Cronache rurali
di Daniele Falcinelli
Daniele Falcinelli, trentenne, ha pubblicato finora solo due poesie sulla rivista “L’area di Broca”, nel 2010. Quei due componimenti avevano per tema il lavoro (e aggiungerei il passato). Seguo Daniele da alcuni anni e penso di non sbagliarmi se dico che i suoi versi cercano una loro compostezza nella cronaca di una Storia mistificata, che ha radici nella cultura rurale.
La Storia che interessa Daniele, perfino ad insaputa dello stesso autore, è quella della povera gente che “tira a campare” e che non è integrabile nel moderno paesaggio sociale. Protagonisti veri e fittizi appartenenti ad un mondo in estinzione e che difficilmente potremmo rappresentare altrimenti, oggi, senza scadere in un neorealismo datato, o rifacendo Pavese. Ma per fortuna, lo sguardo di Falcinelli è lievemente allucinato, o per meglio dire : vi è uno strabismo che rende fantastica la realtà a cui tiene. Non a caso, si possono trovare nel suo lessico riferimenti alla senilità, oltre ad anziani, nonni, discendenze lontane, ricordi di guerre mondiali, identificazioni cristiche (di un Cristianesimo popolaresco); anche la scimmia dell’ultima poesia è una specie di archeologo che dissotterra cose cadute in disuso.
Se posso permettermi un parallelo con un altro giovane poeta, direi che Falcinelli si accosta per certi versi a Nader Gazvinizadeh, almeno per il suo rapporto con la storia dei vinti, reietti, o “poveri cristi”, e perché il passato si fa subito mito. Comune ai due poeti è inoltre la vena surrealista. La poesia “Taiti” ne è un buon esempio. Una trasposizione immaginaria di luoghi e fatti che qui sembra dovuta letterariamente a un delirio senile. La poesia di Falcinelli trae dalla senilità dello spirito la sua forza immaginativa e la sua prosaicità verace (prossima al parlato), ma mai desueta.
Dalla narrazione verista del suo esordio pubblico, approdiamo qui ad una sorta di metafisica dell’inutile, sia pur priva di intellettualismo, e che invece stilizza abilmente la chiacchiera da piazza e conosce la satira. Un autore di talento di cui dovremo attendere gli sviluppi e verificare le traiettorie possibili in un primo libro.
Fabrizio Bajec
Genealogia
Ho sognato un nonno che non c’era
Nel segreto della sua assenza
Ho sognato una spiegazione
Alla mia origine dal cavolo
Mia nonna non rimase affatto vedova
Fu lui che se la svignò dai campi
E rimase in terra straniera anche dopo
La guerra e il boom e le roulotte e le
Canzonette e l’arrivo di Tinto Brass
E rimase per ciò che i familiari chiamavano
Follia ed altri solo fisima per lui
Invece era l’unico modo di vivere
Ho preso da lui la passione per camminare
Attraversare campi superare colline
Svegliarmi sonnambulo con le mani
Alla finestra e la mente oltre.
L’attore
Da quanto tempo non apri le persiane
Per dare aria agli scatoloni in fila
E far brillare i barattoli da conserva
Alla rovescia sui fogli del tavolo?
Te ne stai andando o sei appena
Arrivato qui dove non spazzi né chiedi
Al sole di seccare i calamari appesi?
Te ne vai per corsie e cliniche
A litigare e minacciare con in mano
Lastre che nessun dottore tocca
Dall’alto dei tuoi anni sembri
Un Moai con orecchie di pietra
Con imponenza e lentezza
Blateri sull’ignoranza dei medici
La vecchiaia ti stringe ed è inutile
Sbrindellare il collo alla calzamaglia.
