Mi dia del Litio
di Barbara Buoso

C’è di peggio.

Confesso: sono una schizofrenica cronica regolarmente iscritta all’albo dei via di cranio della provincia di Rovigo, ci tengo alla mia provenienza.

Lo sono da sempre, pure alle elementari, all’asilo no: non ci sono andata perché mio padre così riusciva a violentarmi meglio, si sa, i padri all’antica ci tengono alla salute dei figli, metti che mi pigliassi l’influenza.

Tre scopate addio, due pompini rimandati, una bruciatura in meno.

Una tacca, via, mi sono sempre fissata coi termini.

Che poi è una bella malattia pure, variegata come l’amarena che non piace mai a nessuno e ti tocca mangiartela sempre tu, che a te, tanto, va bene tutto.

“A te va bene sempre tutto”, questo dicono di te.

Tanto taci sempre, ti credono pure ritardata, tua madre pensa tu lo sia e lo dice ai suoi amici “dottori” che la vanno a trovare, gente di città in visita guidata a casa tua.

Vivere in campagna fa bene alla salute, non ti viene il cancro perché mangi sano, ma ti vengono le emorroidi perché lo prendi nel culo da tutti.

Ti sanguina così tanto il culo che tua madre va a pensare che sei diventata finalmente signorina.

Ma non le viene il dubbio che sia un po’ presto visto che hai sei anni?

E non sei nemmeno tanto loquace, impari a scomparire.

 

“Senso cronico di vuoto”.

Ce l’hai quando hai sviluppato, dicono i medici, un lieve disturbo borderline, insomma, quando hai sta cosa diventi malato.

Ma non è forse migliore sentirsi vuoti piuttosto di sentire colare dalle proprie gambe il sangue.

Io penso che se lacrimi sangue o sei anormale o sei Dio.

E io, mi sa, non sono Dio.

Ho il senso cronico del vuoto, sì, confesso: colpevole.

 

“Frequente disforia e marcata reattività emotiva”.

Disforia, quando a quindici anni mi dissero sta cosa non capii un cazzo.

Mica conoscevo tutte le parole che conoscevo ora. Io sapevo che mi volevo ribellare dentro, non volevo mi penetrassero perché mia madre avrebbe pensato male di me se fosse venuta a saperlo, che avrebbe detto di me? Che figlia disgraziata. Quindi volevo ribellarmi, e mi sentivo come quando fai un brutto sogno e vuoi urlare ma non hai la voce.

Ma, più tardi, il mio caro medico mi ha detto che l’affetto disforico segnalerebbe una vera e propria “resistenza della persona all’invasione di una più autentica tristezza”, un tentativo di ribellarsi al destino depressivo.

Ribellione?

Ma a sei anni non ti puoi ribellare, sei piccolo, sei un bambino, se ti ribelli ti mettono in castigo.

Ho la disforia e marcata reattività emotiva: colpevole.

 

Facevo sesso con parenti e animali di vario genere: quindi ho una sessualità promiscua fino dalla primissima infanzia, sì.

Quindi, se oggi scelgo di stare solo con donne soffro di sessualità promiscua?

Oddio, no, forse non sono tanto colpevole in questo, mai con due persone assieme e mai più con uomini.

Mi verrebbe da dire che, paradossalmente, uno dei pochi animali con cui non ho fatto sesso è proprio un uccello, pennuto.

Sarebbe volato via.

Magari mi avesse portata via.

 

 

“Paura dell’abbandono e che mi spinge spesso a comportamenti manipolatori per evitare lo stesso”.

Beh, stare da sola in una stanza equivaleva a fare sesso con qualcuno, quindi cercavo sempre di stare con qualcuno oltre a loro, ma poi uno andava sempre via, ed era sempre quello sbagliato.

Mi inventavo sempre scuse, malattie inesistenti per non farmi abbandonare.

Ecco perché ti cercavo allo sfinimento, e ti ho sfinita.

Perché mi sentivo morire ogni volta andavi via da me.

Perché il cellulare staccato o che suona a vuoto mi apre quel vuoto cronico… e va più in fondo ancora, fino alla fine di me.

Chissà perché quando c’è da stare male un più, in fondo, c’è sempre.

Ho la paura dell’abbandono che mi spinge spesso a comportamenti manipolatori per evitare lo stesso: colpevole.

 

Ma come fai a concepire che tua madre non veda, non senta, non capisca.

Non veda il tuo sangue, anche gli animali hanno questo istinto di protezione, perché la mia no?
Perché non mi hanno protetta?

 

“Idealizzazione”.

Tutti erano più importanti di me, anche una gallina. Mi sentivo meno di quella gallina.
Da allora mi circondo di stronzi, che sono sempre – secondo me – migliori di me.
Ho dato retta a un numero assurdo, indefinito, di merde.
Merda pura.

 

“Incapacità di controllare la rabbia”.
Ma come si fa a non provare rabbia se ti spengono le sigarette addosso?
Insomma, se tu nemmeno fumi è una vera ingiustizia.
Colpevole, colpevole vostro onore.
Sto mandando in giro dei C.V. e metto sempre nelle esperienze lavorative: posacenere e caricabatterie.

Beh, perché ho preso il litio – per stabilizzare l’umore – per nove anni e undici mesi.
Ero sempre “altalenante” come la borsa, incazzata come ’na iena, ma come caricabatteria per i cellulari ero uno spasso: faccio la battutona, ero sempre carica!
Vorrei che piangessero sangue come ho fatto io, che sentissero per l’eternità intera, quella goccia di sangue che gli scende dal viso che non puoi togliere perché sta lì, incollata, una goccia di sangue che logora, che tu vuoi mandare via e non riesci, che provassero per sempre come si sta a urlare senza voce, a sperare che non vadano via le persone giuste, a…
Io, per me, vorrei invece svegliarmi una mattina senza più ricordi disgustosi.
Una sola mattina.

 

A pochi giorni dal mio quarantesimo compleanno posso dire di essermi svegliata, oggi, dopo non aver chiuso occhio sentendo di essere felice.

 

9 agosto 2012