Il virile amore dei camerati
di Marco Rossari

Pianterò folta la fratellanza, come alberi lungo tutti i fiumi dell’America, lungo le rive dei grandi laghi, per tutte le praterie,
Renderò le città inseparabili, con le braccia l’una al collo dell’altra,
Con l’amore dei camerati,
Con il virile amore dei camerati.

Walt Whitman

Ripensavo a una notizia apparsa qualche giorno fa sul giornale, guardando Brotherhood-Fratellanza, il film del regista italo-danese Nicolo Donato al quale nel 2009 la giuria presieduta da Milos Forman ha assegnato un premio al Festival Internazionale del cinema di Roma. La notizia raccontava che in un ospedale tedesco un medico d’origine ebraica si era rifiutato di operare il paziente, poiché questi aveva un simbolo nazista tatuato sulla pelle. “Ippocrate o no, ha fatto bene,” aveva chiosato un’amica. “Così impara a flirtare con Hitler”. Eppure a me continuava a sembrare ingiusto.

Nel film di Donato seguiamo la storia di un giovane sveglio ma confuso, espulso dall’esercito per alcune ipotetiche avance sessuali ai sottoposti, che nel proprio sbandamento rabbioso viene cooptato da un gruppo neo-nazista. Se non che, mentre si ritrova quasi suo malgrado a fare carriera nelle gerarchie del drappello, il nostro asseconda l’attrazione verso uno dei leader del gruppo e del tutto inaspettatamente viene ricambiato. I due avviano una relazione, clandestina prima di tutto a se stessi, fino a un epilogo semitragico, dove il più “anziano” dei due viene costretto a pestare a sangue il corruttore (l’amante impuro, l’untore vizioso), in un confronto davvero schizofrenico con il proprio io, con l’altro dentro di sé.

“Pestaggi di omosessuali e omofobia,” ha scritto Aldo Busi in un’appassionata recensione, “come antidoto alla propria repressa omosessualità, raid contro extracomunitari, adunate all’insegna della svastica e della birra, mellifluo proselitismo e plagio violento e razzismo e sessuofobia, questa Fratellanza illustra tutto l’armamentario che concorre all’invenzione del nemico ovvero del capro espiatorio.” E in effetti ci troviamo di fronte a un mondo cristallizzato su dicotomie assolute. La prima, che ricorre in quasi tutti i dialoghi, quasi ad esorcizzarne lo spettro (come accade durante l’adolescenza e non solo) è quella “eterosessuale” / “omosessuale”, o meglio “vero uomo” / “frocio di merda”. Mai, attenzione, “maschio” / “femmina”: le donne appaiono solo in ruoli di contorno e la femminilità viene introiettata nel corpo a corpo maschio del pogo, negli abbracci virili, nella goliardia cameratesca. La seconda è quella “fratello” / “straniero”. “Uno sconosciuto è un nemico che non hai ancora conosciuto”, ironizza il leader del gruppetto in un piccolo comizio e, tra un pestaggio e un’invettiva contro gli arabi, è una sublime ironia che sia proprio il fratello (in senso consanguineo) di uno dei due protagonisti a tradirne la fiducia.

Il pregio del film è innestare un elemento sentimentale proprio in un mondo irrigidito su un manicheismo infantile. Qui, con imbarazzo e delicatezza, erompe la multiformità della natura umana, quella natura che riempie la bocca dei capitribù e che invece ora ne sfalda le certezze. Curiosamente, nella calibrata scena della seduzione acquorea, il film ne ricorda un altro, distante eppure vicinissimo. A Single Man, il patinato debutto alla regia di Tom Ford dello stesso anno, e Brotherhood non potrebbero sembrare più diversi (ma anche Donato, se non sbaglio, viene dal mondo della moda, dove ha cominciato come fotografo): lì l’aristocrazia intellettuale, qui l’abbrutimento belluino; lì il sobborgo chic di Los Angeles, qui la periferia danese; lì il volto bello e tormentato di Colin Firth, qui i teschi allibiti dei due bravi attori protagonisti; eppure aleggia un senso di analogo spaesamento, la stessa drammatica tensione tra un amore impossibile e un contesto nemico.

Storie di grande solitudine, in fondo, come quella del medico che non è riuscito a trovare la pietas nel proprio cuore per trovare una fratellanza perfino con il neonazista anestetizzato che aveva davanti in sala operatoria.