Transizione, di Fabrizio Bajec

 

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“Diresti che all’interno del rapporto madre-figlia si è prodotto un cambiamento tra il giorno in cui hai lasciato Milano e il primo periodo a Parigi?”

“Sì. Corrisponde al primo vero allontanamento e dovrebbe essere sufficiente per dimostrare a quelli che hanno ancora dubbi che, malgrado tutto, il nostro non è un rapporto di dipendenza. Non c’è stato lavaggio del cervello o dominazione dell’adulto sull’adolescente. È un’altra cosa”.

“Perché? Qualcuno in famiglia accusava tua madre di questo?”

“Certo, ma mia madre accetta le mie scelte. Quindi la questione è risolta. Pensi che un tempo andavamo perfino insieme a comprare biancheria intima, trucchi e scarpe col tacco. Può sembrare un gioco superficiale, ma è inestimabile per la mia memoria”.

E riflette al giorno in cui si sono salutate alla stazione dei treni. Il bambino sepolto nel corpo di Emma rimarrà con la madre. C’è una specie di gesto solenne. Con un po’ di immaginazione, potremmo vedere Emma tenere in braccio e porgere a sua madre il cadavere del piccolo Antonio, il bambino che non diventerà mai un uomo. Grazie a questo passaggio rituale, Emma comincia a voler bene alla persona che è stata fin lì, senza però provare una vera nostalgia per la madre, ma semplice affetto.

Prima, le capitava di considerare Antonio come un an-tagonista. Oggi lo vede piuttosto come un fratello che non ha mai lasciato il tetto famigliare. Ormai può guardare le vecchie foto senza soffrire e supporre che le sue due parti fossero effettivamente unite in passato. Eppure, ogni volta che ha davanti delle foto non riesce a identificarsi. Commenta ciò che vede servendosi della terza persona. Le pare davvero impossibile che un tempo sia stata quel ragazzino.

“Mia zia mi ha inviato una cartolina per farmi sapere che ha ricevuto le fotografie degli ultimi mesi qui. È rimasta colpita dai miei occhi, evidentemente felici”.

Una volta lo sguardo di Emma si limitava a contenere un’eruzione di lacrime. Le foto che risalgono a due o tre anni prima le giudica orribili. Col senno di poi, una visione più completa le permette di essere generosa con se stessa e, di conseguenza, con sua madre.

“La stimo, anche se non ha studiato e riceve la pensione alimentare. Anzi, l’ammiro, e non ho mai paura di dirle ciò che deve sapere. Mia madre mi ha insegnato a parlare e a

leggere all’età di due anni, prima che cominciassi la scuola. Durante il primo biennio di vita parlavo come un bambino muto, cacciavo certi suoni disperati. Ero stufo di non potermi esprimere. Poi siamo andate al parco. Abbiamo giocato con la pasta da modellare, il sale e i colori. Mia madre mi ha chiesto di ripetere tutto quel che diceva o faceva mia sorella. E ha funzionato”.

“E con tuo padre?”

“Oggi il nostro rapporto mi pare più semplice e sano. Discutiamo di cose pratiche. È grazie a lui che ho trovato questo monolocale. Parliamo dei miei studi a Parigi e degli eventuali sbocchi professionali. Dopo la separazione dei miei, i ruoli sono diventati più facili da capire”.

(…)

Italia 2.0. Davanti allo schermo del suo notebook, mutato in specchio, con l’aiuto di un nuovo software, Emma vorrebbe essere solo un fantasma. Prima vuota la pancia e la riempie qualche ora dopo di cibo liofilizzato. Se la gola le brucia, vi introduce del miele o del latte di capra, dopo aver ingoiato lo sciroppo del suo ultimo ragazzo. Di fronte a questa immagine di sé che conosce a memoria, è pronta a diventare una mandorla, una madonna. La forma della mandorla le ricorda la Vergine. Ma ad occhi chiusi, studiando solo col tocco le sue ossa, si sente già meglio. È molto fiera di quelle ossa. Stranamente, la malattia la rinvigorisce quasi per raggiungere un fine estetico. Ciò vale anche per la transessualità. I due ambiti sono messi in parallelo e non si incrociano.

Ora, se lei si googleizza, non esce nessuna voce sulla sua persona. Eppure è lì, dentro l’immensa tela, che Emma ha intenzione di trovarsi, per riunire le due parti divise. Si aspetta che nome e cognome siano convalidati dalla grande comunità invisibile. Si può guarire da ciò? No. Non se ne esce. Così si resta anoressici e transessuali.

“È una cosa che ci rimane attaccata tutta la via, a meno che uno non si uccida. La gente pensa che tutto si risolva con un’operazione. Anch’io a volte vorrei affacciarmi alla finestra e gridare che sono felice di essere una T-girl. Ma quel giorno non arriva mai”.

Quando gli uomini cominciano ad avvicinarsi lentamente, quando si aggregano intorno alla sua figura, Emma rivela a tutti che è un trans. E funziona. Quelli hanno paura e spariscono. Si tirano i capelli e il sesso per la disperazione. In realtà, il loro modo di reagire le fa molto male, perché non vorrebbe mai perdere tutto il loro interesse. Perciò, nei suoi sogni, si crea una specie di orrenda compensazione. Migliaia di mani la fanno a pezzi in un giardino buio. Le mani la tirano verso il basso e spediscono il suo corpo al

dimenticatoio. Il prato è molto verde e la notte oscura, come in una tela di Frida Khalo.

In certi giorni, ha paura di passeggiare per strada e sentire qualcuno chiamarla col suo vecchio nome, che porta in sé il peccato di tutta la sua esistenza. Quando uno la chiama il quel modo è per farle capire che ha sbagliato di grosso a liberarsi di Antonio.

Secondo la sua psichiatra, la transessualità non è una trasgressione, perché la scelta non è libera. Anche fra le transgeneri non c’è niente di così chiaro. È un po’ come se uno si chiedesse perché esiste. L’anoressia invece rimane un’affezione chiaramente personale, accompagnata volentieri da una sorella, l’ipocondria.

Emma ha paura di avere l’AIDS. Le basta un semplice raffreddore e l’idea di contagiare il suo prossimo cresce pian piano nel suo cervello, come un gonfiore. Tanto che rifiuta di baciare gli altri e chiede anche al suo partner se non le stia nascondendo una “malattia di origine sessuale”. C’è stato un tempo in cui vedeva degli amici affetti da AIDS e non aveva nessun timore di toccarli. Ma oggi, ogni volta che si ammala, è più forte di lei, l’ossessione assume un’altra forma: contaminare gli altri con la sua transessualità, obbligarli a rinunciare alla loro natura diventa il picco di un incubo inaudito. “Immagino un’orda di ragazzi che non riescono più a riconoscersi. Il loro uccello non si rizza più come dovrebbe. È orribile”.

Ogni volta che Emma telefona al padre le sembra vero-simile che possa morire. Se la madre attraversa la strada e Emma la chiama sul cellulare è possibile che venga investita da un’auto.

L’analisi contribuirà a scacciare quelle fantasie e la paranoia. Oggi dice di dormire meglio. Si potrebbe associare questo dato alla parte migliore della terapia, perché crede di essere molto bella quando dorme. Come se potesse contemplarsi durante il sonno e, svegliandosi, trovare un uomo già chino su di lei, pronto a baciarla. Allora tutto ricomincerebbe da capo.

(Transizione, collana “La porta dei demoni”, Unicopli, 2020)