Alessandro Niero, Residenza fittizia
di Elisa Baglioni

Niero_RFittizia

Con la raccolta poetica Residenza fittizia Alessandro Niero ci introduce in una casa dell’essere e delle apparenze, crogiolo di periferie, transiti, affetti e geografie intime. Quale principio sia stato osservato per progettarla e riempirne gli spazi è chiarito sin nell’Ingresso, titolo della prima sezione: seguire ciò che rimane “dopo lo sfondamento e sfrondamento” per giungere al “tondo tondo / di ciò che non può togliersi da noi / di noi intorno”. Così, il Segno meno, titolo della seconda sezione, è avvertito come irreversibile reductio a un mondo essenziale, scarnificato, condensato in un colpo d’occhio, che nel processo di essere svelato, provoca dolore, disorientamento, oppure è investito di autoironica mestizia, quando colui che lo insegue si trova ad aver fiutato le proprie stesse tracce, ad aver girato a vuoto. Niero suggerisce che la sottrazione si imponga che la si voglia o no, difatti, il segno meno “ci usa / per i suoi scopi senza darcene ragione”, insinuando il dubbio che inutilmente il poeta cerchi il senso di un residuo casuale di esperienze o di un rifiuto misto e irriciclabile, come è definita l’anima nella Filosofia spicciola sulla differenziata.

Sullo sfondo di frammenti quotidiani, fotografie e autoscatti che ritraggono i personaggi di una Spoon River ancora in vita scorre il tempo, primo artefice della sottrazione e spettro della resa dei conti. Ecco allora le riflessioni consuntive il giorno del proprio compleanno nella poesia 44, o l’Io lirico in Allo specchio, rivolgersi al suo doppio e dichiarare: “Non c’è più tempo. Ora la finisca./ Sparisca / dalla mia vista”. Il poeta, il farmacista, il veterinario, lo psichiatra, l’infartuato, nel ciclo Fotografie e autoscatti, colti nello svolgimento di ordinarie faccende, lasciano intravedere una faglia; mutuando le parole di Roland Barthes, quelle poesie aspirano a cogliere il punctum, la “puntura, piccolo buco, macchiolina, piccolo taglio – e anche impresa aleatoria. Il punctum di una foto è quella fatalità che, in essa, mi punge (ma anche mi ferisce, mi ghermisce).” Dal suo canto, il poeta-personaggio ironizza sulla propria missione, sui tentativi di darsi un tono e sulla possibilità di trovare risposte ultime, egli è consapevole del rischio di inciampare nell’inautentico, nell’apparenza, ai quali oppone una via dimessa, quantunque nobilitata dalla dizione e dalla tradizione letteraria presente in controluce.

 

Sempre in attesa di soli sorgenti

e scottature divine

provo pertanto ad attenermi a un senso

minore, scalzo di cose massime,

come addebitare a un caso che

mi abbia sbalzato qui.

La vita rasoterra ha un suo perché.

 

Connessa alla vita anche “la metafisica è sempre terra terra”, indica l’apodittico frammento di prosa di Brodskij, che Niero cita in esergo a un’altra poesia.

La seconda parte del libro si colora di un paesaggio e un lessico familiari. Le confessioni di un amore da padre a figlia, che fa i conti con l’idea fissa e la sovrabbondanza del sentimento, la paura del distacco, l’obbligo di spartizione, l’incanto e la tenerezza. Lo sguardo si apre poi al paesaggio veneto della provincia, connotato da una stagione, l’inverno, e un evento atmosferico, la neve, che rappresentano un omaggio al paese d’adozione di Niero: la Russia. La sua attività di traduttore di poesia e l’insegnamento di letteratura russa all’Università di Bologna sono indizi per comprendere il particolare ruolo occupato dal bianco (Storie dal bianco è il ciclo in chiusura della raccolta) nella poetica di questa raccolta. La neve copre le strade e i confini, imponendo uno stato di uniformità e alleggerimento. Il bianco può assumere qualità morali come il candore e l’innocenza, ma ancor più chiaramente qui assume una valenza estetica, la neve è semplice bellezza da guardare. Nelle brevi prose la neve diventa così sinonimo di eleganza, ordine e incanto, esprime quelle caratteristiche formali che la lingua poetica di Niero persegue.

Coerentemente al disegno di alleggerire l’esistenza dei suoi strati più densi, contraddittori e ingannevoli, la forma è data in ritmi inavvertiti al nostro orecchio, sorvegliati e familiari. Si osserva l’uso frequente della rima in clausola e dei versi sciolti, la mescolanza dei metri più comuni, endecasillabi e settenari. Compare il tridecasillabo, un metro non consolidato nella nostra tradizione che, usato in alternanza, più spesso, all’endecasillabo, introduce un elemento innovativo nella prosodia, programmaticamente amalgamato alle fondamenta della residenza.

 

Alessandro Niero, Residenza fittizia, Marcos y Marcos, 2019, p. 121, 20 euro