Prossimamente su “Atti Impuri”, vol. 3: Marianna Gejde

La rana

Una piccola rana in trappola prova innanzitutto a sgusciare fuori infilando la sua molle testa, capace di appiattirsi quasi del tutto, fra le dita, per quanto forte voi non le stringiate. Finalmente l’avete bloccata in una scatola impenetrabile fatta di due palmi, simile a una prigione. Se aprite le mani, la rana rimarrà intorpidita, le pupille immobili, strette e nere a fissare lo spazio come asole di bottoni, e solo per un ritmico rigonfiamento dei fianchi e della gola pensereste che è viva. Si trasforma in un piccolo monile di serpentino tornito. Una volta liberata, si muove a rallentatore per qualche minuto, ma in un attimo recupera la precedente agilità.

Piccole trombe d’aria

Se ne incontravano spesso nella regione di Donetsk, raccontava K. Se ti trovi in un campo aperto e tira vento, ti ci imbatti come niente fosse. Alte quanto un piccolo bambino sui dieci o undici anni, arrivano fino al petto, ma se ne trovano anche di più grandi. Si prova una sensazione molto strana a stare in mezzo a loro. Non sono violente, ma non si distinguono neanche per cordialità. Ti sfilano accanto con lentezza, avvolgendosi di polvere, zolle d’erba, graniglia: tutto quello che è a portata delle loro forze. Quando il vento cessa, scompaiono senza lasciare traccia, disperdendosi in aria e polvere, ma dopo un certo tempo ricompaiono in tutt’altro posto. Una volta una piccola tromba d’aria, alta un soldo di cacio, s’è accostata vicina vicina e ha sussurrato qualcosa. Non era stato possibile capire. Gli ignoranti ritengono che in questo modo le anime dei bambini morti tentino di riprendersi un corpo.

La Donna del Museo di Igiene

La Donna del Museo di Igiene di San Pietroburgo. È frutto di mummificazione naturale. Non è una testimone nel significato proprio della parola. Rinvenuta nel cimitero nei pressi di un villaggio dall’inquietante nome, “Bertučina”, si presentava ai visitatori dalla sua teca di vetro con un’espressione di disgusto difficilmente definibile, propria solo delle persone morte da lungo tempo. I merletti dorati del vestito erano smorti e tuttavia si erano conservati meglio dei tessuti cutanei. La posizione eretta si addice ai morti e ai sonnambuli: si fingono vivi o vigili e ciò incute spavento e reverenza. Ci si potrebbe facilmente immaginare questa signora in metropolitana o nel tentativo di pagare in un negozio con banconote marce e fuori circolazione. Rialzata sul suo piedistallo, si trovava quasi all’altezza dei vivi (la morte rende l’uomo più compatto, rinsecchito, come diventasse la sua stessa statua in cera. Da bambini così si pensava: una persona scompare chissà come e al suo posto viene messa una copia fedele in cera, ma mal raffigurante le tipiche espressioni del volto. Per via di un rituale. Dove vanno a finire i veri corpi? Rifletterci è intrigante ma spiacevole, forse qualcuno li ha sequestrati, sostituendoli con false copie. La copia andava baciata in fronte, ma era così innaturale, come toccare cose morte e sconosciute, eppure tutti erano così convenuti e andava fatto). È possibilissimo che a un certo punto alla Donna del Museo d’igiene venga a noia la sua vetrina, la sua posizione di modella, che indossa abiti fuori moda di duecento anni; allora li cambia con vestiti moderni e va per la via, sottile, secca, come un frustino, con le palpebre truccate, potrebbe andare a far visita a qualcuno, si esprimerebbe a gesti (le corde vocali si sono da tempo seccate e disfatte, per questo il volto acquista una particolare espressione scimmiesca, la stessa che sempre ci coglie nei paesi lontani, quando la lingua non ci è del tutto familiare). Tutti i morti disimparano a parlare, come ripiombati nella più tenera infanzia. Bisogna insegnargli tutto daccapo: a camminare, a esprimersi, a rispettare le buone maniere. Sono ingenui e insensibili, tanto che possono offenderti e insultarti per un non nulla. Ma non lo fanno per cattiveria, bensì per ignoranza. I morti richiedono ai vivi una pazienza infinita: devono masticare tutto più volte. Sono privi di senso dell’umorismo e difficilmente riescono a far ridere. Non è possibile convincerli di qualcosa. Di tutte le emozioni umane sono loro accessibili solo le più elementari, di quelle che ci avvicinano agli animali selvaggi. Forse la morte è solo un inevitabile processo di inselvatichimento, come se l’uomo si liberasse improvvisamente della sorveglianza dei suoi simili e prendesse le abitudini di altre cose. Facesse propria una qualche strana professione. La Donna del Museo di igiene, posta in esposizione, possedeva un nuovo significato, a lei precedentemente estraneo o solo fantasticato: sembrava intagliata da un pezzo intero di sapone. Forse così si divertono in prigione o in ospedale, quando non hanno niente da fare. Ingegnosi suppellettili, pedine degli scacchi a grandezza umana sono conservati in casse di legno e a volte per gioco vengono estratti. In questo caso sono associati ai nomi delle persone un tempo vive. Ma noi non saremo ingannati dalla casuale o premeditata somiglianza.

Biografia

Marianna Gejde nasce a Mosca nel 1980. Vincitrice di numerosi premi letterari, tra cui il premio giovani Debjut nel 2003, è autrice di libri di prosa e poesia. Suoi versi sono contenuti nell’antologia La nuovissima poesia russa edita da Einaudi nel 2005. Presentiamo qui alcune prose inedite, che si aggiungono al dossier a lei dedicato nel terzo numero di Atti Impuri. Le prose sono tratte da Le balsamine attendono [2010]. Protese verso una scrittura metafisica incrociano bestiari ed exempla medievali, il Fisiologo riletto in chiave antico-russa e l’ironia contemporanea.

Traduzione e cura di Elisa Alicudi