L’armée du salut, anteprima del film di Abdellah Taïa e incontro con l’autore
di Silvia Nugara

taia armée Dopo essere stato presentato in anteprima alla Settimana Internazionale della Critica dell’ultima Mostra di Venezia e aver poi partecipato a festival cinematografici di mezzo mondo (Toronto, New York, São Paulo, Angers…), L’armée du salut, film di debutto di Abdellah Taïa tratto dal suo romanzo omonimo (L’esercito della salvezza, Isbn, 2009) approderà alle sale francesi il 7 maggio. Nel frattempo, lo scrittore ora regista accompagna la sua creatura in una serie di anteprime parigine. In occasione di una di queste, durante l’incontro con il pubblico, Taïa ha esordito dichiarando: “il cinema è la mia più grande ossessione, la scrittura non è che un incidente di percorso”. Un incidente con cui, però, passando dietro la macchina da presa, si è trovato a dover fare i conti. L’autore ha infatti riscritto il proprio libro, asciugandolo e stilizzandolo. Ne risulta una pellicola spoglia e silenziosa, in cui sia la recitazione sia le scenografie sono ridotte alla nudità, ma che rispecchia comunque il romanzo.
L’armée du salut è la storia di formazione fortemente autobiografica di un giovane marocchino omosessuale e povero che grazie al fratello maggiore scopre la lingua francese trovandosi anni dopo a emigrare in Svizzera per proseguire gli studi universitari con una borsa di studio. Della pagina il film conserva l’andamento frammentario di episodi in successione, anche se non si tratta sempre di episodi narrativi. Alcune scene hanno un valore essenzialmente poetico, come quando a più riprese vediamo il protagonista introdursi di nascosto nella stanza del fratello maggiore, oggetto di un’adorazione dalle sfumature erotiche, per accarezzarne i libri, gli abiti, per stendersi nell’orma che il suo corpo ha lasciato sul letto, per depositare un povero mazzetto di fiori sul cuscino. Della molta musica che si ha l’impressione di udire leggendo le pagine del romanzo, sullo schermo rimangono soprattutto silenzi e suoni naturali. Eccetto per due scene significative: quella della famiglia riunita attorno al televisore per vedere un film egiziano con Abdel Karim Hafez e l’intenso finale in cui l’emozione emerge dalla sintesi di cui in quel preciso momento è capace un canto rudimentale.
Taia a Parigi il 24 aprile 2014 foto di Florian Bardou C’è poi il suono della lingua, dell’alternanza di arabo marocchino e francese, del francese parlato dai marocchini e di quello degli svizzeri che il protagonista si trova a incontrare nel suo percorso di migrazione verso l’Europa. Alla lingua francese il film dedica una scena-chiave, in cui il fratello Slimane fa scaturire nel protagonista una presa di coscienza. Slimane, infatti, parla francese con Abdellah che prima rifiuta questa imposizione perché si sente estraneo a una lingua che secondo lui appartiene solo ai ricchi e poi l’abbraccia impossessandosene come strumento di emancipazione e di ascesa sociale. Commentando la scena con il pubblico in sala, Taïa ha avuto modo di articolare un discorso sul rapporto tra classi sociali e lingua francese in Marocco, spiegando come il francese sia parlato nel suo paese in modo diverso e stratificato non solo dai più ricchi ma anche dalle classi popolari: “Si tende ad avere un’immagine dei poveri come se la loro fosse una povertà totale che li priva di qualsiasi accesso alla cultura mentre chi è povero ha un rapporto con la cultura che è molto più ricco di quanto si pensi. È sempre bene diffidare da una concezione della povertà come di un’assoluta mancanza di accesso alla cultura intesa come un certo insieme di riferimenti istituzionalizzati. La classe sociale a cui appartiene la famiglia ritratta nel film non è di una povertà totale, non è tra le più povere che esistano in Marocco, certo, non si tratta di una famiglia di classe media però possiede una casa, dei libri, una televisione. Quando ero piccolo non avevamo da mangiare ma mio fratello mi