Rossonero
di Lorenzo Mercatanti

Era un ragazzo. L’avevamo soprannominato Il ragazzo.
Fu massacrato sotto casa. Spaccato il cranio. Una riga rossa tra i capelli.
Sui giornali scrissero che era morto un ragazzo, che era un fascista.
A me sembrava che fosse morto Il ragazzo, che era un ragazzo.
Forse mi sbagliavo. Sbaglio o non-sbaglio l’ho pagato caro.

Nessuno voleva ammazzarlo. Era lecito ammazzarlo. Sui muri nei cessi si leggeva della topa ma anche dei topi, che rispedirli nelle fogne non era reato. Dopo anni di omertà presi in castagna da un pentito, confessarono, non m’importa, erano solo gli esecutori di qualcosa che era lecito… gli esecutori: i mordichiappe: i portatori d’acqua.

Quelli dietro di loro ormai erano già stati in qualche governo o l’ombra di qualche governo o all’ombra di qualche governo e di altri ancora, lavacri su lavacri, professionisti rispettabili, volani dell’economia volanti nell’economia, e io… e io era già un po’ che ne ero uscito, per poi rientrarne dell’altro, la cosiddetta lotta armata, per poi riuscirne… definitivamente.

A cercare la bella morte, la morte a credito… e alla fine beccarsi la morte nel pomeriggio, oh! Rispettabilissima! Intendetemi, vestita da servitore dello stato (sì, lo so, quelli delle barzellette), una pallottola del buon Dio precisa al cranio.

Morto Il ragazzo (era solo un ragazzo) avevo deciso di uscirne, presi a dar testate, volevo farmi uscire tutto, rimodellarmi il cranio, far schizzare fuori i punti neri, i nei: il neo: il neo-fascista.
Ne uscii.
Diedi un’occhiata alle opzioni disponibili: suicidarsi, drogarsi, la fica, picchiarsi allo stadio.
Scartai le prime due.
Ricominciai a bazzicare l’università, su un muro nei cessi scrissi:

la fica ci circonda ma non ci assale

Il giorno dopo ci trovai, scritto in rosso:

di cazzi invece se ne trovano sempre meno

Allora aggiunsi:

dimmi un posto il giorno e l’ora e ti fo vedere io

Il giorno dopo, scritto in rosso:

non me la fo con i fascisti

Scritto in nero:

le donne non ci vogliono più bene

perché portiamo la camicia nera

hanno detto che siamo da galera

hanno detto che siamo da catena

Scritto in rosso:

FIGLIO DI BIGOTTA! FIGLIO DI CANE! CAROGNA!
FIGLIO DI STRONZA!

Lasciai perdere, forse era meglio picchiarsi allo stadio.

Successe allora.
Stavo dipingendo uno striscione per la domenica, quando mi videro avevo dipinto solo le strisce nere, mi fraintesero, mi misero sotto… no! Non lo fate! Presero a pestarmi il cranio…
Mi avessero ammazzato!
Macché!
Me lo rimodellarono punto e a capo. Mi fecero rientrare il bernoccolo. Era di nuovo tutto nero davanti a me.

I vecchi amici erano passati alla cosiddetta lotta armata, alla clandestinità che a me faceva pensare a cose tipo pranzo al sacco e nel culo del sacco. Fatto sta che un giorno un vecchio amico mi chiese di nascondergli delle pistole e come sempre il modo migliore per nasconderle è usarle, quindi anche per me la clandestinità.

E allora, e allora hai bisogno di un sacco di cose, ma vai al supermercato della Magliana che ci trovi tutto!
E per i documenti falsi? Dagli impiegati di Cosa Nostra, prego si accomodi siamo qui per vossia!
E alla fine spari qualche colpo pure per loro, o ti dicono, ehi! Senti! Quel tipo a quella scrivania… vorrebbe parlare con te.
Dove?
Dentro a quel palazzo, a Roma.
Cazzo!
E parla con quel tipo, che parla per conto di un altro più in alto, un altro che ai tempi sbraitava dai giornali contro di te, che stavi in piazza a sventolare una bandiera. E tutto sommato quell’autorevole sbraitare contribuiva a far scrivere sui muri di topi anziché di topa, a farti fare una riga rossa tra i capelli, spaccarti il cranio.
Domani lo stesso tipo vi parlerà dicendovi che quegli anni non sono stati solo molotov e spranghe, ma anche scolarizzazione, voto a 18 anni, legge sul divorzio…

Mi disse dell’importanza che avevano avuto le mie molotov e le mie spranghe per il paese, quelli a cui avevo dato una lezione e che da lì si erano radicalizzati (un po’ com’era successo anche a me), avevo contribuito a creare quel clima così pesante in cui lui e i suoi si erano, per così dire, democraticiti… de-mo-cra-tiz-za-ti, ed erano così schizzati così in alto.
Insomma uno scopre che l’antistato non è mica tanto anti e tu un povero gesùcristo già gesùmmorto e ogni cosa che hai fatto nella vita l’hai fatta per lo Stato, con lo Stato, nello Stato.
Ma anche io, secondo lui, io che non avevo voglia di volare da una qualche finestra come un qualche anarchico, da una qualche finestra potevo invece rientrare…

Le bombe che ho messo? Chi c’era dietro? La verità?
Leggetevi tutti quei romanzi pieni di svariati personaggi ispirati a svariati brandelli di me.
Io vi dico solo che quando mi pestarono, quella volta che stavo terminando uno striscione per lo stadio, mi mancavano da finire le strisce rosse, rosse del colore di chi mi pestò ben bene, sì!
Ero milanista!
Che rivelazione!