Missiva di ritorno
di Ade Zeno

Per sbaglio arrivò una lettera che annunciava l’arrivo di Marion. Una lunga lettera scritta a mano, in bella grafia, pensai subito che doveva trattarsi di una donna bellissima e colta. Tre pagine a quadretti, molto fitte, nelle quali si tentava di convincermi dell’idea secondo cui le avversità della vita serbano spesso aspetti positivi, se non addirittura il succo della vita stessa. Non saprei trovare definizioni per il mio essere me. Se proprio fossi obbligato a farlo sotto la minaccia di – poniamo – un’accetta, allora forse descriverei il mio cervello come una poltiglia grigia ficcata nel cranio di un rassegnato razionalista. Marion poteva pensarla a modo suo, alimentando con teorie strampalate la convinzione che io fossi un uomo sciocco ma allo stesso tempo amabile, e poteva perfino ritenersi perdonata per i misfatti che confessava ora di aver commesso nei miei confronti – suppongo qualcosa di simile a estemporanei tradimenti. Misfatti che, per inciso, non mi parevano – né mi paiono oggi – così atroci come li immaginava nella sua testa. Decisi allora di prendere carta e penna, sforzandomi di sembrare il più possibile serio e lucido, e scrissi la mia risposta: «Gentile Marion. La ringrazio per le Sue righe così sentite e cortesi. È raro, mi creda, incontrare parole dolci e coinvolgenti come quelle che in un certo senso mi ha costretto a leggere. Non ritengo tuttavia di meritare a tal punto la Sua attenzione. Lei sarà sicuramente giovane e bella, mentre io mi ritrovo a essere calvo, considerevolmente pingue, e privo di una gamba. Può sincerarsene da subito osservando la fotografia che Le allego nella busta. Risale a un paio d’anni fa. L’espressione contrita che troverà incollata al volto di quell’uomo in riva al lago è forse la più vivace che mi sia mai riuscito di disegnarmi addosso. Capirà bene che non sono nulla di speciale. Lei ha tutta la vita di fronte a sé, e chissà quanti altri uomini da concupire e imprigionare fino al midollo. A me non resta che l’eutanasia. L’aver spedito la missiva con la busta intestata dell’ufficio per cui lavora (intendeva risparmiare?) alla fine ha contribuito alla nascita di un piccolo scherzo del destino. Conosco lo studio legale in cui Lei è impegnata (suppongo come segretaria), uno studio di cui sono cliente da ormai molti anni, e che a breve mi avrebbe dovuto fornire comunicazioni di grande importanza, informazioni riguardanti certi titoli bancari che non meritano lungaggini. Le basti sapere che da essi dipende una buona fetta del mio futuro economico. Alla luce di simili dettagli, come comprenderà, Le chiederei dunque di contattare al più presto l’uomo a cui erano originariamente destinate le parole che ho invece ricevuto io. E di chiarire con lui che i documenti ora in suo possesso a causa di una banale distrazione sarebbero da spedire immediatamente al mio indirizzo. Non ho intenzione, stia pure tranquilla, di segnalare al Suo superiore il disguido che ci ha uniti. Le auguro ogni bene».