Antonella Anedda, Historiae
di Fabrizio Bajec

Se un lettore straniero volesse sapere di cosa è fatta la poesia italiana d’oggi e se gode ancora di buona salute, dovrebbe cominciare da questo libro, fra i più riusciti del primo ventennio del nuovo secolo. Con “riuscito” intendo una raccolta di versi nella quale tutte le sezioni si mantengono allo stesso livello di tensione, senza cadute stilistiche, cali d’ispirazione, operazioni riempitive, insomma, evitando che il prodotto puro sia allungato da additivi di più blanda qualità. L’equilibrio è merce rara in poesia, e qui è perfettamente raggiunto. Historiae non è un catalogo di illusioni meta-letterarie, compiaciute prove d’artista sulla dura materia delle nostre cronache giornalistiche, bensì e niente di meno che quello che resta quando la morte e gli orrori della Storia recente non lasciano molte speranze. Aspettavo, personalmente, da molto tempo una raccolta di tale fattura e che, guarda caso, volente o nolente, fa ritorno alla morte (polvere, cenere). La morte la pervade tutta, come già nel forte e non così lontano esordio di Anedda, Residenze invernali (si veda qui la presenza di vocaboli e riferimenti a lumi, lampade, letti, animali), ma anche del secondo libro (la medesima pietà per l’Occidente). Entrambe le opere costituiscono probabilmente insieme all’ultima gli apici dell’acclamato percorso di questo poeta d’origine sarda. Riferendomi all’inizio a un lettore straniero e al piacere che avrebbe tratto dal presente libro, a condizione di conoscere bene l’italiano, lo facevo pensando alla ricchezza di stratificazioni linguistiche, rimandi letterari, prestiti e debiti che hanno sempre caratterizzato questa poesia, consapevole anche di problematiche traduttologiche e sostrati semantici proprio per una sua naturale ed endemica dislocazione rispetto alla lirica italiana. Anedda dichiara subito di inventarsi un’altra lingua (a volte), un idioma mutuato parzialmente dal sardo, è una lingua tradita, rifatta e latineggiante, con un occhio a quella di Tacito e l’altro sui libri aperti e provenienti da altre culture. La scelta di far seguire o precedere sulla stessa pagina la versione italiana e “straniera” del testo, non in vis-à-vis, allo specchio, né completamente in basso e rimpicciolita, risponde forse a una necessità di reiterazione, di percussione ottusa, che si permette micro-variazioni (già sperimentate su larga scala in un altro libro di omaggi). Ma Historiae è anche per certi versi un libro magrelliano, in cui la razionalità, lo sguardo e le letture mediche (oltre al latino della scienza) sono le uniche risorse contro un male invasivo. Una forma di meditazione laica che non esclude però la dimensione della lectio divina, cioè pronunciare a voce alta un testo per riflettere. Magrelliano è davvero il rapporto con la metafisica degli oggetti di uso comune. Le faccende domestiche sono sempre occasioni di epifanie, e la cesellatura linguistica, presente da sempre in Anedda, è spinta qui con lo scrupolo di un osservatore che non giudica, la cui retina si imprime di immagini icastiche, con mero interesse anatomico. La vista penetra nelle minuscole venature, dentro la pelle, fino alle ossa. Bisogna cercare, armati di una passione per il processo chimico, come funzionaneddaano i corpi e i soprusi, in modo da farsene una ragione. Così (ri)scopriamo che il Male è presente fin dall’inizio nella Storia e non può che riproporsi, mostrandoci penosi parallelismi. Nessuna memoria di una qualche età dell’oro potrà risparmiarci, neanche il futuro che qui è già anteriore. È una raccolta a suo modo eroica per lucidità e paradossalmente salutare: «L’incontro dei vivi con i morti è il nostro affresco. / Serve a rinunciare». Accanto a diverse prove di simpatia per poetesse dello stesso filone, come Elisabeth Bishop e Marianne Moore, ve n’è una che ci riporta sotto gli occhi un’Ofelia rimbaldiana che passa come un annuncio di calma guarigione:

Alghe, anemoni di mare

Vediamo il mondo quanto basta,

non di più non di meno di quanto sopportiamo,

la testa che immergiamo nell’acqua è la sola promessa

di una vita ulteriore, nel grigio che sfuma ogni pensiero.

Le alghe oscillano arrossate dagli anemoni di mare.

La mente non fa male, il fondale trema

Di una luce autunnale.

Vieni acqua buia intrecciami di ortica,

la crescita lenta è già finita.

Fabrizio Bajec

Antonella Anedda, Historiae, Einaudi, 2018, pp. 86, 11 euro.