Áristos, ‘il migliore’
di Barbara Buoso

Sì, confesso l’insofferenza.
E, in principal modo, l’arroganza.

“Assemblaggi geometrie mito e memorie nei gioielli di Krugen, Peters, Puig Cuyàs, Visintin”.
Pensieri Preziosi 3.
16 dicembre 2006 – 4 marzo 2007.
Oratorio San Rocco – Via S. Lucia – Padova.
Gioiello d’arte contemporaneo.
È la naturale prosecuzione di un dialogo iniziato proprio il sedici dicembre, a due passi dall’Oratorio San Rocco, nello studio Marijke.
Conversazione, meglio.
Juxtaposition (Pavel Opocensky – Jantje Fleischut).
Giustapposizione.

Mi rifaccio alle lunghe chiacchierate tortuose – cercando di dar forma a un’idea d’amore – con i “promotori” di questi percorsi dell’anima.
Il concetto di “gioielli di famiglia” mi ha colpito.
E sì, mi sono ritrovata a pensarci mille volte tenendo in mano, proiettando un milione di volte una sbarra di metallo, una forma spezzata nell’armonia naturale che in quella frattura trovava un senso: il senso.
Ereditare dei gioielli significa, un po’, ereditare legami – essere costretti certamente – a continuarli sfruttando l’asse temporale.
Affeti.
Storie passate, vicende, “amori” promessi, mantenuti, consumati, infranti.

Avrò avuto… non ricordo, credo fosse il giorno della comunione di mio fratello.
Era primavera, ricordo gli abiti chiari, leggeri.
Avevo appuntata sul petto le iniziali d’oro che ogni bambino della mia famiglia ha avuto all’atto della nascita, e così mia madre, mia zia, mio padre e via discorrendo.
Ma forse nemmeno le iniziali, credo proprio la catenina col ciondoletto sacro, la madonna, gesù o giù di là.
Catenina che ti tiravano fuori dalla magliettina, o camicetta non ricordo, per procedere a una vera esposizione sacra.
Quella, la catenina, è un regalo del padrino, della madrina, per il battesimo.
Un ever green come il braccialettino col tuo nome.
Ero una disadattata anche allora, lo ammetto.
E ciondolavo co’ sto ciondolo appresso alle capre, o alle galline, con cui ho sempre avuto dialoghi interessanti.
Quando si dice dispettosa come una capra…
Ci si riferisce alla “natura” della capra che si mangia tutto quanto incontra.
Da qui la sua pseudo offesa di capricciosa… in realtà lei è proprio così.
Pure Vanessa dà della capra frigida a Virginia.

Credo che balenasse in me, già allora, l’idea di poter cancellare ogni traccia di me.
Sta di fatto che ho fatto finta di perdere la catenina, con tanto di madonna, e l’ho buttata in mezzo all’erba.
Ovviamente dopo poco ho simulato la perdita… tra il dispiacere generale.
La capra mi guardava storto.
Ero dietro casa, questo lo ricordo chiaramente, vicino al recinto delle galline appunto.
Perdere la catenina del battesimo è la cosa più tragica che possa capitare a un bimbo, è interpretabile come un segno funesto del destino.
La sola cosa che ricordo di quella catenina è che si trovava dentro a una scatolina azzurra, avvolta nel cotone bianco.
Il cotone che usavano per fare le punture mio dio.

Persa la traccia della mia nascita ho iniziato a guardare l’erba dove l’avevo buttata quasi come fosse una riva, l’orlo di un precipizio da cui certo non potevo sporgermi, ero piccola.

Mia zia ha iniziato a recitare i sequeri per trovarla.
Io facevo finta di interessarmi alle ricerche ma ero più attratta dal mucchio di sabbia che mi aspettava.
Io riempivo bottiglie con la sabbia e me le rivendevo anche.
Le bottiglie di vetro dovevamo renderle sempre, erano vuoti a rendere quelli dell’acqua, ma io ne facevo sempre sparire qualcuna.
Contenta segretamente di aver sepolto la mia nascita, sento, a un certo punto, urlare mia zia: dio benedetto ti ringrazio.
Mia zia era ubriaca dalla mattina alla sera, non so come sia riuscita a ritrovare quella catenina.
Forse l’ha trovata in virtù del suo perenne stato di ubriachezza.

Esultante di gioia mi riporta la collana, tra i festeggiamenti generali, tutti a bozzolo su di me.

Ecco, quella volta dio mi ha punita.

Io mica ce l’ho più quella catena, a 14 anni l’ho data a mio fratello che se l’è venduta per comprarsi una marmitta per il motorino.
Quello sì ce l’ha ancora, quello sì.

I pochi ornamenti che porto sono testimonianze, vere, d’amore.
Da quelli, sì, credo non mi separerò.
Le eredità si possono anche non accettare, nascondere, perdere, sperperare, ma l’amore vero, quello trova spazio anche – e soprattutto a volte – quando lo evitiamo tutta la vita.

Non amo la teoria “dell’ereditarietà del gioiello”, quindi della memoria affettiva.
Ogni individuo ha il dovere, verso se stesso prima di tutto, di maturare il proprio amore.
Di sviluppare il proprio gusto conoscendosi pian piano.
Di non “aver paura”… di un vecchio gioiello di famiglia (con quello che rappresenta a volte) che alla fine è la partenza.
Non l’arrivo.
È un punto di vista, un racconto.
Non la storia.
Non il solo punto di vista.
Non avere paura di perderlo nella nostra memoria, di farcelo rubare o portare via.
O di non amarlo più.

Avere il coraggio di riporlo, a volte, se impedisce al nostro sguardo di andare oltre.
Di ampliare un orizzonte.

E sì… di considerare “prezioso” ogni pensiero che ci porta un po’ più in là, dentro noi, senza ornamenti, orpelli, maschere.
Maschere Nude.