Il frammento
di Antonio Prete

Dirò oggi del frammento. Una scrittura per frammenti è rara. Una scrittura per frammenti, per aforismi, per pensieri isolati, una scrittura con spazi vuoti, con margini che rinviano il lettore al suo proprio pensare, oggi è desueta, o almeno poco praticata e poco letta. C’è oggi, soprattutto in Italia, un dominio del romanzesco, spesso modulato secondo forme che prediligono il genere, la struttura narrativa di genere – giallo, poliziesco, noir, saga familiare, storia d’amore, racconto storico-familiare –, o seguono ampi svolgimenti in lunghe sequenze. Da qui, e dal trionfo, nella scrittura, di uno stile mercantile, cioè fluidamente convenzionale, discende un romanzare in cui è raro trovare l’invenzione di forme, di ritmi, la bella lingua, l’amore della lingua, con pensiero e immaginazione congiunti. Dinanzi al trionfo del romanzo, e spesso del romanzo a tutto tondo, costruito secondo una mimesi con l’immaginario filmico, e televisivo, la scrittura per frammenti appare qualcosa di peregrino, un esercizio di scrittura riservato, marginale, aristocratico. Così è del resto, tranne rarissime eccezioni, anche per la poesia, la quale per sua natura è frammentaria, si accampa nel bianco della pagina, fa del silenzio stesso materia del suo dire. Eppure il frammento, l’aforisma, il pensiero affidato al lampo della brevità, all’intensità espressiva e immaginativa, appartiene a una tradizione che si è rivolta all’intelligenza pensosa e immaginativa del lettore, alla sua collaborazione attiva. Perché il frammento, per la sua stessa brevità e intensità, per la sua forma inattesa, coinvolge il lettore nel processo di riflessione. Lo sorprende, lo conduce sulla soglia dell’imprevisto, dell’impensato. Gli lascia il tempo e lo spazio di una sua propria elaborazione. Così è stato per i frammenti e i pensieri di Pascal, di Montesquieu, Lichtenberg, Rousseau, Novalis, Nietzsche, Wittgenstein e tanti altri. La forma frammento è plurale, cioè in ogni autore ha una sua particolare configurazione. C’è il frammento che accoglie insieme pensieri diversi, piccole narrazioni, lampi autobiografici, considerazioni morali: è il caso dei 111 Pensieri di Leopardi, scritti negli ultimi anni napoletani (ma Leopardi è l’autore del più grande libro di frammenti della letteratura europea, lo Zibaldone, dove il frammento, filosofico, morale, filologico, autobiografico, tende a ricomporsi in regioni di pensiero, in aree di sapere, così come accadrà ai Quaderni, ai Cahiers, di Paul Valéry). Ci sono, poi, i frammenti, come quelli, belli e profondi, di Walter Benjamin, che sono il resto abbagliante di una scrittura incompiuta, in quel caso il grande libro su Baudelaire e Parigi al quale ha atteso tutta la vita. Ci sono frammenti disposti in un ventaglio che va dal microsaggio all’aforisma, come quelli raccolti in Minima moralia di Adorno, affresco critico e corrosivo di un’epoca, la nostra epoca, consegnata al dominio della tecnica, dell’esteriorità, della omologazione alle mode. Ci può essere, affidata a una scrittura frammentaria, una lunga coinvolgente meditazione, come quella condotta da Edmond Jabès, ebreo egiziano in esilio a Parigi, del quale quest’anno ricorre il centenario della nascita: una meditazione sul tragico del nostro tempo, a partire dalla Shoah, e sulle figure che più oggi ci interpellano, come il dialogo, lo straniero, l’ospitalità. La scrittura di Jabès accoglie voci che salgono da un ebraismo della diaspora, affabulatorio, sapienziale. È una scrittura interrotta, quella di Jabès, frantumata, insieme poesia, meditazione e commento, flash di immagini e apparizioni di figure, citazioni di versetti immaginari, il tutto circondato dallo spazio bianco, dislocato sulla pagina al di fuori dell’allinearsi in blocco delle righe, accerchiato dal silenzio, dalla pausa. In quel silenzio, in quella pausa l’autore di frammenti invita il lettore a situarsi. Per ascoltare e proseguire l’ascolto con la propria riflessione, con le proprie immagini e i propri pensieri.
Ma il frammento può anche essere narrativo: suggerire una narrazione. Sta al lettore proseguire. Pensiamo ai bellissimi frammenti narrativi che ci ha lasciato nei suoi quaderni Kafka, un altro grande scrittore che viene dalla sapienza di un’affabulazione popolare allegorica, affidata ad apologhi e microstorie. Frammento narrativo e racconto breve possono coincidere, come in certe pagine dello scrittore latino americano Augusto Monterroso, del quale citerò, per concludere, quello che secondo Calvino era il racconto più breve mai scritto: “Quando despertò, el dinosauro todavia estaba allì” (“Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì”). E’ un frammento, ma è già un racconto, visivo, ironico. Il lettore può riempire di immagini la scena. Ma un frammento che diventa un intero conchiuso racconto può ancora dirsi frammento?

L’intervento qui presentato è stato registrato durante la puntata di Farenheit del 1 marzo 2012. Ringraziamo l’autore per la gentile concessione.