Wim Wenders, Pina
di Francesco Ruggiero

Per il metro del corpo per la sua ombra esercitata nel respiro, schiantare ossa sulla luna, infrangersi, secoli di fulmini sul ghiaccio, strappi senza spreco di spazi. Dove tocca la materia, terra concessa a cosa che felice cade, cede indicibile, trabocca in soglia rapida di nuvole, simili a lucertole a nuotatori. Accanto scorre il sangue estasiato celebrando il paesaggio. E fantasma che s’apre il vuoto fra le sedie, fa spazio alla solitudine non urta mai i fiori e poi mai i fiori. Mentre treni a testa in giù appesi ai binari scompaiono. Il cane non tace ignora la lingua immensa non più abitabile. Il tutto si muta in gravità e in astri. Manichini su manichini su mani. Spettrale infermità del trainarsi, sostenersi a vicenda con gli oggetti, una specie di fiducia nei passi, nelle braccia che deflagrano il verso guidando le sillabe a tuffi fradici tra i flutti. Poi le corde soccorrono la fuga aerobica nel traffico, il volo incoerente dall’iceberg alla nave dalla sintassi alla meraviglia.