La signorina dei temporali
di Ade Zeno

Si è fermato ad aspettarla sul prato, in un preciso angolo di mondo che fino a non molto tempo fa era loro, e che adesso sta inesorabilmente diventando soltanto suo per via di certe congiunture astrali che hanno imposto al cielo di non secernere più pioggia e di sostituire le care vecchie nuvole argentine con raggi di sole affilati come spade. Non lo sa bene nemmeno lui (non lo ha mai saputo), ma la persona che negli ultimi secoli si è fatta attendere nello stesso identico posto ha sempre scelto di presentarsi esclusivamente con il tempo cattivo, ovvero sotto la pioggia, le intemperie, in certi casi perfino sotto la neve, ed è questo il motivo per cui lui un giorno ha deciso di chiamarla così, Signorina dei temporali. Di solito spuntava fuori ai primi cenni di acqua, erano sufficienti poche gocce perché decidesse di metter piede – munita di ombrello – in quel piccolo parco incassato tra palazzi oblunghi e marciapiedi distratti. Si era chiesto mille volte come fosse possibile un simile prodigio di sincronia, una delle ipotesi più accreditate era che lei abitasse nei paraggi, forse addirittura proprio dietro una delle tante finestre che si scorgevano da lì, guardando verso l’alto, uno di quei balconcini maculati di fiori, nespole e limoni sospesi nel nulla. Tuttavia fantasticherie simili ora servono a poco, perché a quanto pare la Signorina dei temporali si sta ostinando a seguire diligentemente le regole imposte dalle sue abitudini, e dato che negli ultimi mesi cirri e acquazzoni si sono rintanati altrove, anche lei non è stata da meno, e la sua chioma luminosa ha ormai smesso di ondeggiare tra le foglie umide di questo parco deserto. E pensare che proprio ora – riflette lui non senza malinconia – mi ero finalmente deciso a scriverle, a lanciarle un segnale, un minuscolo pegno d’amore che, ne ero sicuro, l’avrebbe perlomeno spinta a sollevare gli occhi da questa parte per indirizzarmi un qualche cenno di saluto. Un biglietto affidato alla furia delle intemperie, si obietterà, non è esattamente uno stratagemma furbesco, ma l’ingegno dell’innamorato (o comunque dell’invaghito) gode sempre di inaspettate risorse, e proprio a questo serbatoio di inventiva ha attinto lui pensando bene di racchiudere il suo biglietto d’invito in una minuscola cornice di vetro capace, se non altro, di condensare in un unico oggetto due qualità indispensabili, vale a dire l’eleganza e l’impermeabilità. Non ci è dato conoscere con esattezza la natura delle parole sotto vetro esposte in quella teca improvvisata, non è da escludere che si trattasse soltanto di un disegno, una sorta di mappa sintetica in cui si provava a spiegare in modo semplice quanti passi la ragazza avrebbe dovuto muovere, e quale direzione avrebbe dovuto prendere per incontrarsi con lui. Fatto sta che ora il quadretto illustrativo giace desolatamente sulla panchina che lei solitamente occupa durante le sue rare incursioni, mentre lui, seduto sul praticello antistante, si macera di attesa e sconsolazione temendo che le parole a lei destinate non si dissolveranno per l’acqua, ma a causa del sole, ridanciano alleato di vetri e lenti. Sta quasi per esplodere in un pianto dirotto, quando sul filo dell’orizzonte, finalmente, si cominciano a intravedere i primi rigonfiamenti di nuvole in arrivo.