senza tetto piene di luce

i figli nel fuoco di fotografie

con la loro storia

avranno le domande del viso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

partono sempre per la parola incontrata

siamo partiti una volta

per parole che non c’erano

non erano nostre

 

non per noi siamo stati

ma per credere una vita più bella —

stare come qualcuno

che è un altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

la luce più grande prima del tramonto è sugli spazi. nel suo tempo di terra chiara e di celeste si fa silenzio, un respiro intero. abbracciare le ginocchia, stare dentro ogni sera e non dire sera, mattino, giorni… nessuna età, solo nuca di bambino, stupirsi per un ramo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

nella terra non arata

l’asse di legno a chiudere la casa

ricorda il mancare dei vivi

i lavandini bianchi —

 

la luce di questi giorni

per conoscere le ossa

scava dove la talpa

è il suo ricordo

 

e un tempo di polvere

va nel cielo, perché parli

qualunque voce

qualunque io.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

gli sfondano il petto e guardano nella morte. non capire se ognuno di loro è ognuno di noi, se siamo qua e là. pensare nel bicchiere com’è l’acqua, cosa portiamo nel lontano, nel corpo dove c’è il piangere e il viso è una terra più estrema e violata. com’è più leggeri delle nubi quell’andare, sentire in una voce cos’è chiamarsi. cos’è non avere addii.

 

fanno con gli aerei come chi è solo a parlare. chi è solo a parlare gli aranci può un paese di sole e di alberelli, ma altri prendono le terre, prendono mani di bambini e quaggiù il secchio degli stracci, un ospedale di piastrelle chiare, il sangue per parlare più grande di pareti. Così il nome degli uccelli nelle storie… al cielo i nomi gli cadono. uno alla volta sanno ogni morte. la morte in quella pazienza di biancore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

a volte il pane è un altro silenzio diventa mangiare tenersi in piedi. uno sbaglio finire col vento. taglia via la radice spacca il ramo. i tronchi da soli non fanno niente. i fiori non verranno. sono parole col cielo.

 

 

il futuro dove il tempo è la foglia i nomi sentiti nel ricordo di chi va via. cartoncini al collo dei morti per la notte che non parli, per la terra sopra il dolore. questa domanda e questo  silenzio sono soli. qui non pregano Iddio o un uomo, solo la parola rimasta indietro. così vivono quelli che vivono.

 

 

in un filo spinato si è liberi dal cuore e canta la bambina senza nome un fiocco rosso nei capelli e in mano le parole imparate a metà per dire il colore, l’albero, la finestra e come l’oro è meno dei fiori e i fiori sono la nostra casa.

 

 

ma nel magro dei cani torna la guerra. grandina sulla terra sconosciuta, sulla casa senza chiavi, sulla mano difesa. tutto il sangue è guardarsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

l’aria lasciata a questi giorni sarà miraggio di paesi ultima terra

 

 

“… e chiamo alla mia trincea i morti

a dire che si è vivi senza salvarsi

senz’altra morte che la propria

insieme a ogni morte”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Al di là del suo esplicito referente artistico diretto – ossia il film di denuncia La casa è nera, della regista e poeta iraniana Forough Farrokhzad, di cui si trova spiegazione nella nota finale –, il libro di Nadia Agustoni propone metaforicamente una topologia poetica dove alla denuncia dell’inabitabilità di certe “soluzioni abitative” dettate dal potere e della guerra, si contrappone invece l’apertura ecologica di una struttura abitata dalle vittime del potere, unico luogo di possibile pace e resistenza non-violenta. (…) Ognuna delle cinque sezioni del libro ha in esergo una citazione letteraria che dà la tonalità a tutta la sezione, come una sorta di password per entrare nel clima dei testi, i quali colpiscono non tanto perché la grammatica porta su di sé gli estremi del processo di frantumazione e secchezza già sperimentato nei libri precedenti, non tanto perché baluginano e si susseguono moltissime immagini e suggestioni, ma perché quello che il lettore si trova davanti è la trascrizione del convulso raccontare (fino all’indicibile) di chi sta vedendo in diretta le cose di cui scrive. (…) Quello che dunque questo importante libro suggerisce, nonostante non sia certo il primo a denunciare la violenza del potere, è un modo nuovo di abitare la storia e la poesia, ed è quello di mettersi, perché lo si è per nascita, dalla parte degli oppressi senza però desiderare di arrivare dalla parte, salva, dei potenti; di dare il nome alle cose essendo cosa tra le cose, facendo del gesto poetico un toccare con vera benevolenza il mondo, casa dei racconti.”

(dalla Prefazione di Giovanna Frene a Nadia Agustoni, [la casa è nera], Vydia Edizioni 2021, euro 10)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nadia Agustoni (1964) scrive poesie e saggi. Suoi testi sono apparsi su riviste, antologie, lit-blog.

Del 2021 è [la casa è nera] (Vydia edizioni), del 2020 è Gli alberi bianchi (Gialla oro Pordenonelegge-Lietocolle), del  2017 è I Necrologi (La Camera verde), del 2016 è Racconto (Aragno), del 2015 Lettere della fine (Vydia editore) premio ex equo Bologna in Lettere Interferenze 2017, e la silloge [Mittente sconosciuto] (Isola Edizioni); del 2013 è il libro-poemetto Il mondo nelle cose (LietoColle). Una silloge di testi poetici è nell’almanacco di poesia Quadernario (LietoColle 2014) ed è presente nell’antologia InVerse 2014-2015. Nel 2011 sono usciti Il peso di pianura ancora per LietoColle, Il giorno era luce per i tipi del Pulcinoelefante e la plaquette Le parole non salvano le parole per i libri d’arte di Seregn de la memoria. Del 2009 la raccolta Taccuino nero (Le voci della luna). Altri suoi libri di poesie, usciti per Gazebo, sono: Il libro degli haiku bianchi (2007), Dettato sulla geometria degli spazi (2006), Quaderno di San Francisco (2004), Poesia di corpi e di parole (2002), Icara o dell’aria (1998), Miss blues e altre poesie (1995), Grammatica tempo (1994). Vive vicino a Bergamo.