#6 Orina
di A.Z.

La gente del posto, qui, da sempre, mi chiama Orina. Il mio nome per esteso, comunque è: Santuzzo Volkswagen Orina Pancarré. Ci tenevo a dirlo. Per me, il nome intero, così, senza abbreviazioni vezzeggiativi e cose del genere, è un fatto importante. Agli altri non interessa, per loro c’è solo Orina, Orina e stop, che oltre a voler dire anche piscio dà l’idea di appartenere a una donna e questo mi pare un equivoco grave gravissimo e inoltre anche molto rischioso. Un tizio, qualche tempo fa, mi ha detto di non preoccuparmi perché a nessuno verrebbe in mente di collegare un nome del genere a una donna, non in prima istanza, almeno. È il piscio che conta, insomma, non il sesso, e le mie sono solo paranoie. Questo mi ha in qualche modo confortato, è vero, sapere che non mi considerano una checca è già qualcosa. Però non basta, vorrei che si facesse più chiarezza a riguardo.
Sulla carta d’identità appaiono tutti e quattro i miei nomi, che poi sarebbero tre, Pancarrè Pancarré è il cognome, anche se non ci crede nessuno e questo è comprensibile perché come cognome è davvero strano, lo ammetto, ma i cognomi non si scelgono, ti capitano per caso. So che mia madre aveva un dente molare che portava il mio primo nome, io l’ho acquisito per questo. Per Volkswagen, invece, è stato mio padre a darmelo, non perché gli piacevano le donne tedesche o la lingua tedesca o qualcosa di tedesco in genere, ma per il semplice motivo che era stato su un maggiolino che mi avevano concepito per bene, lui e mia madre, un maggiolino rosso rubato. E per quanto riguarda Orina, a un mio lontano prozio era piaciuto il suono che produceva quella parola se pronunciata da qualcun altro che non so, credo un conoscente stretto. E il prozio, a quanto pare, oltre a essere molto influente nelle questioni della famiglia, era uno che se ne intendeva molto in quanto a musica e armonia perché faceva lo spazzino, è vero, ma gli piaceva la lirica e l’opera e Luciano Berio.
Ora, ci sono almeno due cose da dire per quanto riguarda la mia vita privata.
La prima è che di mestiere faccio il castratore di gatti.
La seconda è che, comunque, sono una brava persona.
Tagliare le palle ai gatti è una mansione facile. Basta uno spago molto sottile e un po’ d’abilità nel tener ferma la bestia. Si lega il filo attorno al sacchettino di pelle. Si fa un piccolo nodo stretto ma non troppo. Le palle cadono da sole dopo qualche giorno. Si seccano. E il gatto non se ne accorge nemmeno.
Mi paga il comune, a me.
Un giorno di più o meno tre anni fa il sindaco in persona è venuto da me e ha detto Orina, non è che per caso sai castrare i gatti?, e io gli ho risposto che sì l’avevo visto fare qualche volta. Allora ci penserai tu, ecco, da domani questo sarà il tuo lavoro, ci sono troppi gatti qui che si inculano e si accoppiano e proliferano e coprono tutto di merda felina, via le palle via il problema, ti verseremo un assegno mensile, stop. Questo è quanto. Va bene, ho detto io. Così un funzionario del comune dal giorno dopo in avanti ha cominciato a portarmi i gatti in una gabbia tutte le mattine. Sei o sette alla volta. Io mi metto qui, sul divano del garage ed eseguo. Poi li lascio andare uno alla volta per strada con le palline legate. Loro non lo sanno che sono già castrati. È una cosa triste, in fondo, ma bisogna farla. Non mi diverto, vero, però è un lavoro facile e veloce e poi ho tutto il pomeriggio libero.
Ora, però, c’è una terza cosa, ed è qui che volevo arrivare. La terza cosa si chiama Mimmino.
Mimmino è il mio gatto maschio. Ha il pelo grigio, pesa cinque chili e mezzo, non coltiva pulci o croste o malattie in genere e ha due palle grosse così. Mimmino è il mio gatto da bambino, vale a dire che sta con me da quando avevo cinque anni. Ora che ne ho trentacinque a questa storia non ci crede nessuno perché non si è mai visto un gatto di trent’anni.
Mimmino vive sul sofà, gli do da mangiare pappette omogeneizzate col cucchiaino perché è vecchio e non mastica più e mi pare che siamo in buoni rapporti comunque. Soprattutto lui mi chiama Santù, ed è davvero l’unico a farlo. Ora, ho già detto come ci tengo alla questione dei miei nomi. Ho già detto che tutti mi chiamano Orina e che questo non mi piace perché potrebbero anche scegliere Santuzzo o Volkswagen o anche il cognome invece no, puttana la miseria. Quindi io Mimmino lo rispetto e gli voglio bene e per questo ho deciso che le sue palle stanno bene dove stanno.
Lui sa perfettamente delle cose che capitano sotto, in garage. Non è mica stupido, Mimmino. Se ne sta fermo sul sofà tutto il giorno, scende a fatica due o tre volte per fare le sue cose nella vaschetta della sabbia, poi torna su e lì resta. Un giorno mi ha chiesto perché faccio quello che faccio ai gatti del paese e io gli ho detto che è perché mi pagano. E metterai il filo attorno pure a me? No a te no, però devi continuare a chiamarmi Santù, così restiamo buoni amici. E lui ha continuato. Esagerando pure un po’, a dire il vero. Santù, Santù, Santuzzo mio bbello!, ronfava mentre stavo lì con lui, in soggiorno, magari guardando la tivvù. Santù, Santuzzo, quanto sei bbello, quant’è bbello il tuo nome, eh?, continuava a dire Mimmino per paura che gli tagliassi le palle. Un po’ di opportunismo, si può pensare, ma è anche per affetto che lo fa, io lo so che mi vuole bene anche lui, Mimmino.

