Alcune domande e alcune risposte a Nikolaj Bajtov, scrittore russo
da Atti Impuri n°2

Molti scrittori coltivano una visione pacifista del mondo. Ma l’atto stesso di scrivere è poi così pacifico o innocuo?

Non sempre l’atto della scrittura è pacifico o innocuo. Mi è capitato ad esempio di scrivere alcuni articoli polemici. Nel corso di una disputa, quando si contesta un oppositore, si prova un’indubbia soddisfazione, a volte persino un forte piacere, nondimeno questo tipo di scrittura agisce sullo spirito in modo distruttivo e genera a volte il bisogno di curarsi, ovverosia di calmarsi per mezzo di strumenti anche distanti dalla letteratura.

Condividi o rifiuti l’idea di uno scrittore come testimone del proprio tempo, anche dal punto di vista linguistico?

Ogni persona è testimone del proprio tempo. Eppure non tutti possono testimoniare. E non tutti gli scrittori sono in grado di farlo con chiarezza.  Credo che a me personalmente non riesca molto bene, forse perché non considero la testimonianza una prerogativa della mia arte. Mi sembra più interessante testimoniare qualcos’altro, alcuni ambiti dell’esperienza esistenziale di difficile enunciazione (il cui legame con l’“ora” è assai poco diretto, ma al contrario appare complesso e intricato).

Per quanto riguarda la lingua cerco di renderla appropriata alla situazione descritta. Se l’azione si svolge “ora”, la lingua che userò sarà contemporanea, se l’azione si svolge alla metà del XX secolo o nel XIX o nel VII, allora la lingua si adatterà di conseguenza, per quanto lo consentano le mie modeste possibilità.

La parola ha, e ha sempre avuto, un valore fondante anche nella sfera del sacro. Ne è rimasta traccia nel tuo lavoro o nel tuo approccio alla scrittura?

Non ricordo di aver usato l’aspetto sacrale della parola per risolvere i miei problemi artistico-letterari. Tuttavia la questione delle diverse forme di manifestazione della parola, tra cui quella sacrale, mi ha sempre interessato, tanto da divenire il tema dei miei numerosi racconti-parabola: Silentium, i liberatori, Lenočka, Distinzione e altri (Lenočka tra l’altro è presente nella raccolta di racconti russi contemporanei Metamorfosi, a cura di A. Alleva).

Che rapporto c’è tra il reale e l’immaginario nel tuo lavoro?

Molte persone, soprattutto quelle attratte da un’idea «orientale» del mondo, considerano la realtà un’illusione e ciò che immaginiamo l’unico dato accessibile all’uomo. Io, al contrario, attribuisco alla realtà un significato autonomo, anzi predominante. L’immaginario non mi interessa molto. Ho sempre presente la scienza, i fondamenti della fisica, mi tengo aggiornato, mi affascinano.  La fisica si basa su un’idea sistemica del mondo, estranea e indipendente dall’osservatore (altrimenti la ricerca in fisica non avrebbe senso). Ma nel XX secolo questa idea è mutata e la filosofia della fisica è divenuta contraddittoria. La fisica quantistica non sa più chiaramente con quale “realtà” si stia misurando. Il sistema quantistico infatti non può essere correttamente descritto senza considerare la presenza di un osservatore. Sono tutte questioni interessanti, profonde e complesse. E tuttavia sono convinto che tali questioni non siano immaginarie, ma del tutto reali. Infine credo che esse abbiano a che fare con i “difetti” del discorso umano.

Traduzione di Elisa Alicudi

da Atti Impuri, vol. 2, disponibile qui.