“Ho cambiato genere, non patrimonio genetico”.
Alessandr* da o ad a: dello strano rapporto tra sesso e genere  

ORLANDO

Una differenza concettuale fondamentale come quella tra “sesso” e “genere” sembra non essere ancora stata compresa da alcuni mezzi d’informazione. Il modo in cui l’Unità dell’11 giugno 2014 (p. 11) ha raccontato il caso delle nozze annullate d’ufficio tra Alessandra Bernaroli, nata Alessandro, e sua moglie, è un esempio della confusione tra queste due nozioni e della resistenza ad accettare una letteratura oramai sterminata e pluridecennale, pagine di blog, ore di seminari universitari, innumerevoli convegni. L’episodio di cronaca di cui si tratta è un caso giudiziario che chiama in causa le istituzioni italiane sul terreno del riconoscimento di un matrimonio inizialmente contratto tra due persone di sesso diverso di cui una delle due a un certo punto si sottopone a un cambio di sesso, cioè a una modificazione corporea. Quando parliamo di sesso parliamo quindi di corpo mentre quando parliamo di genere ci addentriamo nei meandri della cultura, del comportamento e, in generale, del prodotto di una relazione sociale che a partire da una differenza biologica, in sé priva di un significato inerente, costruisce un mondo in rosa e un mondo in azzurro, la femminilità delle une e la virilità degli altri.

Generalmente attenta a queste questioni, questa volta l’Unità confonde genere e sesso come fossero intercambiabili e scrive: “Sarà la terza volta in tutto che la Consulta è chiamata a pronunciarsi sui diritti delle persone transessuali: la prima nel ’79, quando nega a chi ha cambiato genere di poter adeguare il proprio nome….”. Nonostante la parola “transessualità” suggerisca che si tratta di transizione da un sesso all’altro, il giornale parla di cambiamento di genere. Ciò avviene trascurando che esiste la nozione di “transgenderismo” per nominare quelle pratiche, in realtà ormai diffusissime presso chiunque, di gioco con i generi, in cui si fa vacillare la frontiera tra femminile e maschile sul piano dei comportamenti, dei gesti, delle attitudini, dei codici vestimentari creando una dissimmetria tra apparato biologico e apparenza di genere come faceva già Marlene Dietrich indossando un frac. Alessandra ha invece deciso di ricorrere a degli interventi chirurgici per far corrispondere la sua morfologia corporea e sessuale al suo genere, e cioè a quell’idea di femminilità, a quell’“anima” che in un altro giornale descrive così: “Da piccolo non capivo, mi piaceva stare con le bambine, volevo rubare i segreti della loro femminilità che mi attraeva, sognavo di essere una donna” (La Repubblica, 11 giugno 2014, p. 21).

Chi ha scritto l’articolo edito anonimo su l’Unità (forse per lo sciopero delle firme indetto dal giornale contro la proprietà) ha obliterato la differenza tra sesso e genere identificando le due categorie, utilizzandole come varianti, adottando “genere” come riformulazione di “sesso”. Infatti se da una parte l’articolo parla correttamente di “rettificazione del sesso” spiegando che “Nel 2009 Bernaroli chiede al Comune di Finale Emilia dove risiede di registrare il cambiamento di sesso”, in un virgolettato, attribuisce a Bernaroli la seguente dichiarazione: “il nostro non è un matrimonio omosessuale – obietta Alessandra – : ho cambiato genere, non patrimonio genetico”. Il problema è che Bernaroli ha cambiato sicuramente genere durante un’infanzia in cui al di là del fatto che la società lo costruisse come maschio dato il suo apparato genitale, lui esprimeva un desiderio di femminilità. Ma l’annullamento del matrimonio è il frutto di un più radicale intervento sul corpo e cioè di un cambiamento di sesso. Se con il genere ognuno può compiere virtualmente infiniti cambiamenti, giochi e fluttuazioni (benché la nostra società eteronormativa non sia sempre benevola nell’accogliere tali espressioni di libertà, nonostante i risultati dell’Eurovision), con il sesso la cosa non è così semplice (interessante a questo proposito la testimonianza di Deirdre McCloskey nel libro Passaggi, edito da Transeuropa).

Ci si permetta però una breve divagazione: se per il ragionamento che stiamo facendo è sufficiente pensare il sesso come dato biologico e il genere come dato culturale, in realtà è anche bene sottolineare i limiti fortissimi di questa dicotomia tra natura e cultura. Non esiste in realtà un ambito completamente avulso da interventi di tipo culturale: la natura, la naturalezza, la naturalità sono anch’esse spesso il risultato di sofisticate applicazioni culturali. Per saperne di più si vedano, per esempio, gli studi antropologici di Paola Tabet sui complessi interventi sociali di divisione socio-sessuata del lavoro, di organizzazione sociale del lavoro di procreazione e di confisca dei mezzi di produzione che trasformano ed enfatizzano le capacità riproduttive delle donne. Si tratta di studi che ricostruendo i complessi processi di “domesticazione” a cui è storicamente sottoposta la sessualità femminile, rendono difficile pensare il sesso come un puro dato naturale. È quindi sicuramente vero che anche il sesso non è mai avulso da interventi del genere e che anzi,  come più volte scritto dalla filosofa Christine Delphy non è il sesso che precede il genere ma il genere che costruisce il sesso naturalizzando e giustificando tutto un sistema sociale oppressivo sulla base di una pretesa e immutabile differenza “naturale”. Certo, prima di arrivare a questo tipo di ragionamenti, sarebbe bene che la stampa assumesse eticamente la propria funzione informativa iniziando almeno a operare la distinzione basilare tra natura e cultura attraverso la quale è poi possibile anche un superamento di tale dicotomia.

Questo caso dimostra che anche quando una realtà sempre più complessa impone ai mezzi d’informazione di dotarsi di strumenti di descrizione, di analisi e di lettura sofisticati, non sempre ciò avviene con facilità. Il passaggio di strumenti concettuali da un ambito militante o specialistico all’ambito mediatico incontra resistenze di varia natura e chiari limiti di comprensione che possono però compromettere l’importante funzione della stampa come mezzo di informazione e di mediazione tra il pubblico e ambiti specialistici (la scienza, il diritto, la filosofia…). Il rischio è dunque quello che il discorso pubblico faccia uso di alcune fondamentali categorie scientifiche in modo tanto impreciso da renderle inutili, quasi tracciando più o meno involontariamente un tratto di penna su decenni di pensiero.

s.n.

Gli sviluppi della vicenda:

http://www.repubblica.it/cronaca/2014/06/11/news/consulta_su_nullit_nozze_in_caso_di_cambio_di_sesso-88704089/?ref=HREC1-25

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La redazione di Atti impuri