parlava in francese. Anche oggi, mia sorella non ha da mangiare ma i suoi figli parlano francese anche perché loro hanno capito prima di me quanto quella lingua possa rappresentare un mezzo per realizzare qualcosa nella vita. Allora, mio fratello mi imponeva il francese proprio come il personaggio di Slimane, interpretato da Amine Ennaji, fa con quello che impersona Abdellah. Mio fratello, però, non parlava il francese dei marocchini ricchi e così ho discusso molto con Amine Ennaji per ottenere da lui quel francese proprio di un marocchino più o meno povero che tenta di progredire e che quindi impone questa lingua anche alla propria famiglia che però la rifiuta.”
Taia-L-Armee-du-Salut Nel film, così come nel romanzo da cui è tratto, il personaggio di Slimane è fondamentale: “Slimane è ispirato al mio fratello maggiore, figura molto importante nella mia vita, tutto ciò che sono viene da lui. Slimane è come mio fratello: qualcuno che si distingue, che cerca di vestirsi bene pur nelle sue modeste condizioni economiche, che recupera dei libri dove può anche nell’immondizia e ne fa una biblioteca personale. Mio fratello non possedeva niente se non un’idea di sé come corpo di uomo forte e baffuto in grado di salvare la famiglia e di raggiungere obiettivi importanti. Ha sempre sentito di essere destinato a grandi cose e verso queste ha cercato di tendere costituendo una promessa e un punto di riferimento per la famiglia. Aveva l’audacia di immaginare che sarebbe arrivato a dei grandi risultati perché pur nella povertà materiale aveva comunque i suoi libri e la sua testa.”
È dunque Slimane che spinge Abdellah a realizzare un programma di emancipazione dalla famiglia e dal mondo di origine che passa attraverso gli studi e la lingua. Per il ragazzo si tratta però anche di ricercare un modo per vivere più liberamente il proprio desiderio verso gli uomini. Se all’inizio del film l’omosessualità viene vissuta da Abdellah come una risposta passiva al desiderio clandestino di chi lo incontra per strada e si serve del suo corpo in spazi nascosti per il prezzo di un’anguria, da adulto Abdellah vuole vivere allo scoperto ma usa il sesso come strumento per raggiungere il proprio progetto di fuga e di ascesa sociale. Il suo personaggio è completamente privo di innocenza, corrotto dal bisogno, da un sentimento atavico di necessità che si incastona in lui come una nevrosi anche quando ormai le sue condizioni di vita mutano. Abdellah è marchiato dall’estraneità: sempre distante dalle cose, sempre pronto a disconoscerle, per di più straniero perché migrante. In questo ragazzo contraddittorio permane comune una profonda tenerezza: “Non volevo un personaggio di vittima anche se c’erano tutti i presupposti: volevo raccontare la storia di un musulmano omosessuale ma senza lo sventolio di una grande bandiera ideologica. Non ho voluto fare un film manifesto né un film politico, ho voluto fare un film. Le mie prese di posizione politiche le esprimo altrove. Qui non volevo prendere posizione in merito a un dibattito sociale ma raccontare una storia reale tramite un personaggio reale che come spesso capita ai marocchini è molto sofisticato nella gestione della vita sociale. Possiede quella forma di intelligenza sociale che porta a comportarsi in modo furbo e manipolatorio.”

In attesa che un distributore italiano manifesti il suo interesse per il film, L’armée du salut uscirà nelle sale francesi il 7 di maggio. A Parigi sono previste due anteprime: la sera del 28 aprile all’Institut du Monde Arabe e quella del 6 maggio nell’ambito della rassegna Panorama des cinémas du Maghreb et du Moyen-Orient.

Un approfondimento sull’opera letteraria di Taïa:
http://nude-literaryreview.com/it/30122012_melancolie_arabe.htm

Scopri un racconto inedito di Taïa su “Atti impuri 6”:
http://www.miraggiedizioni.it/demo/component/content/article/41-rivista/99-catalogo-atti-impuri-5.html

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La redazione di Atti impuri