Nati per questo
di Stefano Giaccone

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Nati per questo (Edizioni Erranti) raccoglie sette racconti brevi di Stefano Giaccone, cantautore e già fondatore dei Franti. Sono sue storie e storie sue (tra New York, Torino e il Galles), accompagnate da un saggio critico di Giovanni Maletta e da un testo introduttivo di Marco Peroni che lui ci ha autorizzato a riportare qui di seguito per annunciare l’uscita del libro.

 

Sono seduto a un enorme tavolo con altre venti persone circa, tutte piuttosto conosciute in città, che a vario titolo si interessano al tema lavoro. Mancano circa tre mesi alle elezioni amministrative e qualcuno sta cercando di far nascere una lista civica in grado di migliorare le cose. Il tentativo fallirà, ma qui non ci deve interessare. Uno dei presenti è membro del sindacato più attivo nel tessuto industriale del territorio e sta parlando da lunghi minuti. Sta ripetendo ancora una volta che siamo sull’orlo del baratro – o, comunque, all’interno di un declino inesorabile, fatevene una ragione – e che qualunque tentativo di ragionare di settori produttivi diversi significa perdere tempo. Niente potrà restituire i posti di lavoro che nella manifattura si stanno perdendo giorno per giorno.
Io sto diventando nervoso e fatico a restare fermo sulla mia sedia. Quello che mi sta irritando è precisamente la musica che stanno facendo le sue parole, la cellula melodica più ricorrente (ognuno di noi ne ha una) all’interno del suo discorso. Quando il pensiero di qualcuno si ammala, quando i suoi occhi cercano ormai solamente conferme, quando non sanno più guadagnare nuove prospettive, le sue note si ripetono all’infinito e non lasciano entrare più alcuna variazione. È una cantilena in cui sento vibrare qualcosa di intellettualmente violento, è una ninna nanna che mi vuole cullare, addormentare, spegnere, rassegnare. Che mi invita a un sonno senza più sogni.
A un certo punto, dall’angolo del tavolo più lontano, sento arrivare una musica diversa. Mi fa bene come un sorso di acqua fresca in mezzo a un deserto. È una donna sui trentacinque, bionda, minuta ma in qualche maniera forte. Parla timidamente ma porta con sé qualcosa di nuovo e conquista subito l’attenzione di tutti. La sua canzone è diversa, viene da un’anima – lo sento – capace ancora di sogni e gratitudine e soddisfazione. 
Decido di concentrarmi anche sulle parole. Maria, si chiama così, sta raccontando una storia piccola ma bellissima, manda una luce di cui tutti a questo tavolo abbiamo bisogno. Dice che lei un posto fisso ce l’aveva eccome e ben pagato, proprio in una grande azienda locale, ma che l’ha lasciato per inseguire il sogno di coltivare il suo pezzo di terra. Così ha messo in piedi un’azienda agricola. Dice che dopo due anni di duro lavoro quest’anno lei e il marito assumeranno un ragazzo, forse addirittura due. La verità è che faticano a trovarlo, nessuno pare più disposto qui a lavorare la terra. La sua espressone, mentre pronuncia queste ultime parole, è però più divertita che indignata. Con gli occhi pare aggiungere qualcosa tipo “naturalmente so che non è così, devo solo continuare a cercare … in fondo, è normale … qualcuno racconta ai ragazzi il bello del nostro lavoro?
L’uomo reagisce come a un affronto. La sua musica esce dalla sua bocca a un volume più alto, insensato e spiacevole. Tiene a conservare il controllo del tema che stiamo suonando, attacca Maria chiedendole sgarbatamente quanto guadagna. Lei si fa rossa, forse più per imbarazzo che per irritazione. Dice la cifra, lo fa con estremo candore. È poco, è molto poco per una persona che lavora anche dieci, dodici ora al giorno. Aggiunge però una cosa, che per lei vita e lavoro sono mischiate, non riesce proprio a tirare una riga e separarle, metterle una di qua e una di là. Guadagnava di più prima, dice, ma vive meglio adesso.
Sono anni che non sento cantare nessuno con una simile dignità. Comunque, conclude, sa benissimo che quella è una sua scelta e il ragazzo che sta cercando avrà un regolare contratto, non dovrà certo stare sui campi con lei dall’alba al tramonto.
L’uomo la incalza, il suo volume adesso squarcia le casse. Ha bisogno di riportare la piccola impresa di Maria nell’ombra. Spiega che è normale che non stia trovando nessuno. Pochi soldi e troppe ore, per di più a zappare. Le parole che lei ha appena usato per descrivere la felicità nel sudore di celie mattine, non le ha volute sentire. È spaventato da una prospettiva in cui vita e lavoro siano riconciliate. Le ha sempre viste lontane, divise. Se la vita resta fuori dai coglioni, materia del tempo libero, allora le ore di lavoro possono essere contate, misurate, difese, vendute, contrattate, monetizzate. Giustificano il braccio di ferro in cui lui stesso è protagonista, di cui riconosce le regole, l’avversario, le sconfitte e le vittorie. Non riesce a vedere nel racconto di Maria (di cento Maria) alcuna opportunità economica per il territorio, perché in testa ha l’economia di sempre, il territorio di sempre.

Ho ripensato più volte a questo piccolo episodio. Mi sono permesso di raccontarvelo perché nella mia testa la musica di Maria e quella di Stefano Giaccone stanno nello stesso posto, si tengono per mano. La musica che Stefano emette quando parla, quando legge in pubblico, quando scrive un racconto (e si, certo, anche quando suona e canta!) per me è davvero importante perché in certi momenti mi ha ricordato che potevo scegliere, che quello che ero e quello che facevo potevano diventare la stessa cosa, certo a costo di grandi sacrifici. Non ero obbligato a vincere, non ero obbligato a perdere, ero obbligato a tirare di lima. Stefano è un vero artigiano italiano. I suoi manufatti (dischi, libri, concerti) sono tutt’uno con la sua vita, i suoi ideali, i suoi traslochi. I suoi lavori non si possono misurare in termini di ore, di soldi, di visibilità, di successo. Non si possono misurare, non si devono, è sbagliato farlo. Per questo la musica che emettono anche questi nuovi racconti è pulita, perché serve alla maniera in cui servono i fiori.
È nato per questo, Stefano, e per questo il suo disco non si è ancora incantato. Chi lo conosce, sa che lui firma tutti i messaggi con due sole parole, “mai soli”. Ci ricorda così, anche alla fine di una semplice e-mail, che la magia però funziona soltanto se stiamo vicini, soltanto se stiamo insieme. Perché è soltanto con l’aiuto degli altri che possiamo sperare di non fare saltare mai la puntina.
Marco Peroni

 

p.s.
Vale la pena di cercare anche l’ultimo disco di Giaccone, Aria di festa, appena uscito. Per info su dove trovare libro e cd: giaccone.franti@gmail.comPer incontrare Giaccone giovedì 27 e venerdì 28 marzo al Teatro Coppola di Catania: https://www.facebook.com/events/602099029865134/