La poesia di lingua tedesca, sempre più popolare e di successo, riesce a stare in piedi con le proprie gambe. Poetry slam: una panoramica e qualche domanda
di Sergio Garau

Pubblico per la poesia. Pubblico pagante 5, 10, 15 euro. Sale concerti, club, teatri di 400, 800, 1600 posti esauriti. Pubblico debordante, fuori, in coda, nei foyer, ai maxischermi, rimandato a casa. Pubblico che non demorde e cerca, guarda video, foto, commenta, vota, compra CD, DVD, magliette, adesivi, spillette, persino libri. Di poesia? Di che stiamo parlando? Poesia contemporanea? Non del tutto. Separarla dalla prosa o capire quando il testo vada accapo non è spesso possibile, né qui di interesse o di rilievo. La parola, che resta comunque centrale, sconfina in altri linguaggi: teatro, musica, radio, video, design, tv, social network, youtube …, mettendosi in gioco – come ormai d’abitudine – oltre il libro. Ma dov’è la novità? La novità è proprio nell’ordine di grandezza, nella capillarità, nella quantità del fenomeno, in crescita, duraturo e sempre più popolare.

Le fondamenta di questo largo successo sono nelle centinaia di poetry slam che in Germania, Svizzera, Austria etc. – ci limitiamo qui a considerare i paesi di lingua tedesca ma il fenomeno ha una portata mondiale – si svolgono con cadenza mensile. Nella sola Berlino negli ultimi anni si è arrivati a una decina di slam regolari, intorno ai quali si moltiplicano le Lesebühne – dove gruppi di autori leggono ogni mese le loro ultime produzioni -, gli spettacoli individuali, le variazioni sul genere come il Dead or Alive Slam – dove i poeti vivi si scontrano con i classici interpretati da ottimi attori -,

o il paradossale cortocircuito dell’Anti-Slam – dove il peggiore vince

.

, progetti di spoken music
,
o opere digitali, pubblicazioni video

o social network. Soffermandoci un attimo su questi ultimi vi indirizzo su www.slammin-poetry.de, un sito dedicato esclusivamente alla scena berlinese, e soprattuto su myslam.de, da pochi mesi diventato myslam.net, con l’ambizione in corso d’opera di riunire, coordinare le scene internazionali – se chi leggesse fosse un partecipante o, ancora meglio, un organizzatore di poetry slam, di situazioni spoken word, gli consiglierei senz’altro di iscriversi.

Questo trucco, questa esca in forma di tenzone, questo contenitore aperto che è il poetry slam tesse una rete che coinvolge le istituzioni, i festival di letteratura e di poesia, le scene musicali più varie (dal rap all’opera, all’electro, all’industrial e così via), i teatri più prestigiosi, tv d’alto livello come Arte, di intrattenimento o generaliste come ProSieben, WDR

, 3Sat

, grandi case editrici come Rowohlt o specializzate nel genere come Sprechstation, articolisti di settimanali come Spiegel, scaffali best-seller nelle librerie o dello spoken word nei negozi di dischi. Il Goethe Institut non manca di invitare e supportare i migliori slammer tedeschi in giro per il mondo (da Abu Dhabi alla Tanzania, da New York a Pechino) – e sono sempre di più i poeti che riescono a vivere della loro scrittura per il palco, le agenzie che li seguono – addirittura costretti a rifiutare numerosi inviti, a selezionare i più significativi o remunerativi giungendo comunque a fare 250 date e più in un anno. Parliamo per lo più di trentenni, ventenni e più giovani ancora.

Ma come è possibile? Come si è riusciti a fare tutto questo a partire dalla poesia, da una materia così legata nell’immaginario e nella pratica a nolenti obblighi scolastici? Alcuni direbbero: non è poesia, è cabaret. Anche in Italia il cabarettista, specialmente colui che zampetta in tv, gode di grande riscontro di pubblico, riempie i teatri e meccanicamente le sezioni più in vista delle librerie. In Germania, è vero, vi sono cabarettisti che frequentano i circuiti del poetry slam e vice versa poeti che frequentano i circuiti del cabaret, ma sarebbe decisamente sbagliato indugiare oltre in questo parallelo. Alcuni tra i poeti più riconosciuti e acclamati ad esempio presentano testi che avvincono il pubblico con le loro evoluzioni ritmiche e formali attraverso contenuti tutt’altro che ilari: penso ad esempio a Julian Heun, nato nel 1989, vincitore del campionato di slam Under 20 nel 2007 e poi vicecampione al nazionale nel 2008 – e qui vale la pena di interrogarsi: quale poeta italiano avrebbe mai avuto la possibilità di essere invitato al festival Other Voices di San Francisco a 18 anni come Heun? Come fa un poeta diciottenne in Italia se non a riscuotere grande successo quantomeno a mettersi alla prova?

Penso poi a Wehwalt Koslowsky, una delle personalità più esperte della scena (iniziatore tra l’altro del gruppo internazionale Poesie United o di k.u.k. con Frank Kloetgen), che ricorda nella sua poetica come anche la rigorosa forma metrica e la rima possano essere performate con successo e senza bisogno di strizzare continuamente l’occhio al pubblico – al contrario, durante Slam Tour mit Kuttner, un programma TV di Sat1 Comedy (comedy, per l’appunto) nell’introduzione al brano di Koslowsky si sono levate una o due risate isolate, che il poeta ha tacciato immantinente domandando che ci fosse poi di divertente in quel che diceva. Possiamo inoltre citare Bas Böttcher, di cui abbiamo già parlato in questo blog, vincitore del primo slam nazionale nel 1997, che riesce a conquistare gli uditori con la sua ricerca linguistica, ritmica, sonora.
D’altra parte gli slammer di grande successo che calcano anche i palchi del cabaret adoperano, come nel caso di Marc-Uwe Kling, un umorismo politico – è ormai celeberrimo il suo ciclo sulle vicissitudini di un canguro comunista a Berlino – o inventivo e sperimentale come in Julius Fischer – da solo o nei progetti Totale Zerstörung con André Herrmann e The Fuck Hornisschen Orchestra con Christian Meyer -, o d’ironica intelligenza nel caso di Sebastian 23 – che con gli ormai affermati scrittori poeti-performer Gabriel Vetter, Lars Ruppel e Felix Römer ha costituito la prima boy band del poetry slam: SMAAT, qui in un divertimento che mette in luce le qualità performative di Vetter, ma che non rende giustizia al lavoro del gruppo né tantomeno dei singoli:

Sì, il pubblico si diverte, ma chi vede nello slam semplicemente un nuovo genere di letteratura d’intrattenimento non coglie il nucleo della questione: di generi in un poetry slam se ne possono vedere di molto diversi e il riso, pur essendo un’arma molto utile tra l’altro per vincere l’attenzione del pubblico, ha illustri tradizioni sia per la carta che per il palco. No, oltre alla bravura e alla coordinazione degli organizzatori e degli MC – sui quali andrebbe scritto un altro articolo -, la ragione del successo e dunque, a mio avviso, qui il vero motivo di interesse, sta nel fatto che i poeti scrivono apposta per e attraverso il corpo e il palco. Il pubblico sa che andando ai poetry slam, o almeno in quelli più prestigiosi, potrà godere di professionisti dello spoken word e non di improvvisazioni di cartapesta. Per stare in piedi con le proprie gambe, anche economicamente, il poeta in Europa sta imparando a fare buon uso dei mezzi a sua disposizione, a scrivere non solo al computer, ma anche con il corpo, con la voce, con il pubblico …

E in Italia?