I maghi
di Leonardo Tonini

Valerio Nicolai_Trasformazione permanente di un mago in formica_foto Sebastiano Pellion Di PersanoGiovanni si imbatté in Francesco lungo una via del centro. Erano stati compagni di scuola. Non si vedevano da anni e quindi stettero un po’ a guardarsi con i sorrisi stampati, senza sapere che dirsi.
– Allora, tutto bene?
– Ma sì dai, quanto tempo è che non ci vediamo!
– Ah, sì, sapevo che eri andato all’estero.
– Eh, storia vecchia, adesso sto qui.
– Che fai?
– Campo alle spalle dei miei.
– Sei in buona compagnia, allora.
Poi Francesco ricordò episodi di scuola, ma aveva ricordi vaghi. A Giovanni quelle cose non interessavano, ma dissimulava.
– Dove stavi andando? – domandò Giovanni.
– Al congresso dei maghi.
– A cosa? – Giovanni si finse stupito.
– C’è il congresso dei maghi, hanno affittato il teatro. Io ci vado, mi interesso di quelle cose adesso.
Giovanni si trattenne dal ridere, ricordava il vecchio compagno come un tipo strano. Avrebbe voluto dirgli: “Dai, non scherzare” ma il tono di Francesco era serio.
– Ti va di venire? Io ci sto andando adesso.
Giovanni cercò una scusa, ma non gliene vennero, e poi la faccenda di un congresso di maghi gli sembrava tanto bislacca da meritare un approfondimento. Giusto per farsi una risata, penso fra sé.
– Congresso di maghi, non riesco a figurarmelo.
– Vieni allora, non devi avere pregiudizi. Io ne avevo, ero scettico, ma in realtà non sapevo niente. Giudicavo senza sapere.
– Va bene, andiamo, ho poco tempo, ma per dare un’occhiata. – disse Giovanni che in realtà non sapeva come riempire la giornata.
Era però molto curioso, allettato dall’idea di divertirsi con gli amici alle spalle del suo ex compagno.
Il teatro era vicino, l’ingresso era su una rata che portava al castello. Un ingresso anonimo, tra alti palazzi. Dentro, Giovanni si sorprese di vedere tutta quella gente, il foyer ne era affollato. Ma non c’era ressa, le persone per lo più confabulavano, come durante una pausa. Molte erano nei pressi del bar. Giovanni cercò tra gli astanti qualche possibile mago, qualcuno che gli desse l’idea di credersi mago, per l’abbigliamento o altro. I più erano in giacca o gilet, le donne eleganti, ma senza ostentazione. Tra le donne, ve n’era qualcuna più eccentrica, specie se su di età. Un tale indossava kefiah e dishdasha. Si accorse che alcune facce erano nordiche. Giovanni non sapeva bene cosa cercare, forse la sua idea di mago era stereotipata.
– Vieni. – disse Francesco scostando la tenda che portava in galleria.
Sul palco sei o sette persone dietro a un tavolo, con targhe dei nomi davanti e microfoni. Molti spettatori, ma diversi erano i posti vuoti.
– È il terzo giorno, io non ho perso una conferenza.
Trovarono posto vicino al corridoio di uscita.
– Quello che parla è Zanchi, un mito per me. Una cultura immane.
Giovanni cercò di capire.
– … 12 è quindi un numero importante. 12 erano gli apostoli, e i cavalieri della Tavola rotonda, e i mesi, i segni zodiacali dell’oroscopo occidentale, cinese e indiano. Ma 12 sono anche le categorie di Kant, le coppie di nervi cranici, 12 semitoni formano un’ottava, 12 erano gli dei dell’Olimpo, la Gerusalemme Celeste ha 12 porte e Gesù ha 12 anni quando viene portato al Tempio…
Giovanni ascoltava, Francesco gli sorrise come uno che sa.
– … al di là degli esempi che possiamo moltiplicare, una cosa è nota: per il pensiero antico 12 voleva dire il tutto, indicava l’interezza, il cosmo…
Fu la volta di un tipo alla sinistra di Zanchi. Giovanni si sorprese per la scarsa attenzione del pubblico, molti parlavano a voce alta, altri si alzavano, andavano e venivano attraversando la pesante tenda che separava la galleria del foyer. Anche sui palchi regnava il disordine.
– … ma se esiste l’inviolabile, l’assolutamente perfetto, la strada che vi conduce è altrettanto perfetta? Esiste una strada per la perfezione? Ed è quindi possibile passare da uno stato di imperfezione a uno perfetto?
– Ma sono tutti maghi? – Giovanni chiese.
– E studiosi. Quella è la Morpurgo, la grande astrologa. – Francesco indicò una vecchina dall’aspetto insignificante di maestra delle elementari in pensione. – ha parlato ieri. Però dovevi pagare per andare a vederla. Era strapieno.
– Tu di che ti intendi?
– Di profezia, io vorrei diventare profeta.
– Tu? Vorresti diventare profeta? – Giovanni sbalordì, ma trattenne anche una grande risata.
– Sì, ma non è come si pensa. Il profeta non è uno che indovina il futuro, è uno che sa leggere i segni del presente.
– Leggere i segni del presente? – Giovanni voleva capire.
– Sì, i profeti della bibbia più che predire il futuro ammonivano il popolo di Israele perché aveva perso la retta via. Se vi allontanate da Yaveh, allora gran disgrazia su di voi. O meglio, questa tragedia che ci sta succedendo è perché ci siamo allontanati da Yaveh. Non prevedevano, minacciavano.
– E tu?
– Mah, io per ora studio, imparo. Ci vuole il carisma, quello uno mica se lo inventa!