Nella tempesta
Ero lì per gloria e granate
Ero lì ad aspettare nella
Tana di assi e argilla
Ero lì quando la morte
Per balbuzia faceva
Crepare dal ridere mille plotoni
La storia del soldato che non seppe
Identificarsi in tempo
Poi le bombe martellarono attorno
A noi proprio lì inchiodati
Poi andammo in missione in processione
Le nostre suole affondavano nella carne
Ognuno era squama del serpente notturno.
(Ernst Junger, Nelle tempeste d’acciaio)
La parola
I colori della prigione sul petto
E sulle braccia dei frati
Narrano meglio di parabole
Vita e pellegrinaggi di beati
Lungo le tormenta nel deserto
Desideriamo i passi di Gesù sull’acqua
Ma la bibbia dei poveri è la carne
I fossi e i cammini cicatrici
Su ogni pergamena o mappa
Che cerchiamo al crocicchio
La seconda venuta di Cristo
Il traguardo aveva solo dune
Dimidiate e aizzate dal vento
Lì ho sentito urlarti in faccia
Chi non è con me è contro di me
Lì hai ceduto l’arco dei denti
Perso la pelle come uno stecco
Di te è rimasta solo la polvere
Che l’assassino ha scosso dalle suole.
Ma prima di andarmene, amici
Ricordiamo un ultimo scempio
La bestemmia dello scellerato a cena
Dopo aver sciolto i piede dai lacci
Beati i perseguitati a causa mia
Quella, la mia vera ultima cena.
Cicatrici
Trovare fortificazioni che si inerpicano
Luoghi di fame, paura e assedio un tempo
Incontrare pecore in fuga ad ogni passo
Se non altro a questo è valso
Accompagnarti alle rovine in cima
Lungo sentieri che avvolgono la salita
T’ho amata ad ogni passo e sorretto
Troppo o troppo poco ho fatto, me ne vado
Sono un anziano che cerca le chiavi
A terra.
La fine dei tempi
La risposta è la vasca da bagno
Il serpente la salamandra il ragno
La lingua in polvere dei Sumeri
Gesù e il lavacro dei piedi
Nella solitudine sugli argini d’inverno
Nelle veglie tra fuochi e incenso
L’unghia cade e il dente cresce
Incide brucia e scompare
Scopro che il sapere è un sussurro
Gettato via dall’ultimo uomo.
Tahiti
Questa è la barca per Tahiti color tortora
È il retro della casa che perde schegge
Sopra il giardino dove passeggio
Dopo essermi registrato dal dottore
È la corteccia dei platani
Lungo il viale di Bolsena
Una striscia di lago
Che fa scivolare i ricordi
Sarò allora Sandokan, Salgari, Tramal-Naik
Colui che sogna sull’Adriatico l’oceano.
Una vecchia tomba
Nelle narici cresce il basilico
I grani e la croce cadono
dalle falangi assieme alla cartilagine
Nessuno ricorda che tornasti senza
Un soldo e col rancido in valigia
e fogli oleosi del norcino
Non fosti tra i familiari che oltre oceano
Riempivano di terra e basilico
Le vasche nei bagni con le galline
Che scacciavano la nostalgia
col dialetto ruminato tra i denti
ma con i zigomi tesi ritornasti
di cattivo umore ma libero ormai
dalla tua intera ciurma.
Scimmia moderna
In spiaggia la scimmia salva oggetti
Coglie conchiglie, tappi di bottiglie
Le maree, i morosi, i naufragi
Serba per sé accanto alla stufa
Un cartello brucia, prima al sole
Piuttosto che al fuoco della stufa.
Si gingilla con pensieri di zuppe
traduce elenchi colmi di spezie
tramanda documenti su vascelli
in cerca di cannella, coriandolo
capaci di coprire putredine.
I fatti ci aiutano soltanto
A chiudere teorie dentro cassetti
Dotati di targhette sempre vecchie
Il desiderio è una cassiera
Con troppa fretta e dei fianchi stretti
La spillatrice accoppia coi buchi
Noi nel mezzo, tra due punti, nel nulla.
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