Sette anni di sfiga
di Gianni Tetti

E dammi una birra, capo, dice un tipo. E dammene un’altra, capo. E un’altra. Capo.

Te ne do quante ne vuoi, di birre. Ma smettila di chiamarmi capo perché sembra che mi prendi per il culo. E quello dice che va bene, capo. Dice così e mi guarda male. Ha i capelli neri, lunghi, tenuti con l’elastico, i baffi pieni di schiuma di birra, è vestito bene. Camicia sbottonata, giacca, cravatta slacciata. Mai visto qui. Sei triste, mi fa il tipo. Ci sono giorni in cui te la giochi alla grande con “fatti i cazzi tuoi”. E altri giorni in cui hai voglia di raccontare un’altra storia. Sì, sono triste, rispondo. Perché sei triste? Mi fa quello avvicinandosi al bancone. Potrei rispondere che sono triste perché non vedo un futuro, perché mia moglie non mi piace più, perché costa tutto troppo caro e io non posso comprare niente. A questo tipo potrei rispondere cosi. E invece rispondo che sono triste perché ho rotto uno specchio e si dice che, quando rompi uno specchio, sono sette anni di sfiga. Ma quello non è il gatto nero? Mi fa il tipo bevendo la sua birra fredda. No, il gatto nero porta sfiga in generale, lo specchio invece sono sette anni. Sette anni di sfiga nera come il gatto. E quindi non sai come si ferma la sfiga, mi fa il tipo. Non ne ho idea, rispondo. E te lo dico io come si ferma la sfiga, mi dice il tipo già mezzo sbronzo, appoggiandosi ad uno sgabello. Ci sono due modi. Modo numero uno: butti un po’ di sale alle tue spalle, poi ti tocchi i coglioni, te li sfreghi bene e dici anche un paio di Padre Nostro. Modo numero due: stai fermo, immobile, non fai un nulla. Non fai più nulla, mai più. Dice così e fa un altro sorso di birra. Io sono per il modo numero due, fa il tipo. Lo guardo, lui mi guarda senza dire una parola, fa un altro sorso di birra. Per un secondo mi sembra pure che ha ragione lui.

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