Tornano in libreria “Gymkhana-Cross” di Luigi Davì e “Tempi stretti” di Ottiero Ottieri

Nel 1957 uscirono nella collana einaudiana dei “Gettoni” diretta da Elio Vittorini con l’aiuto di Italo Calvino due titoli molto diversi tra loro ma accomunati dall’ambientazione operaia: il volume di racconti Gymkhana-Cross del tornitore Luigi Davì (1929) e il romanzo Tempi stretti dell’olivettiano Ottiero Ottieri (1924-2002). Nel 1961 “Il Menabò” dedicato a Industria e letteratura si basò proprio su questi due autori per esemplificare la questione del “romanzo industriale” e portarla al centro del dibattito letterario. Nelle scorse settimane entrambe queste opere sono tornate in libreria, riedite da Hacca Edizioni con la cura di Giuseppe Lupo.

Soffermandoci sul primo volume, bisogna dire che era davvero il caso di riscoprirne l’autore, poiché non devono essere molti i lettori che si ricordano di Luigi Davì. Nato in Valle d’Aosta, Davì si era trasferito da ragazzo nel torinese (dove vive tuttora) e si era fatto conoscere come “l’operaio che scrive racconti” da Calvino cui aveva portato i suoi primi testi presso la redazione torinese de “l’Unità”. Grazie alla sua perseveranza nel consegnare manoscritti a Calvino e all’Einaudi, negli anni Cinquanta e Sessanta, Davì divenne uno dei più importanti scrittori operai autodidatti italiani.

La prima bozza della sua raccolta d’esordio, che fu poi intitolata Gymkhana-Cross (dalla gara motociclistica raccontata in La prova del nove), veniva letta da Vittorini nell’autunno 1955. Come Calvino, anche questi ebbe modo di apprezzare la vivacità della lingua d’impronta dialettale e il “modo ‘disincantato’ di esistere” dei personaggi di Davì, altrettante figure del tipo del “piemontese avventuroso”, per citare un’espressione di Calvino, alquanto differenti dagli operai militanti e/o alienati che venivano raccontati nel romanzo di Ottieri.

I protagonisti di Davì sono infatti per la maggior parte campagnoli che lavorano in piccole officine o giovani apprendisti che entrano in fabbrica cercando di mantenere lo spirito burlone con cui sono cresciuti nelle boite di paese. Perciò Calvino definì “folclore industriale” il registro peculiare dello scrittore operaio e sottolineò nella presentazione dell’esordiente per il “Notiziario Einaudi”: “Parlare di lotte sindacali già vorrebbe dire far entrare un linguaggio diverso dal suo solito gergo. E qui si tocca il vero problema del realismo d’oggi (o di sempre): la realtà è fatta di linguaggi diversi che si scontrano e si mescolano”. Quando poi Davì, sollecitato dagli stessi Calvino e Vittorini, provò ad ambientare nella grande industria e dei conflitti sindacali racconti quali Il capolavoro e L’aria che respiri (raccolti nell’omonimo “Corallo” del 1964), lo fece narrando un’atmosfera di fabbrica ben più pesante che nel suo esordio. Nel primo testo, il protagonista scopre che in un grande stabilimento non ci si sente “operaio con operai” come nella manifattura da cui proviene: “C’era qualcosa che li teneva staccati, e per cui erano l’un l’altro ignoti”, un clima che si deve soprattutto al controllo dei padroni. Il secondo brano si apre con tre giovani amici che fanno insieme il loro ingresso in officina come aspiranti operai ma, commenta il narratore, “Cessammo di essere uno per l’altro appena entrati”, e si chiude con le parole: “Ognuno di noi era per la propria strada”.

La spensieratezza è comunque il tratto prevalente dei racconti di Gymkhana-Cross, che Vittorini presentò come il volume “più genuino dei non molti apparsi finora in Italia con personaggi operai”. Calvino e Vittorini rimproverarono invece a Ottieri, oltre che il carattere “documentario” (quindi poco letterario) dell’opera che si sarebbe poi intitolata Tempi stretti e delle sue successive (poi edite da Bompiani), anche la “tristezza” della sua rappresentazione del mondo operaio. A maggio del 1956 Calvino ragguagliava infatti Vittorini sul romanzo di Ottieri esordendo con un “So che l’autore non ti garba…”, e aggiungendo: “Mi pare che tra i gettoni-testimonianza questo sia molto utile e atteso, ancor che Ottieri sia scrittore di carne triste. / Vuol dire che accanto a lui il Davì ci farà la faccia allegra e scooteristica del mondo industriale”.

Lo stesso giorno Calvino scriveva anche a Ottieri, confidandogli che del suo romanzo aveva apprezzato il “quadro della situazione industriale italiana nella sua complessità e interrelazione”, ma con un’obiezione di fondo: “Quel che pesa sul libro è la tristezza. Che gli operai siano anche gente allegra e le fabbriche anche una via di libertà non si vede. Si vede che Giovanni auspica per la sua azienda uno sviluppo tecnico, anche se questo costerà, ecc., ma tutto molto tristemente. Tristezza vera, certo, ma appunto perché questo è documentario, non ancora poesia, che sola potrà scoprire – chissà mai come – l’allegria delle fabbriche”.

In una lettera non datata ma evidentemente di risposta alla precedente, Ottieri replicava a Calvino: “Quello che mi dici sulla “allegria” delle fabbriche e sul loro aspetto di via della libertà sta molto a cuore anche a me […]. Ma ancora non ci sono narrativamente arrivato”. Oltre alla consapevolezza di quanto fosse complicato fare un romanzo a partire dalle proprie osservazioni dell’industria, lo scrittore aveva però una visione “della fabbrica, non allegra, triste, / del rapporto non bello, misterioso, / uomo-macchina”, come egli scrisse molti anni dopo rievocando, o almeno così sembra, proprio il confronto avuto con Calvino nei versi del poemetto Il padre (1990).

Le 45 brevi prose che compongono Gymkhana-Cross sono però tornate in libreria, insieme alla ristampa di Tempi stretti di Ottieri, e le loro diverse rappresentazioni della vita degli operai italiani degli anni Cinquanta, dentro e fuori la fabbrica, possono dunque essere riscoperte anche dalle più giovani generazioni. Tra i volumi riproposti da Hacca nell’ultimo biennio (sempre a cura di Giuseppe Lupo, nella collana “Novecento.0”) vi sono stati anche altri titoli attinenti a quel periodo di rapporti così intensi tra la letteratura e l’industria, quali il saggio La tigre domestica di Giancarlo Buzzi, il cui Il senatore è stato riedito da Lampi di Stampa nel 2010, Gli Scritti e discorsi di cultura industriale di Libero Bigiaretti e Le pagine milanesi di Leonardo Sinisgalli. Condividiamo senz’altro la convinzione che le odierne trasformazioni (e le crisi) del mercato del lavoro siano un’occasione che impone la necessità di riconsiderare la nostra storia e il contributo della letteratura e dei letterati alla sua comprensione.

 c. p.

Luigi Davì, Gymkhana-Cross, prefazione di Sergio Pent e una postfazione di Giuseppe Lupo, 320 pp., 14 Euro.