Fanciulli di sabbia
di Lorenzo Muratore

Avvenne per una congiuntura un giorno che, ostentatamente coperta di gioielli come un idolo delle indie, Esterina si avvicinò alla vasca da bagno.
La ricca e nera capellatura sciogliendosi le cadde sulle spalle.
«Gabriele… potresti aiutarmi un poco?» gridò all’ombra.
«Certo» egli rispose.
«Non riesco a slacciare…»
Erano i bottoni di una tunica semitrasparente di mussola arcigna, che avvolgeva la traboccante schiena, e le rotonde cosce e più che neve bianche, e ogni più nascosta parte; e attorno ai quali, bioccole luccicanti, si poteva ascoltare la voce delle Erinni; ma un ragazzo potrebbe dire d’esser vivo per un attimo, e non di rado in una umile tela qualsiasi si nasconde una arcigna divinità che dà forma ai nostri spropositi.
Non era, una volta sbottonata, quel nudo olimpico e quasi crudele, con ciò sia cosa che sotto la mussola bianca si librava solitaria una vestaglietta nera, che giaceva contro i fiancuzzi sino alle chiappe illuni.
Crepuscolo che fu però facile a lei di togliersi da sé, alzando la vestaglietta, con un guizzo repentino dello stridìo di pipistrello.
La giovinetta madre balzò dunque con un sussulto e gli chiese di aiutarla a sganciare anche quell’ordigno di quella fibbia segnata di lucida fiamma che tiene alla tagliola il seno arrampicato su una scala di corda, tra un celeste vetro di tremori.
Ed ora raccolti sotto il lampo i seni erano nudi; uno che ride colmo e labastrino, uno che canta alla chitarra infuocata la traboccante bellezza ispanica ed il capezzolo latteo e la montagna rosea delle mammelle.
Le unghie, come i primi petali del fiore, apersero ai malori terrestri quegli stecchelli d’argento alla madre che, senza maglia, con miti membra, ora gli volta le sue dolci reni; nelle quali l’ardente sua immaginazione fece un’estrema escursione quasi volesse venir a esplorare dei tesori da schiudere a viste meravigliate.
Le natiche, per l’appunto, non si mostravano, perché sua madre aveva una sottovestitella nera, corta, strasparente, con delle mutande velettate come delle mascherine; e le gambe erano come sipari intermittenti d’un teatro, al tempo stesso solenne e tenero.

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