Impegno nazionale
di Enrico Carovani

Questo è un film che non comincia,
una linea della metro ancora satura,
posti che rimangono, che si possono
riservare come accomodamenti in piedi,
si investe anche così, ché Kopenick già
dista molte stazioni, e la foga che ci porta
a digitare sugli automaten un’omonima
fermata, ma non quella, come gemelli
registi torinesi diretti a Cottbus, prova
a risolvere l’ingorgo, argomentando
la necessità immediata di nuove assunzioni
rivolti al capo dei trasporti berlinesi.
Ed hanno tutti un bollitore a bordo,
e tutti leggono diagrammi della borsa,
corrono dietro, verso gli scompartimenti,
all’ultimo vagone, e quasi lo guadagnano
a impennate in codice, a movimenti rotti
da Grinberg Methode, ti danzo una retta
spezzata al modo di Babs e tu ti sporgi
dagli unti finestrini a vedere se davvero
arriva, se al gioco di tutti i giochini si sia
approntata una sintesi, se questi grafici
capaci di perforare affari sono corpo da cui
sorga la fuga di occidentali retti gestiti riordinati
da economisti di vaglia di fama internazionale.