La carne, la libertà e il suo capitale di simpatia
di Fabrizio Bajec

poissonsNon ho mai scocciato nessuno con le mie scelte alimentari, ma viste le condizioni del nostro pianeta… Nessuna propaganda in favore di un regime vegetariano nel bel mezzo di una cena con amici, mai una frase secca, del tipo: «No, grazie, non assorbo animali morti», oppure: «Sono troppo progressista per queste cose». Ho persino accettato che qualcuno cuocesse della carne di maiale nella mia cucina. Per dire a che livello di tolleranza sono arrivato… I miei allievi mi hanno anche detto, una volta scoperto il modo in cui mi nutrivo: «Menomale che lei non è pesante come certi vegetariani che abbiamo conosciuto e che non perdevano un’occasione per attaccarci».
Ma io sono vegetariano per pigrizia. Lo sono, non riuscendo ad essere vegano, perché se ciò richiedesse meno tempo in cucina e meno acquisti troppo mirati, lo sarei da almeno dieci anni.
Ovviamente, in ballo non c’è solo questo; è una spiegazione un po’ semplificatrice, ma la maggior parte del tempo mi piace fermarmi qui.
Sarà dunque un esordio? Ho davvero l’intenzione di lanciarmi in un discorso, per così dire, militante?
Non del tutto.
Ieri, facendo lo zapping – come mi capita una volta all’anno in una camera d’albergo quando mi abbuffo di immagini uscite dall’apparecchio sul quale Pierre Bourdieu ha scritto un bel saggio negli anni ’90 – mi fermo su un dibattito che ha come scenario Place de la République. E ciò mi ricorda qualcosa, qualcosa che quella trasmissione ha ripreso ingegnosamente.
Un animatore porge il microfono alla più giovane rappresentante di una famiglia di macellai, che si trova davanti alla portavoce dell’associazione L214, quella che ha svelato gli orrori del maltrattamento animale dietro le porte dei mattatoi, introducendovi delle telecamere.
La prima ha l’aria simpatica, è una donna moderna, del tipo giovane imprenditrice; la seconda è più piccola, coi capelli corti, porta gli occhiali e non ce la fa a sorridere come la situazione lo richiederebbe.
È una trasmissione “fica”, si svolge per strada, con un pubblico giovane intorno alle due invitate, e il conduttore è in maglietta e ha un cappello da rapper.
Ascolto la prima («La carne fa bene alla salute»), poi la seconda («Mi dispiace ma io non leggo articoli scientifici finanziati dalle lobby della carne»). E infine arriva il momento di cedere la parola al pubblico che dovrà decidere chi delle due è la più convincente.
Gran parte dei giovani preferisce l’erede della grande famiglia di artigiani-macellai. È qui che vedo sorgere il primo sorriso della militante vegana.
Non ricordo più su quale canale sono sintonizzato. Non importa. Uno studente uscito dalla piccola folla sta motivando la sua scelta e dice che potremmo più semplicemente richiedere che certe pratiche degradanti per gli animali siano vietate nei mattatoi, anche in quelli che portano l’etichetta BIO.
Sembrano tutti soddisfatti e io cambio canale. Qui trovo Madonna che dà il suo concerto di fine anno, accompagnata dalle sue ballerine travestite da suore che si muovono seminude intorno a un’asta d’acciaio. Ma ripenso subito a quello pseudo dibattito.
Il problema dei militanti è che non accettano il mondo così com’è, non sono dei “tranquilloni”, e hanno meno motivo di sorridere di quella donna dinamica e libera il cui discorso si riassume grosso modo così: «Lasciateci vivere e andate piuttosto a rompere le scatole a quelli di Nutella. Sono loro che inquianano il pianeta!».
Il militante è spesso meno affabile dei giovani vestiti di azzurro che ci fermano all’angolo della strada con il logo di Greenpeace sulla schiena.
Una volta, quando uno voleva essere ribelle – come ha detto l’anno scorso un politico – diventava trotzkista; oggi si diventa vegani, si fa a meno dei prodotti derivati dagli animali.
Solo che se la maggioranza dei vegani, vegetariani ed ecologisti capisse il legame profondo che sussiste tra il funzionamento del capitalismo, il nostro modo di vivere, e l’impatto sugli animali e sul suolo terrestre, ci sarebbe sicuramente più gente alle manifestazioni contro l’austerità economica o contro le riforme del lavoro. E viceversa, contro la conferenza delle Nazioni Unite sul clima (per esempio) si vedrebbero sventolare le bandiere della Cgil.
Invece no, ognuno difende la causa che crede di conoscere meglio, o allora soltanto la libertà di sfruttare a proprio piacimento (e indirettamente) le risorse umane, animali e naturali, che tanto stanno lì per questo…
Gli uni continueranno a lottare contro l’automatizzazione e la robotizzazione del lavoro, senza vedere che queste fanno anzitutto il gioco della finanza, la quale ha un braccio nel settore agroalimentare e un piede nell’industria delle armi ( e dell’esilio!); gli altri formeranno lunghe catene umane per difendere la Terra, dimenticando però da dove vengono i loro smartphones, a che prezzo ne dispongono e che converrebbe loro essere anticapitalisti fino in fondo, non solo a tavola.
Sta di fatto che al giorno d’oggi abbiamo privilegiato questa sacrosanta libertà e che parliamo molto più di fratellanza a fine anno perché abbiamo preferito sacrificare l’uguaglianza, relegandola da qualche parte, lontano dai nostri occhi, forse nei mattatoi. È là che uno la può somministrare col più grande scrupolo.