La festa di Aulin
di Barbara Buoso

Domenica scorsa ho fatto visita a mia madre che, reduce da un periodo difficile, mi ha costretta a fare quello che ogni buon cristiano fa in vista delle “festività” dei primi giorni di novembre.
Anche se, festività, mi pare proprio brutto da dire.
Allora.
Prima cosa, si fa il conto dei morti da visitare, si comprano i fiori (qualità diversa per grado di parentela diverso) e si parte, muniti di palette, forbici, lucidaottoni e via discorrendo.
Già contarli i morti mi ha fatto impressione.
Ho scoperto che Ettore, il mio gatto, si chiama come mio bisnonno, e ora sì che mi sento parte delle famiglia.
Era il sogno di mia mamma farmi fare la figlia esemplare, per una volta.
Me lo ha chiesto quest’anno perché è appena tornata dall’ospedale e si sente come un bambino a cui nessuno può dire di no dopo la malattia.
Le ho detto di sì perché ho paura che muoia tra poco e poi perché non si può dire di no a un bambino.

Ma visto che i fiori sono andata a comprarli io mi sono data licenza poetica…
Perché va bene che è la festa dei morti, ma i fiori mica devono sempre essere da morto.
Papà, anturium rosso… sfacciato, fallico così dura più di tre, quattro giorni e la gente così pensa epperò, hai visto la moglie che lo pensa ancora più di tre, quattro giorni.
Zio materno, (morto suicida) = una cosa discreta, da morto sì, ma che non si noti troppo sta morte scomoda…
Fiore discreto: una bel mazzo di gerbere gialle…
Zio paterno (1): un po’ di sale da aggiungere all’acqua di quelli che aveva già.
Zio paterno (2): idem.
Zio paterno (3): iris blu, il mio fiore preferito per lo zio preferito.
Zia paterna: le ortiche non le ho trovate.

Ovviamente comprarli i fiori è il meno.
È il tour per cimiteri che fotte.
Di norma si parte nelle primissime ore del pomeriggio, ovviamente anche qui si va in ordine di parentela.
Prima da mio padre.
La luce votiva non va ancora e col cavolo che io pago dodici euro al gestore se mi lascia al buio.
Ma a che gli serve la luce io mi domando.
Il cimitero verso sera è come una pista di atterraggio: tutte le lucine ordinate in riga a formare dei quadrati, ma non atterrano aerei.
La novità di quest’anno è che nel mio cimitero c’è il cancello automatico, ossì, mai visto prima, addio vecchio beccamorto, qui non ci facciamo mancare niente: cancello automatico con chiusura prestabilità.
Una sirena non annuncia bombardamenti o voli in arrivo ma la chiusura della porta: si avvisano i signori visitatori di avvicinarsi all’uscita, pena il soggiorno all’interno del nostro camposanto, si avvisano i signori visitatori di avvicinarsi alla cassa centrale…
E io li vedo quelle che al cimitero ci vanno alle due con lo sgabellino pieghevole da pescatore, ma non per pescare anime, e che se ne escono alle otto quanta voglia hanno di uscire alle 6!

E poi che sì, somiglio a mio papà, ma ho anche di mia mamma.
E che ho anche di mio nonno.
E che dovrei ricordarmi di quando venivano a lavorare da noi, e quelli sì che erano bei tempi non come adesso che non ci si saluta più nemmeno a Natale, che è solo buono per i panettoni, non come una volta che c’erano solo gli occhi per piangere.
E adesso c’è tutto.

Alle sette finiamo il giro.
Non mi ricordo nemmeno come mi chiamo, ma non dovendomi chiamare decido che non è poi così male.
Mia mamma mi chiede se avrò ferie per la festa di Aulin.
E che nostra nipote si vestirà da strega e girerà per case e piazze intimando un cantilenante dolcetto o scherzetto.
Penso alla festa di Aulin e a mia madre.
Penso allo scherzetto dell’acqua salata, che al mare ti rimane nell’anima e che al cimitero porta alla putrefazione di un fiore. Sorrido.
Penso a tutti gli scherzetti.
Per la festa di Aulin vorrei dare a mia mamma un dolcetto.