Il caso Eddy Bellegueule di Édouard Louis
una recensione di Silvia Nugara

Eddy itIl romanzo autobiografico di esordio del poco più che ventenne Édouard Louis racconta la sua infanzia violenta vissuta, o meglio, subita quando ancora il suo nome era Eddy, “un nome da duro”. Orgoglioso di avere un primogenito maschio, Jacky Bellegueule, operaio piccardo alcolizzato e padre di Eddy, aveva battezzato il figlio come l’eroe di una serie tv americana. In più, Eddy eredita dal padre un cognome che sembra uno pseudonimo, Bellegueule, bella faccia, faccia d’angelo. Se il destino fosse scritto nel nome, chiamare un figlio “Eddy faccia d’angelo” avrebbe garantito ai Bellegueule la presenza in famiglia di un “vero uomo”, perfetta incarnazione dei valori virili di un contesto sociale maschilista e razzista che non lascia spazio alla differenza. Ma Eddy delude presto le aspettative del padre e il romanzo scritto da Édouard fa coincidere le prime manifestazioni della devianza del protagonista rispetto alla norma del suo mondo di origine con l’acquisizione del linguaggio, quindi con il suo ingresso nell’ambito simbolico: sin da bambino Eddy parla con voce acuta e gesticola come “une grosse folle” (così nella versione originale). Al di là della volontà dei suoi e della sua stessa volontà – perché anche lui desidererebbe con tutte le forze essere “un duro” – Eddy è effeminato e portato verso orizzonti diversi da quelli a cui è destinato da una traiettoria predeterminata dalle dinamiche di riproduzione sociale (la visione dell’autore si fonda sulla sociologia di Pierre Bourdieu).

Il romanzo ci dice che Eddy Bellegueule non ha altra scelta se non quella di diventare ciò che è, ossia Édouard Louis. Le pagine raccontano la natura inesorabile di un corpo che impone il suo linguaggio e i suoi desideri al di là di ogni sforzo per plasmarlo e piegarlo alla volontà dell’individuo o sotto i colpi delle violenze collettive. Voce, mimica e apparenza somatica sono in realtà puri significanti a cui, però, il contesto sociale attribuisce un significato facendone dei segni, delle manifestazioni in questo caso di effeminatezza ovvero di debolezza da opprimere, da dominare, da violentare, da imbrattare con lo sputo, da marchiare con il fuoco dell’insulto: “pédale, pédé, tantouse, enculé, tarlouze, pédale douce, baltringue, tapette (tapette à mouches), fiotte, tafiole, tanche, folasse, grosse tante, tata ou l’homosexuel, le gay”. Benché l’effeminatezza non sia necessariamente indice di omosessualità, nel mondo eterosessista in cui cresce Eddy non si va per il sottile e uno che sculetta è senza dubbio una checca. Infatti è attraverso lo sguardo che il corpo diventa segno, assumendo significati e valori storicamente e socialmente determinati (come dimostra la monumentale Histoire du corps di Cobin, Courtine e Vigarello, che altro non è se non una storia dello sguardo sul corpo attraverso le epoche).

Eddy frNell’epilogo del romanzo, il protagonista, che frequenta un liceo di città, osserva le maniere delicate dei compagni di scuola – “Ils ne définissent pas la virilité comme mon père, comme les hommes de l’usine” -; impara che l’uso del corpo cambia in funzione della classe sociale di appartenenza e si rende conto che il suo sguardo è ancora colonizzato dalle coordinate del mondo da cui proviene: “Et je me dis quand je les vois, au début / Je me dis / Mais quelle bande de pédales”. Così, ancora in lotta con la propria sessualità, pensa “Je ne suis peut-être pas pédé, pas comme je l’ai pensé, peut-être ai-je depuis toujours un corps de bourgeois prisonnier du monde de mon enfance”.

In realtà l’omosessualità si impone a Eddy fino a diventare il viatico per la costruzione della sua soggettività anche tramite la fuga da un mondo sociale profondamente violento. Nel romanzo, la violenza si declina in tutte le sue forme: verbale, sociale, economica, razziale, sessista, omofoba, coniugale. Alle ingiurie, alle umiliazioni e alle aggressioni fisiche subite a scuola si somma la violenza quotidiana dei rapporti di classe in cui anche i poveri cercano qualcuno da sottomettere e umiliare, dei rapporti di sopraffazione tra uomini e donne, del razzismo verso gli arabi e i neri. Senza parlare delle condizioni di vita precarie in cui vivono le famiglie del villaggio: cattiva  alimentazione, poco sonno, poca igiene, promiscuità, alcoolismo, gravidanze precoci. Il romanzo restituisce con perizia la prevaricazione e l’abbruttimento che dominano tanto i rapporti sociali quanto il linguaggio dell’ambiente proletario descritto. Riportando continuamente in corsivo le espressioni ricorrenti della sua infanzia e l’idioletto famigliare in tutta la sua carica di cinismo e di ironia grottesca, Louis rende anche lo scarto tra la sua parola e la parola dei suoi, tra la parola di Eddy e quella di Édouard con un esercizio di equilibrismo tra passato e presente e tra dimensioni diverse dell’io di cui talvolta l’autore esplicita la fatica.

edouard_louisNon dev’essere facile per un ragazzo di vent’anni, benché sostenuto e aiutato (non è da tutti esordire per i tipi di Seuil ed essere subito tradotto in decine di paesi), compiere pubblicamente attraverso questo romanzo il tradimento della propria classe sociale d’origine. A questo frammento di autobiografia non va, però, attribuito il valore di un avvenuto percorso di soggettivazione e di una compiuta analisi sociologica. Se così fosse ci sarebbe da chiedersi perché la narrazione lasci (quasi) immuni, quasi fossero innocenti, le classi privilegiate la cui violenza pur non esprimendosi nelle forme grossolane e sontuose delle classi popolari risulta comunque assai più efficace se non addirittura costitutiva delle dinamiche di esclusione che reggono la vita sociale. Quella di Édouard Louis è una testimonianza parziale, resa e diffusa forse anche sulla scia di una crisi delle identità sociali e del loro valore politico che coinvolge la Francia da qualche anno (o decennio, piuttosto) e che ha nel crescente successo elettorale del Front National una delle sue spie più luminose. Lo dimostra il fatto che l’autobiografia di un intellettuale omosessuale e transfuga di classe come Didier Eribon, a cui il libro è dedicato, e che costituisce la fonte ispiratrice più recente del libro di Édouard Louis, sia in gran parte anche un saggio di analisi delle dinamiche sociali ed elettorali che dagli anni Sessanta a oggi in Francia e non solo hanno finito per sciogliere il legame tra forze politiche della sinistra e classi sociali più svantaggiate.

Benché En finir avec Eddy Bellegueule si possa prestare ad una ricezione che in Francia è stata definita “prolofobica” (discriminante nei confronti dei proletari), la sua ambizione si limita al racconto di un vissuto che ha valore di testimonianza, di ricostruzione di un linguaggio e di un clima famigliare, di un ambiente sociale e di uno sguardo sofferto verso il passato. Del presente, Édouard Louis, non dice quasi nulla e questo è ben lungi dal giustificare letture idilliache della sua ascesa sociale.

 

Édouard Louis, Il caso Eddy Bellegueule, traduzione di Alberto Cristofori, Bompiani, Milano 2014.

 

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La redazione di Atti impuri