Alcune domande e alcune risposte
(Franco Arminio e Luigi Socci)
da “Atti Impuri” n°1

Condividi o rifiuti l’idea di uno scrittore come testimone del proprio tempo, anche dal punto di vista linguistico?

Arminio: Prima che del proprio tempo mi sento uno scrittore che è testimone del proprio corpo e del tempo che passa dentro il proprio corpo, un tempo che può essere anche lontano e diverso da quello attuale.

Socci: Beh certo, mica sono venuto qui a cambiare aria. Un mio non illustre concittadino, dedito come me al vizio della scrittura in versi, cercava di convincermi, alcuni anni fa, che in poesia non si dovessero usare parole che non si riferissero a concetti e a oggetti perennemente esistiti, in modo da assicurare al frutto del nostro lavoro un’altrettanto perenne durata. Mettiamola così: una concezione di questo genere denuncia un pelino di sopravvalutazione del proprio operato.

Che rapporto c’è tra il reale e l’immaginario, tra la storia e la fantasia nel tuo lavoro?

Arminio: Non mi pare di fare molto uso delle fantasie. non riesco a inventare nulla quando scrivo. parlo di come mi sento e di cosa vedo in giro o se volete parlo di cosa immagino di vedere o di cosa immagino di sentire.

Socci: Se dico, sulla scorta di Montale, “suscitare iridi su ragnateli”, potrei essere tacciato di una visione della letteratura come evasione, quindi non lo dirò. Certo è che il mio sogno da prigioniero, rileggendomi almeno nelle mie cose più recenti, mi sembra sostanziarsi di un ossessivo rapporto di incontro-scontro tra queste due dimensioni. Un rapporto nel quale realtà e fantasia si illuminano e delegittimano vicendevolmente trasformandosi da dimensioni di norma parallele in brutalmente perpendicolari.

Molti scrittori coltivano una visione pacifista del mondo. Ma l’atto stesso di scrivere è poi così pacifico o innocuo?

Arminio: L’atto di scrivere, almeno nel mio caso, non ha nulla di pacifico, è una battaglia che nessuno mi richiede e di cui forse neppure io ho bisogno. penso che sia un modo di cercare intensità, una sorta di panico diluito con la speranza di ritrovarsi coi sensi spalancati.

Socci: Per questa domanda c’è una citazione di Antonio Porta bella e pronta:  “All’inizio ho cercato di intervenire in questa situazione con azioni terroristiche; i versi erano come bombe che dovessero portare luce in una stanza: luce ne hanno portata, ma si è visto che tutti erano morti, oramai, e forse lo meritavano.”

La parola ha, e ha sempre avuto, un valore fondante anche nella sfera del sacro. Ne è rimasta traccia nel tuo lavoro o nel tuo approccio alla scrittura?

Arminio: La parola, parlo sempre per me, ha qualcosa di sacro nel senso che è una sorta di rituale contro l’insufficienza del semplice stare al mondo. non ho mai capito la vita, il suo semplice avvicendare cose belle o terribili. a me interessa questo carrello della scrittura che corre accanto alle cose che faccio. ormai mi è quasi impossibile fare qualche esperienza senza pensare al suo possibile risvolto letterario. io penso che la scrittura implichi sempre un radicale sacrificio della vita. lo penso per la mia scrittura. ho cominciato a scrivere perché sentivo una difficoltà a inserimi in quello che mi sembra il flusso della vita, il flusso a cui tutti parecipavano. questa sensazione non mi ha mai lasciato.  non so se la risposta è pertinente alla domanda, ma sentendo la parola “sacro” mi è venuto di rispondere così.

Socci: Dando l’ateismo e il materialismo come inevitabili condizioni di partenza (o di arrivo, comunque inaggirabili) non posso riconoscere alla scrittura se non una funzione sostitutiva, o meglio palliativa, o meglio ancora di placebo del sacro. Nelle procedure compositive che mi sorprendo talvolta ad attuare, l’effetto psichedelico o di mantra, è tutto quel che resta di quella lontana parentela con la  dimensione del “mistero”. Un effetto, appunto. Un rapporto di mera somiglianza che tende a incrementarsi nella fase attuativa (di lettura cioè ad alta voce) del testo, fase in cui il senso di comunità che viene a crearsi  unito agli elementi ritualistici e quasi celebrativi dell’accadimento possono talvolta riprodurre una perfetta imitazione di una qualche sacralità. Ma siamo già nell’ambito del teatro.