Ieri l’altro il sindaco ha bussato alla mia porta. Era la prima volta dopo quel giorno che mi aveva dato l’incarico. L’ho fatto entrare, in soggiorno, gli ho offerto da bere un crodino. Il tuo lavoro procede bene, Orì, mi ha chiesto lui, e io gli ho risposto Bene, bene, tutto a posto. Eh, lo so, me l’hanno detto, Orì, che ti impegni, e ora qui i gatti per merito tuo son quasi tutti senza palle e tra un po’ non ci saranno più bestie randage a sporcare il paese con la merda e la rogna questi porci gatti. Ti troveremo un altro lavoro, Orì, non ti preoccupare, mi ha assicurato il sindaco e dicendo questo si è voltato verso il sofà verso Mimmino e mi ha detto, Orina, ma tu stavi lavorando, ti ho disturbato, mo’ me ne vado e io gli ho risposto che no, quello era il mio gatto, quello le palle gliele lasciavo. Allora lui, il sindaco, s’è fatto serio serio, mi ha guardato negli occhi e ha detto, Orina, questo non è professionale, o tutti o nessuno, o tutti o nessuno, hai capito?, mi ha detto ed è andato verso il sofà e ha preso in braccio Mimmino che già aveva capito tutto. Orina, ha detto il sindaco, su, fagli il nodo e via, leviamoci il pensiero, e Mimmino mi guardava tutto disperato con gli occhi che parevano due lampioni neri dilatati com’erano dalla paura e mi chiedeva aiuto senza dir niente e io ero lì, come un fesso, immobile, e il sindaco davanti a me zitto e solenne col gatto in braccio e io le palle a Mimmino non gliele volevo tagliare, no.
Ma Mimmino, allora, ha fatto tutto lui, con uno scatto che da un gatto di trent’anni non ti aspetti proprio eccolo che si gira e pianta le unghie in faccia al sindaco che comincia a sanguinare e a gridare come un pazzo e a coprirsi i tagli con le mani, Mimmino è per terra che si riprende dalla botta perché il sindaco lo ha lasciato cadere all’improvviso sul pavimento e io guardo il mio amico accasciato e Mimmino mi dice Santù, fallo per me, livammeppallastopiezzemmerd, allora io senza pensarci due volte afferro una sedia, la tiro sulla testa del sindaco che cade svenuto, poi gli levo i pantaloni e le mutande ed ecco il suo pisello smoscio lì piegato da una parte. Scendo giù in garage a prendere il rocchetto del filo sottile, risalgo in soggiorno e mi chino sul sindaco e lego bene il filo attorno al suo scroto. Per la prima volta stringo forte, di solito non è così che si fa, altrimenti brucia e i gatti stanno male, ma il sindaco è svenuto e sanguinante e quindi non sente niente. Così mi alzo, prendo Mimmino in braccio e lo accarezzo piano. Lui ronfa contento anche se un po’ ammaccato e mi dice Quanto sei bbello Santù e ora sono felice per Mimmino e per me, ora ho un lavoro in più da fare, aspettare che le palle del sindaco si secchino piano. E da domani, ho deciso, in paese sapranno che non mi chiamo più Orina. Che mi chiamino Santuzzo o Volkswagen o Pancarré, io non sono una checca non sono un piscio giallo, merda puttana!
Ma sarò generoso e darò loro una quarta possibilità, il mio nuovo nome per intero. Santuzzo Volkswagen Mimmino Pancarré.

Biografia

A.Z., monaco di confessione etilista, vive tra Pecetto e Manhattan. Sostiene di essere la reincarnazione di se stesso.
Ha scritto Rosa Screen, Orina, Lisy senza dio, Appunti per una cosa che non c’è.