Matteo Marchesini, Sala d’aspetto
di Fabrizio Bajec

Matteo Marchesini, Sala d’aspettoVincitore della prima edizione del Premio Ciampi dedicata alla poesia, Matteo Marchesini ottiene la stampa della presente plaquette, a distanza di un anno dal suo libro più importante, Marcia nuziale (Scheiwiller), che riassumeva altri due cicli poetici: Asilo e I cani alla tua tavola.
Come era stato già detto riguardo alla sezione finale di quel volume composito, il maggiore segno della lotta senza quartiere che il giovane poeta e critico conduceva contro se stesso e contro la paura della perdita di ogni bene (psichico e affettivo) ci pareva l’accanimento virtuosistico sulla forma-sonetto, sostenuto da una non comune passione analitica dei suoi rapporti con l’altro da sé. Questo sforzo finiva però per essere debilitante per la sintassi di certi testi, che non respiravano abbastanza. Risultato di un conflitto impari, nobile e tragico con la vita.
In questa Sala d’attesa, al contrario, Marchesini accetta di sostare nella zona grigia, ma rompendo le impalcature metriche che avverte come superate dalla sua storia di poeta. La rottura formale rappresenta una porta di uscita quando si sente che una via di fuga non è data al momento. Le 14 poesie descrivono un purgatorio in cui tutto è proroga e niente può essere vissuto come un tempo, poiché manca la sorpresa. Ad accompagnarlo in questa nuova interrogazione e denuncia dei limiti esistenziali è di nuovo la donna, a cui egli allude in vari modi: col nome del “grande amore”, con il “tu”, con il “noi”. L’autore la vuole soprattutto giudice, e le presta un’analisi tutta in virgolettato nella seconda poesia delle silloge. Lo vediamo riepilogare i peggiori mali con una dignità e un’asciuttezza nuova: l’impotenza del nominare, l’abbandono come punizione che la compagna infligge sparendo, il conseguente lutto, l’ipocondria, l’angoscia che spinge al rituale. Di fatto, non troviamo alcun omaggio ad altre creature o a una città in particolare. Lo sguardo è duro e tutto rivolto all’interno, come non capita di vedere più in un poeta italiano, non con questo coraggio ed esigenza di chiarezza. È stata rimossa per altro ogni traccia di pasolinismo. Marchesini si è spostato decisamente verso Raboni, ma con una saggezza precocissima rispetto a quel poeta. Un sapere capace di intervallare l’ansia del presente, e che gli viene dalla scrittura stessa. Come non condividere allora il suo bisogno di evasione, che parla a ognuno per contingenze diverse, e perché è così ben servito da una voce matura e paradossalmente rassicurante:

Forse più a sud, dove il giorno
si fa verticale —
forse più a sud dove il mare si specchia
nei templi si può sopportare.
Forse più a sud tutto è uguale
a ciascuno, più a sud, forse nella controra
si può sopportare: forse ora,
non qui.

Matteo Marchesini, Sala d’aspetto, Valigie Rosse, Livorno 2010, pp. 47.