Vagina revolver
di Frankie Fancello

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando vieni, in quanto te
mi è impossibile contenerti
da Parigi a Roma allo sparo dilatato
nei metrò tic tac fra i delitti
rendendomi una tasca vuota
nemica di una gravidanza, quasi un ruolo appiccicato
ristorato a sua immagine e somiglianza
e del resto sono ancora a scuola
e tu d’altronde hai radici su suoli altrui
sei una sindrome italiana che non posso far guarire
una mononucleosi spiazzata nel fianco
senza essere confusa, senza amore e amicizia
ma piena di dettagli postumi del famoso rock ‘n’ roll.

 

Caterina che sei entrata nei palazzi
per annientarli senza qualifiche, o meglio,
che hai tenuto la bellezza nella fragilità nutrita
di rabbia e speranza
evitabile come una piccola influenza
come l’inflazione del troppo consumo,
rivista e invalicabile
come il cibarsi di giovani dispersi
con i semi lasciati dentro lo stomaco
con i sassi sui domani
scolorendo le risorse e inconsapevole
a chilometri da casa
sparandomi sui sogni.

 

Dio solo sa
che conosco l’amore con i Velvet Underground
in costante fuorigioco oltre le linea degli stronzi
in quanto mi chiamo il Ronaldo degli ipocondriaci
il capocannoniere di un ricordo mai avuto
un film di Fassbinder per calcare i nostri lati chic:
amore, rifonderemo un WWF acrobatico
e salveremo una razza schifosa come quella dei poeti
che se lo toccano solo quando dorme
mentre parlano di significanti
in versi che contengono la parola “voce” e “abisso”.

 

È certo, quanto è certo un tabaccaio divino
la poesia è bellissima ma la tua figa è meglio
perché è un crimine un’obiezione di coscienza
un rigore in zona Cesarini un sorpasso futuristico
in quanto sei quella che inseguo sempre dopo un dribbling
lasciandomi a invocare Satana inutilmente,
si, sei un male curabile, una pasticca meccanica
ed ecco sempre a mettere in primis la bellezza
sempre favorita all’etica alle regole alla pasta alla carbonara
e trecento foto tue senza l’ombra di un giorno
lontana dal cyberpunk e dal marxismo di Heather Parisi,
qua la forma convenuta è pressoché precipitosa
diluita sulle aspettative, la solita iperbole scivolosa
tra gli avanzi della scienza spazzolati
in paradiddle jazz freddato maleducato
rottamato con lo spirito della diseducazione
sull’economia essenziale dei contorni
lasciando il pregio di oscurare il centro
negli incroci dell’amore anemico
con lo spazio giusto per uscire
per rivederci statici
in fondo a una visione
senza nessunissimo anticorpo.