Entrare nel vuoto
Quattro inediti di Fabrizio Bajec

Entrare nel vuoto

        Una trivella s’accanisce sul suo punto di lavoro,
segmenta la scarpata per svegliare i dinosauri
sotto la città. E tutto trema. Un allarme s’accende,
follemente legato a un clacson che nessuno verrà
a staccare. Questa macchina tanto sola, senza
padrone si lamenta: ho 35 anni e spenderò
        il resto della mia vita a riprendermi il parlato
spontaneo dell’infanzia, tutta quest’acqua reclama
nuova acqua.
                Mentre l’acqua chiara scende
nei tubi il mostro ancora non emerge.
Solo caos fuori, carne stressata
chiede presto di essere abbattuta.
Così, entrare nel vuoto. Mettere due monete
sugli occhi. In una poltrona di cinema
essere il sedile, il che somiglia al riposo
eterno. Senza saperne di più, entrate.

Mezzanotte al centro veterinario

        Hanno preso il lupo, aperto le sue fauci
e infilato dentro strumenti precisi
per prevedere i suoi istinti con ventose
sul cranio e un caos di fili che uniscono
le mandibole alle orecchie. Lui guarda
spaventato il neon, senza cacciagione
nella pancia. Lo esplorano, i polmoni
scoppiano per troppa aria che gli uomini
soffiano nelle loro siringhe. Vogliono
che cammini, ma dietro le zampe restano
legate. Il lupo si muove come una foca.
Perché vuoi cibarti in quel modo? Il lupo
cerca di parlare ma soccombe, la sua
lingua vuol essere inghiottita. Gli iniettano
del prodotto per la pace in ogni buco,
e scopre le lacrime, cos’è piangere.

Mezzanotte al centro veterinario, fuori
si accoppiano, si mangiano per continuare
le razza che tutto vuol aprire, sapere.

L’assassino e sua madre

        Il suo strabismo è discreto, la cintura
difettosa arrotolata dietro, come
una coda, gli occhiali lo proteggono.
Si prende cura di una borsa da donna
posata sulle ginocchia, questo rapporto
col mondo lo rende pericoloso perché
incongruo. I molti dolori diffusi
alla mascella e in fronte gli suggeriscono
dove trovare sollievo. E sarà
nell’omicidio che lo spaventa. Commetterlo
è la via del vero esorcismo.

La traversata

        Il cavallo non avanza. Gli hanno detto di muoversi
per troppo tempo, ma la sabbia è eccessiva
tutto intorno e l’uomo non convince abbastanza.
L’animale soffia. Non c’è mai stata ragione
per questo tragitto, e il cavallo continuava come
il cuore funziona e il sole nasce ogni giorno.
L’uomo pronuncia il discorso offrendogli un dattero
e tiene in mano il suo grande orecchio aperto:
«Io so quello che provi. Lunga è la strada
e siamo soli. A me serve un testimone, cavallo,
un testimone di questo viaggio che è il nostro».
L’animale trae un ultimo sforzo per la grazia
di una risposta: «Non sono un testimone, sei su di me,
e non facciamo che passare da giorni
alla vita, alla morte, ma è tutto giusto».
Così dicendo ripiegò le forti zampe
e crollò come un castello in riva al mare.
L’uomo ridiscese lentamente a terra
e il silenzio fu totale.