Feticismo di Stato
di Marco Mancassola

“La cosa che mi sconvolge”, confessa un amico trentenne commentando le notizie degli ultimi giorni, “è l’idea che alla sua età si possa essere ancora così lontani da una qualche forma di pacificazione. Lui e il suo amico Fede, un settantacinquenne e un ottantenne, in quel teatrino sessuale tutte le sere, come se fossero costretti, come una macchina infernale, senza sosta e senza fine.” È anche in questo senza fine, in questa idea di prestazione disperata e replicata all’infinito, che può stare la portata politica della bulimia senile-sessuale del premier.

La sessualità e il potere ridotti entrambi a esercizio senza termine, macchina infernale che non lascia tregua. Ancora una volta, Berlusconi non è un’anomalia ma il compimento della natura intima di un sistema. Un iperliberismo parossistico, spettacolare, criminale, piduizzato, strutturalmente bisognoso di eccesso. Senza fine nel senso di privo di conclusione, sfiancante, nonostante la sua crisi che a sua volta diventa sistema, macchina infinita – e nel senso di ormai senza scopo, oltre quello del proprio automantenimento e della performance sfrenata, sempre più distruttiva. A suon di corruzione o di apposite pillole.

In modo più o meno esplicito, la retorica berlusconiana ci dice che stupirci di questo è moralistico. La vecchia storia della sinistra che diventa conservatrice di fronte al godimento sfrenato di questa destra. Berlusconi sembra pensare a se stesso come a una grande figura tragica e nietzscheana, peccato che la sua orgia non abbia nulla di liberatorio, nulla del senso ancestrale del dionisiaco: è pura paranoia tecnica. La paranoia di un anziano dittatore che spia con smania verso la vertigine più indicibile, la possibilità della perdita del potere e della morte – due cose che per uomini come lui vanno spesso insieme.

Che tutto questo avvenga, secondo una ricetta storicamente italiana, condito di farsa e di aria di barzelletta, non toglie alla scena la sua sottile, latente tensione totalitaria. Il feticismo delle divise da poliziotta o da infermiera pronte a essere indossate dalle ragazzine nei bunga-bunga party ci fa ridere. Ridere di questo vecchio drago calvo che da decenni pretende di ingoiarci tutti è la prima arma di difesa. Ma quando il feticismo trionfa come modello di potere, il risultato è il devastante delirio politico e sociale in cui abbiamo vissuto per anni.

Come in un romanzo di Brett Easton Ellis, privo però di glamour, l’uomo fluttua in un limbo fatto di orgette, lap-dance, luci basse, teatrini finto-lesbo, senso di irrealtà, telecamere, studi televisivi, sessioni di trucco, riunioni dei ministri dove lui si addormenta, scivolando in chissà quali allucinazioni. Tutto senza soluzione di continuità. Un lungo effetto onirico dove gli elettori, non soltanto le minorenni dei festini, non possono che diventare comparse tra le comparse, fantasmi tra i fantasmi, oggetti da gestire, da solleticare o da consumare. Berlusconi ha dedicato la vita a forgiare i suoi stessi oggetti di consumo: ha forgiato con la televisione i suoi elettori, e l’estetica dei corpi delle ragazzine-letterine che oggi divora. Il suo disturbo narcisistico è diventato un delirio grande quanto un paese. Lui è il Titanic e intende affondare con noi dentro.

Eppure, una “cultura politica” che pensa ai cittadini non come a persone ma come a cose, massa di pubblico o di comparse, fantasmi in un’allucinazione sempre più grottesca, non spiega abbastanza. Il dramma ulteriore è quello che appare come in uno specchio: la metà dei cittadini di un paese nutre a sua volta un feticismo verso il capo, e ad ogni occasione continuerà a votarlo. Qualunque sia lo scandalo del giorno. Un feticismo del popolo per il capo e per il suo corpo di nano-superuomo, erotizzato, miracoloso, potere fatto carne. Un attaccamento infantile e isterico a un capo-feticcio.

Abbastanza chiara la genesi di questa perversione: un senso di abbandono originale, il venire meno di una politica alternativa e credibile, di una proposta per gestire lo spavento della contemporaneità. Quello che appare meno chiaro, ma di cui non smettiamo di avere urgente bisogno, è come realizzare il ritorno in campo di un pensiero alternativo, non per dispensare giudizi moralistici ma per riprovare a dirci qualcosa sui rapporti sociali, tra uomini e donne, tra giovani e anziani, tra parti sociali. Oltre i feticismi e oltre il consumo, oltre il potere senza termine e cioè senza l’altro, senza rapporti veri tra i soggetti.

[pubblicato su Il Manifesto del 20 gennaio 2011]