Confusione linguistica – Chi sono i precari?
di Leo Winkler

Chi sono i “precari”?

La parola “precario” appartiene a quel lessico da imbroglioni che si serve del latino per nobilitare ciò che nobile non è: questo è il “latino” da cui non verremo mai liberati.
Lavoro “precario” è – per tutti – il lavoro non stable, provvisorio, quindi incerto.
E sull’incertezza nessuno può costruire qualcosa di solido e duraturo.
Viene presentato come una dura necessità per la società, ma non tutti ne pagano il prezzo.
È già una stravaganza pensare che un lavoro non stabile possa dare risultati migliori di un lavoro stabile (non ho detto “fisso” e inamovibile). Ad es., rendere precario il lavoro dell’insegnante significa anche rendere meno efficace la didattica, e precaria diventa la scuola, il cui lavoro non a caso è diviso in cicli (biennio, triennio,…). Non è difficile da comprendere.

“Precario” in origine è ciò “che viene richiesto pregando” (dal verbo latino “precari” = “pregare, supplicare, implorare”).
Ebbene, il lavoro non può essere “concesso per compiacenza”, né “mendicato”.
Questo avviene in un mondo di servi. Lo dice la Costituzione: il lavoro è un diritto e un dovere, e la Repubblica “promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto” (art.4).
Per l’inconsapevolezza linguistica dei più, le vittime di questa situazione lavorativa atroce sono indotti a parlare di sé come “precari”. Come dire: “sono un mendicante”.
Chi (politico, economista o giornalista) ha “inventato” quest’ uso della parola insulta i lavoratori e si fa beffe di loro.
Controprova della negatività del termine: vorreste avere una “salute precaria”?

Mediti il ministro Brunetta, mediti sulla permanenza di questo governo che vuole ignorare la sua instabilità (cioè precarietà) e presto dovrà “pregare” il voto degli elettori.

[Leo Winkler, insegnante in pensione di latino e storia]