Il teatro era pieno di echi, la gente parlava come in piazza; le voci si coprivano, cercavano di sovrastare i microfoni, tuttavia i relatori parevano non avvedersene. A Giovanni crebbe l’inquietudine, si sentiva un intruso, uno a cui manca la chiave di interpretazione per capire quello che vedeva. In fondo, quelle cose non lo interessavano.
– Chi è quello? – Chiese Giovanni di un tipo alto, veramente sopra la media.
– Non so, finora non ha parlato, però è sempre stato presente; ieri è intervenuto quando si parlava di ipnosi.
– Ma perché questa confusione?
– È sempre così. A parte qualche conferenza aperta al pubblico, questo è un convegno, la gente viene qui per parlare, per scambiare idee. A me fanno entrare perché sono del giro.
Giovanni cercò di ascoltare l’intervento di una signora.
– … non è forse questa la Storia? Nessuno vive la Storia, essa è sempre sullo sfondo.
– Ma noi siamo contro la Storia! – interruppe uno.
– Quello è D’Orazio – disse Francesco – un napoletano, si fa chiamare Mago Alex, ma è un burlone.
Intervenne Zanchi:
– Nessuno è fuori dalla Storia, ma noi e solo noi portiamo avanti la Grande Opera.
– Per Guénon la Storia è a cicli! – gridò uno da un palco. Qualcuno applaudì, altri fischiarono.
Le questioni venivano poste per accenni, nessuno spiegava o approfondiva, si era fra addetti ai lavori in fondo.
– La verità è che bisogna stabilire una gerarchia, non possiamo mettere guaritori, aruspici, cartomanti e illusionisti tutti insieme!
– Che c’entrano gli illusionisti adesso? Quelli non fanno parte della categoria, sono prestigiatori. Anzi, per lo più ci sono avversi, credono di smentire svelando i trucchi!
Giovanni era tra il divertito e l’incredulo, ma sentiva crescere la noia, o forse era disagio. Il dibattito continuava:
– Chi stabilisce cosa è giusto? La nostra è la professione più libera del mondo, molti sono imbroglioni, è naturale, ma solo chi lavora bene, solo gli onesti vanno avanti alla fine, e chi ha carisma. E quello o ce l’hai o non ce l’hai, non lo si compra al mercato.
– Io dico che prima di tutto viene la divinazione!
– Ecco, ci siamo. – disse Francesco – questo è il mio campo!
Uno disse:
– Gli astrologi te li raccomando: che faranno adesso che Plutone non è più un pianeta?
– Che sciocchezza! – inveì la Morpurgo – così parla chi non ha cognizione. In astrologia un pianeta è una forza agente, poco ci interessa se il pianeta è o non è classificato, o di dove stia. Abbiamo già detto ieri della falsa questione della precessione!
Un tale si alzò e prese la parola.
– In verità noi dobbiamo distinguere la cabala pratica dalla cabala mistica. Se prendiamo la classificazione del grande Isaac Luria…
– Chi è quel vecchio che sta parlando? – chiese Giovanni.
– Quello è Severino, il fratello del filosofo. Tra fratelli non si parlano da molti anni, ma si leggono a vicenda. Ma vieni, facciamo una pausa.
I due si fecero strada tra la fila stretta delle poltroncine, i seduti tirarono in dentro le gambe per farli passare. Si ritrovarono nel foyer e a Giovanni venne di prendere fiato anche se pure lì c’erano molte persone. Si avvicinarono al bar.
– Che pensi? – disse Francesco.
– Ma, guarda, sono abbastanza perplesso.
– Anch’io ero scettico, un materialista, ma che prove abbiamo che non ci sia qualcosa di vero? La scienza? Ma la scienza è un dispositivo che vuole verificare e chi dice che queste cose, diciamo magiche, debbano essere verificate in senso scientifico? E poi anche la scienza crea relazioni tra le cose, non è quello che facciamo noi?
Giovanni ascoltava, ma non era persuaso. Quel discorso gli suonava falso, ma non sapeva da dove cominciare per inficiarlo. A un certo punto gli venne da dire:
– Anch’io a volte credo di avere un dono, mi succede qualcosa di strano.
– Del tipo?
– Ricordo il futuro.
– Addirittura!
Quel “addirittura” fu una stilettata per Giovanni, era detto senza cattiveria, ma lo fece impallidire.
Francesco parve non accorgersi e continuò:
– In che senso ricordi il futuro? Sembrerebbe premonizione.
– Eh… ma io non so, non mi sono mai preso sul serio – faticosamente Giovanni riprese il controllo di se stesso – ricordare il futuro è eccessivo, diciamo che mi vengono in mente degli scenari…
– E poi queste cose si avverano?
– Mah, potrebbero avvenire.
– Beh, ma scusa, quello capita un po’ a tutti – disse Francesco, in tono compassionevole.
Giovanni sentì come un’uggia calargli nel cuore, aveva bisogno di uscire. Si era esposto trascinato dall’ambiente ed era riuscito a passare per fesso.
– Ma sì, infatti. Beh, io credo che adesso devo proprio andare.
– Va bene, mi ha fatto piacere rivederti – mentì Francesco.
– Anche a me.

 

Leonardo Tonini, mantovano, si laurea con Marzio Pieri, vive tra Italia e UK, ha vinto il premio Virgilio Masciadri (Aarau, CH) per la poesia con Megalopoli (Ed. Alla chiara fonte, Lugano – CH), è redattore per “Kaspahauser”, rivista di Filosofia. Ha un figlio, una ex moglie e diversi gatti.