Il tram
di Sergio Peter

Aspetto il 16, in Piazza Piemonte. Davanti a me c’è un ragazzo, grasso, in tuta, sulla trentina, che tiene la mamma per mano, ma ogni tanto la lascia e rivolge la parola alle auto ferme al semaforo. Oltre i finestrini nessuno lo ascolta.
Saliamo sul tram, quei due dall’entrata e io dall’uscita. Inizio a leggere. Sui sedili doppi di fianco al mio, con il solo corridoio a separarci, si siede il ragazzo accanto a un vecchio. Il giovane si muove a scatti, si gira, si gratta di continuo la testa, guarda delle ragazze che sono rimaste in piedi, e ripete ad alta voce le fermate del tram, chiedendo alla mamma con insistenza quando dovranno scendere. Lei lo ignora, quasi si vergogna, gli dice di tacere e guarda dall’altra parte, bisbigliando qualcosa tra sé e sé. Poi il ragazzo si alza, e dice: “Mamma mi hanno fottuto il posto”, perché una ragazza si è seduta dove stava lui prima. Suona il campanello, non vede l’ora di scendere, pronuncia l’ultima fermata e poi scende con un salto. Ma un gruppo di persone che vuole salire prima che lui scenda gli dà fastidio e lui dice: “Questa è l’uscita, però”.
Corre sul marciapiede e prende felice una di quelle riviste dove pubblicano gli annunci di affitti e di vendite di case. Lo vedo l’ultima volta fermo al semaforo, mentre il tram gli passa davanti e lui saluta, sempre allegro.
Beato chi vive nel vero e che chiamano matto perché è sempre sincero.

Sergio Peter è nato a Como nell’86, infanzia a Grandola ed Uniti passata più che altro a correre, nascondersi e andare in bicicletta. Beve spuma. Liceo scientifico. Poi a Milano, Università Cattolica. Legge Brodskij. Tesi triennale su di lui. Legge le lettere di Calvino per via della Laurea Magistrale in Filosofia su Le città invisibili. Conosce Celati e da quel giorno in poi ogni margine è raccontabile. Collabora con questo blog.