Intervista a Iosonouncane
di Francesco Ruggiero

Intervista

 

1) Come si traduce in musica un paesaggio, come si distilla il genius loci attraverso sinestesie sonore?

 

Credo non lo si possa tradurre ma unicamente evocare.

 

2) Per restare in tema, quali paesaggisti, pittori, oppure quali artisti visivi hanno nutrito il tuo sguardo?

 

Sono molto legato all’impressionismo. Ne condivido tanto le premesse quanto i risultati.

 

3) Nabokov sosteneva che un’isola disabitata abbia più meriti di un’isola con un’impronta di piede che ne sigla la spiaggia. Che ci fa l’uomo su un’isola? E che relazione o distanza stabilisce con il proprio osservatore (oppure “occupante”) la Sardegna?

 

Credo che l’uomo sia sempre su un’isola, poiché quella è la sua condizione esistenziale. Non sempre e non tutti però ne sono coscienti. Alla seconda domanda non so rispondere.

 

4) La letteratura sul naufragio, Poe, Melville, Coleridge, ci ha insegnato che non tutto il mare viene per nuocere. è così anche per il protagonista del tuo album?

 

“Il mare bisogna rispettarlo”, si dice dalle mie parti.

 

5) L’estrema cura e selettività del lessico presente in Die ci spinge a ipotizzare una sorta di filosofia del linguaggio. Per Wittgenstein il linguaggio deve avere la stessa funzione di uno spartito musicale, ovvero riprodurre la forma di ciò che rappresenta. Cosa accade quando anche la parola è parte dello spartito?

 

La parola è sempre parte dello spartito, altrimenti si pubblicherebbero libri e non dischi. La musicalità delle parole nel suono e nel ritmo ha per quanto mi riguarda la stessa importanza di quella del rullante o della tromba. Non riesco davvero a scindere musica e parole.

 

6) Ancora sul rapporto parola – musica. Orazio parlava di callida junctura riguardo alla ricerca di inedite combinazioni espressive. Esiste e tu pratichi un procedimento analogo per la musica, cercando sequenze di note, di accordi oppure attraverso l’accostamento e sovrapposizione di strumenti dissonanti?

 

Si, senza dubbio.

argentique-007 Silvia Cesari

7) Rimestare influenze è sempre riduttivo per un artista, ma quali musicisti hanno contribuito a liberare ed espandere la forma canzone?

 

Credo che il concetto di forma canzone sia piuttosto paludoso, poiché nella storia si ripresenta ciclicamente per farsi puntualmente superare. Insomma, l’elenco sarebbe infinito.

 

8) Che funzione o ruolo assegni all’ironia, alle incongruità, o addirittura all’aleatorietà nel momento della composizione?

 

Il momento della composizione è quello più istintivo di tutto il processo creativo. Quindi ogni riflessione di questo tipo arriva solo successivamente.

 

9) Quali immagini rimangono impigliate nella tua retina durante un’esibizione live?

 

Canto e suono tenendo quasi sempre gli occhi chiusi, non saprei direi nemmeno bene il perché. Quindi di visivo mi rimane molto poco.

 

10) In settimana comincia il tour Mandria. Ci racconti un aneddoto buffo, grottesco o bizzarro che hai vissuto in occasione di altri viaggi e di altri concerti?

 

Una volta, anni fa, ho dormito da solo in una casa di due piani, diroccata e disabitata. Ho tenuto la luce accesa.

 

 

Composizione del paesaggio

Appunti su Die

 

Die desdiecrive un lessico familiare che, esercitato, diventa progresso. Racconta una terra su cui il mare si schianta da ogni lato, e ne riempie le ore, i minuti, gli attimi polverizzati in eternità minime. A ridosso di un tempo geologico e cosmico, tra battiti soffiati e movimenti infiniti. Ritmi forgiati nel fuoco e temperati dallo scirocco, dal maestrale.

Per chi volano gli stormi evocati nel disco? Volano per ogni donna che attende il proprio naufrago e per ogni uomo che sogna la riva lontana, appeso a tramonti aperti come ferite. I corpi dei personaggi che popolano le tracce musicali sono gettati nel buio e accolti da pianti e melodie antiche, sono ricoperti di sale, sanno riconoscere le pietre dal peso, l’acqua dall’urlo; osservano il cielo e fanno l’inventario degli alberi, registrano il galateo del bosco. Ogni elemento concorre a plasmare lo spazio sonoro, che si fa a tratti preistorico e a tratti futuristico, attraversato da strumenti disambientati che scorrono nella coscienza e la alimentano di dubbi. Ciò che accade e ciò che è atteso è vincolato al paesaggio, presente come un’eco che si sgola tra le ottave, tra gli intervalli di note e che fluttua in forma di loop e di tromboni, in forma di campionamenti e filicorni. I ritornelli sono relitti di spaventi normali. Uno dopo l’altro, i brani traducono le immagini del territorio, nel fiorire dell’alba e mentre impera la burrasca; interpretano il movimento cardiaco e il respiro di un luogo i cui confini sono segnati dalle sirene, spettatrici del ciclo naturale che dalla luce ci riconsegna al buio, dove eravamo già stati.

 

La voce di Jacopo è inafferrabile, è un vento che attraversa le spiagge solitarie; è nutrimento per gli spettri, per gli animali trasparenti, per i silenzi. Ha la leggerezza di Battiato e l’intensità di Dalla; agita i temporali, scivola sul lato concavo dei giorni. Abita per sempre il margine minerale del presente.